Cioran / Scagno | Breviario dei vinti | E-Book | www.sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 108 Seiten

Reihe: Intrecci

Cioran / Scagno Breviario dei vinti


1. Auflage 2019
ISBN: 978-88-6243-382-2
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 108 Seiten

Reihe: Intrecci

ISBN: 978-88-6243-382-2
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Scritto da Cioran nella sua lingua materna tra il 1941 e il '44, dovranno passare circa trent'anni perché il testo veda la luce, prima in romeno e poi in francese. Composto di 70 divagazioni di diversa lunghezza, rappresenta una sorta di vetrino da microscopio che consente di cogliere il momento di trapasso fra il 'più straniero fra gli stranieri di Parigi' - come l'autore medesimo si definiva - e la nuova identità nata al contatto con una cultura che ha influenzato a fondo quella romena pur essendone sideralmente lontana. Da questo vero e proprio 'innesto' scaturisce un ibrido straordinario, capace di rinserrare nelle lucide formulazioni del francese la scomposta effusione lavica delle sue mai del tutto rinnegate vene balcaniche.

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I


1


Con ardore e amarezza ho cercato di cogliere i frutti del cielo – e non ho potuto. Essi si levavano verso non so quale altro cielo, mentre tendevo le mie mani golose della loro feracità.

Le volte piegavano i loro rami sulle nostre preghiere colme di speranza; quando queste si acquietarono, quelle persero i loro frutti.

In cielo non vi è fioritura né raccolto. Nella sua dimora, non avendo nulla da sorvegliare, Dio, per ingannare la noia, fa il deserto nei giardini dell’uomo.

No, non sarà la vista degli astri ad accecarmi. Abbastanza ho perduto della mia luce a furia di elemosinare dal firmamento. Disgustato d’ogni sorta di cielo, ho lasciato la mia anima alla mercé degli ornamenti del mondo.

2


“Poi egli mise dei cherubini che impugnavano una spada di fuoco, a difesa del cammino che conduceva all’albero della vita” (Genesi 3, 24).

Su quel cammino ho mendicato spesso. E gli altri viandanti, più disgraziati di me, tendevano le loro mani vuote nelle quali lasciavo cadere l’obolo della speranza. E camminando così tra la folla oppressa, vedevo il nostro sentiero sprofondare nelle paludi, e l’ombra dei rami del paradiso sparire nel senza fine del mondo.

Non saranno la titubanza né la pazienza a farci impadronire di quel che sfuggì al nostro fatale antenato. Ci occorre solo uno spirito di fuoco – così, affilando armi e follie, i malevoli cherubini fonderanno nella fiamma ardente della nostra anima.

L’Onnipotente ci ha precluso le sue vie? Allora pianteremo per qui un altro albero, dove Egli non ha guardiani, né spade, né fuoco. Partoriremo un paradiso al riparo dei tormenti – poi ci riposeremo dolcemente sotto le fronde della terra, quali angeli di una perfezione effimera. A Lui resterà un’eternità disabitata; noi seguiteremo a peccare, ad addentare i pomi che marciscono al sole. Invaghiti delle scienze della colpa, saremo simili a Lui e – grazie ai tormenti della Tentazione – ancora più grandi di Lui.

Egli ha creduto, con la morte, di renderci schiavi e di ridurci al suo servizio. Ma è stato un po’ per volta che ci siamo assuefatti alla vita.

Vivere: specializzarsi nell’errore. Ridersela delle verità certe della fine, non tenere conto dell’assoluto, trasformare la morte in burla, e l’infinito in casualità. Non poter respirare che nelle profondità dell’illusione. Il semplice fatto di esistere è talmente grave che, a paragone, Dio non è che un mero trastullo.

Armati dagli accidenti della vita, faremo irruzione nelle certezze crudeli che ci spiano. Le saccheggeremo, ci scaglieremo contro le verità, attaccheremo le luci inesistenti. Voglio vivere, ma da ogni parte mi balza contro lo spirito, difensore delle cause del non-essere.

...Così, nel suo amore per sé stesso, l’uomo brandisce la spada nella crociata degli errori.

3


I miei simili, li conosco. Sovente ho letto nei loro occhi assenti e vuoti l’insensatezza del mio destino o ho dato requie alle mie ribellioni nelle pause del loro sguardo. Tuttavia, il loro tormento non mi è estraneo. Vogliono, senza tregua vogliono. E poiché non c’è niente da volere, i miei passi ricalcavano le loro orme quasi fossero spine, il mio sentiero serpeggiava nella melma dei loro desideri e sbiancava, con una futile aureola, la loro vana ricerca.

Essi ignorano che il paradiso e l’inferno sono le fioriture d’un istante, dell’istante stesso, e che non c’è niente oltre la forza di un’estasi inutile. Nel loro cammino di mortali, non ho colto arresto eterno sulle parabole degli istanti.

Vedo un albero, un sorriso, un’aurora, un ricordo. Non è senza limiti ognuno di essi? Cos’altro attendo più di questa vista definitiva, più di questa incurabile vista del bagliore del tempo?

Gli uomini soffrono dell’avvenire, si precipitano nella vita, fuggono nel tempo, cercano. E niente mi fa più male dei loro occhi indagatori, vani, e tuttavia privi di vanità.

Io so che tutto è finale, che esiste soltanto un istante, ogni istante, che l’albero della vita è uno sgorgo d’eternità reversibile negli atti dell’essere.

E così non voglio più niente. Spesso, quando sono immerso nella notte, in grandi notti che innalzano davanti alla mente i fondi del mondo, come farei a sapere se sono o non sono più? E si può, allora, essere ancora o non essere più? Oppure, prigioniero delle indefinitezze della musica, perso in esse, risparmiato dalle venture della respirazione, come potrei rassomigliare ai miei simili?

Non avere che uno scopo: essere più inutile della musica. Non vi si scopre né ènon è. Dove ci si trova come vittima conturbata del suo fascino? Ma non è, essa, un nessun dove sonoro?

Gli uomini non sanno essere inutili. Hanno cammini da seguire, punti da raggiungere, bisogni da soddisfare. Non sanno godere dell’incompiutezza, quando il “senso” della vita non è che l’estasi di tale incompiutezza! Ma come rivelare loro l’apparente semplicità di questo mistero, come fare perché, ebbri ed estasiati, ne subiscano il fascino? Mi tornano in mente certe notti e certi giorni...

Silenzi notturni nei giardini del sud... Su chi si piegano le palme? I loro rami sembrano idee logore. Un tempo, quando nel mio sangue scorreva più alcol e più Spagna, la mia collera le avrebbe rigirate verso il cielo, la mia passione avrebbe rimesso in verticale la loro stanchezza terrestre, i battiti del mio cuore le avrebbero spinte verso prossimità stellari. Adesso, sono felice d’essere separato dagli astri da rami di palme pensose, felice di assaporare sotto il loro stormire una dolce solitudine, di annientarmi nello splendore di una terra resa divina dalla notte.

Se vivessimo nei giardini, la religione non sarebbe possibile. È la loro assenza a suscitare in noi la nostalgia del paradiso. Uno spazio senza fiori né alberi porta a guardare al cielo e ricorda ai mortali che il loro primo antenato dimorò per breve tempo nell’eternità, all’ombra degli alberi. La storia è la negazione del giardino.

Delle mie speranze sono debitore alle notti. Sulle ali dell’oscurità, lo spazio smetteva di esistere e, solo, fra la materia e il sogno, promuovevo gli aromi della delusione a effluvi di felicità. Niente mi sembra impossibile di notte, possibile senza tempo. Vi si può tutto, e troppo – ma l’avvenire è assente. Le idee divengono uccelli di pensiero – e dov’è che volano? In un’eternità vagamente tremolante, simile a un etere roso dalle riflessioni.

...Così, sono arrivato a guardare il sole con uno strano interesse. Quale malinteso spinse gli uomini a impadronirsi delle sue turbolenze e a trasformarle in benefici? Quale mancanza di poesia ridusse un astro puro al rango di mostro utilitario? Non ci siamo tutti avvicinati troppo umanamente ai suoi raggi e, ritenendolo una fonte del reale, non gli abbiamo concesso troppa realtà? Perché si sarà arrivati a proiettare finanche in cielo lo scopo?

Non so fin dove è il sole. Ma so anche troppo bene a qual punto non sono più sotto di esso. Chi – sulle rive di un mare, gli occhi socchiusi per ore e ore alla linea d’orizzonte del sogno, parallelamente al tempo ed evanescente come la schiuma sulla sabbia dorata –, chi non ha avvertito il miscuglio di felicità e di nulla di questo fastoso spreco, questi non conosce alcuno dei pericoli che la bellezza ha apportato al mondo.

Credevo d’essere giovane sotto il sole e mi sono ritrovato senza età. E se a mezzanotte avevo ancora degli anni, a mezzogiorno non me ne restavano più. Tutte le età fuggono e si rimane fra l’essere e il non-essere, vibrante prestigio nel nichilismo mistico degli assolamenti.

4


Scendendo dalla cittadella transilvana, a non so quale ora dell’imbrunire e in quale anno della giovinezza, infelice e desideroso di infelicità, troppo pieno di me per pensare al sole – la rivelazione del suo declino infranse d’un tratto l’orgoglio delle mie ginocchia. Le mie membra incontravano le stanchezze del crepuscolo, e quel che ancora restava del sole fra le macchie del cuore s’inginocchiò ai piedi di un’agonia dorata. E la mia riconoscenza verso l’astro si rivolgeva anche all’Egitto della mia anima.

Da allora, non ho mai smesso di incensare la morte e il sole – quale lontano discendente di chissà quale sfaccendato sulle rive immemoriali del Nilo.

5


Come amiamo i libri che ci fecero piangere, le sonate che ci tolsero il respiro, i profumi che suggeriscono rinunce, le donne smarrite fra corpo e cuore – allo stesso modo va per i mari: ci innamoriamo di quelli fra le cui onde beccheggia l’annegamento.

Non ho cercato nel Mediterraneo poesia né violenze, e neppure i terribili gorghi dei suoi frangenti. A questi appelli trovai risposta sulle rocce della Bretagna. Ma come scordare un mare dove ho lasciato i miei pensieri?

In una memoria più labile del presentimento di eternità dell’effimero, conserverei riconoscente l’immagine dell’azzurro inumano del mare decadente. Sulle sue rive crollarono imperi – e tanti troni dell’anima...

Quando l’aria sospende la sua inquietudine e nell’immobilità del meriggio le onde si appiattiscono in una lucentezza irreale, so cos’è il Mediterraneo: il reale puro. Il mondo senza contenuto: la base effettiva dell’irrealtà. Solo la schiuma – attualità...



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