Collodi | Le avventure di Pinocchio | E-Book | www.sack.de
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E-Book, Italienisch, 167 Seiten

Collodi Le avventure di Pinocchio


1. Auflage 2019
ISBN: 978-3-7322-9752-8
Verlag: BoD - Books on Demand
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 167 Seiten

ISBN: 978-3-7322-9752-8
Verlag: BoD - Books on Demand
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



-C'era una volta.... -Un re! - diranno subito i miei piccoli lettori. -No, ragazzi, avete sbagliato. C'era una volta un pezzo di legno. Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d'inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze. Non so come andasse, ma il fatto gli è che un bel giorno questo pezzo di legno capitò nella bottega di un vecchio falegname, il quale aveva nome mastr'Antonio, se non che tutti lo chiamavano maestro Ciliegia, per via della punta del suo naso, che era sempre lustra e paonazza, come una ciliegia matura.

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XVI. La bella Bambina dai capelli turchini fa raccogliere il burattino: lo mette a letto, e chiama tre medici per sapere se sia vivo o morto.
In quel mentre che il povero Pinocchio impiccato dagli assassini a un ramo della Quercia grande, pareva oramai più morto che vivo, la bella Bambina dai capelli turchini si affacciò daccapo alla finestra, e impietositasi alla vista di quell'infelice che, sospeso per il collo, ballava il trescone alle ventate di tramontana, battè per tre volte le mani insieme, e fece tre piccoli colpi. A questo segnale si sentì un gran rumore di ali che volavano con foga precipitosa, e un grosso Falco venne a posarsi sul davanzale della finestra. — Che cosa comandate, mia graziosa Fata? — disse il Falco abbassando il becco in atto di riverenza; perchè bisogna sapere, che la Bambina dai capelli turchini, non era altro, in fin dei conti, che una buonissima Fata, che da più di mill'anni abitava nelle vicinanze di quel bosco. — Vedi tu quel burattino attaccato penzoloni a un ramo della Quercia grande? — Lo vedo. — Orbene: vola subito laggiù; rompi col tuo fortissimo becco il nodo che lo tiene sospeso in aria, e posalo delicatamente sdraiato sull'erba, a piè della Quercia. — Il Falco volò via, e dopo due minuti tornò dicendo: — Quel che mi avete comandato è fatto. — E come l'hai trovato? Vivo o morto? Un grosso Falco venne a posarsi sul davanzale della finestra. — A vederlo pareva morto, ma non dev'essere ancora morto perbene, perchè appena gli ho sciolto il nodo scorsoio che lo stringeva intorno alla gola, ha lasciato andare un sospiro, balbettando a mezza voce: «Ora mi sento meglio!...» — Allora la Fata, battendo le mani insieme, fece due piccoli colpi, e apparve un magnifico Can-barbone, che camminava ritto sulle gambe di dietro, tale e quale come se fosse un uomo. Il Can-barbone era vestito da cocchiere in livrea di gala. Aveva in capo un nicchiettino a tre punte gallonato d'oro, una parrucca bionda coi riccioli che gli scendevano giù per il collo, una giubba color di cioccolata coi bottoni di brillanti e con due grandi tasche per tenervi gli ossi, che gli regalava a pranzo la padrona, un paio di calzon corti di velluto cremisi, le calze di seta, gli scarpini scollati, e di dietro una specie di fodera da ombrelli, tutta di raso turchino, per mettervi dentro la coda, quando il tempo cominciava a piovere. — Su da bravo, Medoro! — disse la Fata al Can-barbone. — Fa' subito attaccare la più bella carrozza della mia scuderia e prendi la via del bosco. Arrivato che sarai sotto la Quercia grande, troverai disteso sull'erba un povero burattino mezzo morto. Raccoglilo con garbo, posalo pari pari sui cuscini della carrozza e portamelo qui. Hai capito? — Il Can-barbone, per fare intendere che aveva capito, dimenò tre o quattro volte la fodera di raso turchino, che aveva dietro, e partì come un barbero. Di lì a poco, si vide uscire dalla scuderia una bella carrozzina color dell'aria, tutta imbottita di penne di canarino e foderata nell'interno di panna montata e di crema coi savoiardi. La carrozzina era tirata da cento pariglie di topini bianchi, e il Can-barbone, seduto a cassetta, schioccava la frusta a destra e a sinistra, come un vetturino quand'ha paura di aver fatto tardi. Il Can-barbone partì come un barbero. Non era ancora passato un quarto d'ora che la carrozzina tornò, e la Fata, che stava aspettando sull'uscio di casa, prese in collo il povero burattino, e portatolo in una cameretta che aveva le pareti di madreperla, mandò subito a chiamare i medici più famosi del vicinato. E i medici arrivarono subito uno dopo l'altro: arrivò cioè, un Corvo, una Civetta e un Grillo-parlante. — Vorrei saper da lor signori — disse la Fata, rivolgendosi ai tre medici riuniti intorno al letto di Pinocchio — vorrei sapere da lor signori se questo disgraziato burattino sia vivo o morto!... — La Fata prese in collo il povero burattino. A quest'invito, il Corvo, facendosi avanti per il primo, tastò il polso a Pinocchio; poi gli tastò il naso, poi il dito mignolo dei piedi: e quand'ebbe tastato ben bene, pronunziò solennemente queste parole: — A mio credere il burattino è bell'e morto: ma se per disgrazia non fosse morto, allora sarebbe indizio sicuro che è sempre vivo! — Mi dispiace — disse la Civetta — di dover contraddire il Corvo, mio illustre amico e collega; per me, invece, il burattino è sempre vivo; ma se per disgrazia non fosse vivo, allora sarebbe segno che è morto davvero. — E lei non dice nulla? — domandò la Fata al Grillo-parlante. — Io dico che il medico prudente, quando non sa quello che dice, la miglior cosa che possa fare, è quella di stare zitto. Del resto quel burattino lì, non m'è fisonomia nuova: io lo conosco da un pezzo! — Pinocchio, che fin allora era stato immobile come un vero pezzo di legno, ebbe una specie di fremito convulso, che fece scuotere tutto il letto. — Quel burattino lì — seguitò a dire il Grillo-parlante — è una birba matricolata.... — Pinocchio aprì gli occhi e li richiuse subito. — È un monellaccio, uno svogliato, un vagabondo.... — Pinocchio si nascose la faccia sotto i lenzuoli. — Quel burattino lì è un figliuolo disubbidiente, che farà morire di crepacuore il suo povero babbo!... — A questo punto si sentì nella camera un suono soffocato di pianti e singhiozzi. Figuratevi come rimasero tutti, allorchè, sollevati un poco i lenzuoli, si accorsero che quello che piangeva e singhiozzava era Pinocchio. — Quando il morto piange è segno che è in via di guarigione — disse solennemente il Corvo. — Mi duole di contraddire il mio illustre amico e collega, — soggiunse la Civetta — ma per me quando il morto piange, è segno che gli dispiace a morire. —  

XVII. Pinocchio mangia lo zucchero, ma non vuol purgarsi; però quando vede i becchini che vengono a portarlo via, allora si purga. Poi dice una bugia e per gastigo gli cresce il naso. Appena i tre medici furono usciti di camera, la Fata si accostò a Pinocchio, e, dopo averlo toccato sulla fronte, si accòrse che era travagliato da un febbrone da non si dire. Allora sciolse un certa polverina bianca in un mezzo bicchier d'acqua, e porgendolo al burattino, gli disse amorosamente: — Bevila, e in pochi giorni sarai guarito. — Pinocchio guardò il bicchiere, storse un po' la bocca, e poi domandò con voce di piagnisteo: — È dolce o amara? — È amara, ma ti farà bene. — Se è amara non la voglio. — Da' retta a me: bevila. — A me l'amaro non mi piace. — Bevila: e quando l'avrai bevuta, ti darò una pallina di zucchero, per rifarti la bocca. — Dov'è la pallina di zucchero? — Eccola qui — disse la Fata, tirandola fuori da una zuccheriera d'oro. — Prima voglio la pallina di zucchero, e poi beverò quell'acquaccia amara.... — Me lo prometti? — Sì.... — La Fata gli dette la pallina, e Pinocchio dopo averla sgranocchiata e ingoiata in un attimo, disse leccandosi i labbri: — Bella cosa se anche lo zucchero fosse una medicina!... Mi purgherei tutt'i giorni. — Ora mantieni la promessa e bevi queste poche gocciole d'acqua, che ti renderanno la salute. — Pinocchio prese di mala voglia il bicchiere in mano e vi ficcò dentro la punta del naso: poi se l'accostò alla bocca: poi tornò a ficcarci la punta del naso: finalmente disse: — È troppo amara! troppo amara! Io non la posso bere. — Come fai a dirlo, se non l'hai nemmeno assaggiata? — Me lo figuro! L'ho sentita all'odore. Voglio prima un'altra pallina di zucchero.... e poi la beverò! — Allora la Fata, con tutta la pazienza di una buona mamma, gli pose in bocca un altro po' di zucchero; e dopo gli presentò daccapo il bicchiere. — Così non lo posso bere! — disse il burattino, facendo mille smorfie. — Perchè? — Perchè mi dà noia quel guanciale che ho laggiù sui piedi. — La Fata gli levò il guanciale. — È inutile! Nemmeno così la posso bere. — Che cos'altro ti dà noia? — Mi da noia l'uscio di camera, che è mezzo aperto. — La Fata andò, e chiuse l'uscio di camera. — Insomma, — gridò Pinocchio dando in uno scoppio di pianto — quest'acquaccia amara, non la voglio bere, no, no, no!... — Ragazzo mio, te ne pentirai.... — Non me...



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