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E-Book, Italienisch, 185 Seiten

Dallari Immaginauti

Pensare controvento
1. Auflage 2023
ISBN: 979-12-5982-121-8
Verlag: Il Margine
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

Pensare controvento

E-Book, Italienisch, 185 Seiten

ISBN: 979-12-5982-121-8
Verlag: Il Margine
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



L'autore propone un percorso fatto di letture e opere artistiche per diventare «avventurieri dell'assurdo» e affinare e usare le armi della critica e della creatività per analizzare il presente. Strumenti a disposizione di tutti fin dalla più tenera età, da conoscere e approfondire. «Perché immaginauta è colei o colui che, sfidando il rischio di incappare nel canto delle sirene del senso comune, solca controvento e controcorrente le acque dell'Oceano Fantastico. Gli immaginauti sono skipper dell'immaginario». È arrivato il tempo di rivendicare l'immaginario come un patrimonio prezioso, da conquistare e difendere, e per cui vale la pena di impegnarsi, associarsi e avanzare rivendicazioni. Uno dei nemici giurati della qualità della vita individuale e sociale non è infatti solo la povertà economica, ma anche la povertà di pensiero. Gli strumenti e le occasioni per sfuggire al conformismo, e costruire un proprio immaginario, dovrebbero essere riconosciuti come un diritto e rappresentare un obiettivo primario della formazione scolastica. Marco Dallari in Immaginauti propone un percorso fatto di letture e opere artistiche (pitture rupestri, dipinti, poesie, canzoni, ecc.) per diventare, come scriveva Camus, «avventurieri dell'assurdo», e affinare e usare le armi della critica e della creatività per analizzare il presente. Sono strumenti che potrebbero essere a disposizione di tutti fin dalla più tenera età ma che, spesso, non ci vengono neppure fatti conoscere.

Dopo la laurea in Pedagogia (1972) presso l'Università di Bologna (relatore Piero Bertolini), è stato membro dell'équipe di coordinamento pedagogico delle scuole dell'infanzia del Comune di Bologna e capo servizio alla pubblica istruzione del Comune di Carpi. È stato docente di Pedagogia e Didattica dell'Educazione Artistica presso l'Accademia di Belle Arti di Bologna e Firenze, professore straordinario di Pedagogia Comparata all'Università di Messina e professore ordinario di Pedagogia Generale e Sociale all'Università di Trento, dove ha fondato e diretto il Laboratorio di Comunicazione e Narratività. Scrittore e curatore di saggi, testi narrativi e libri per l'infanzia, è anche disegnatore e autore di opere verbovisuali.
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Introduzione


Come un’ostrica che ha trovato una perla (Éluard e Peret, 2000, p. 10). Questa frase paradossale, sconclusionata nell’architettura sintattica, per il suo autore è addirittura un proverbio, per quanto surrealista. La sua poetica insensatezza stupisce, fa sorridere e fa pensare la maggior parte dei suoi lettori. E se ha questo potere un po’ di senso ce l’avrà.

Qualunque produzione fantastica è il risultato di un processo combinatorio. Il creativo non crea ma ricombina in maniera originale, ci hanno spiegato, con altrettanta originalità, gli studiosi della creatività, in particolare gli psicologi statunitensi Joy Paul Guilford (1967)1 e Edward de Bono (2004). Attività combinatoria questa, che permette di inventare concetti, parole, immagini, suoni originali, a volte emozionanti e stupefacenti. Se tutto ciò non è astruso e inaccessibile, ogniqualvolta riesce a fare breccia, diventa esca per una relazione intrapersonale ed è compreso (preso dentro, interiorizzato). Siamo allora al cospetto di un’epifania, di un evento che magari sarà riconosciuto come «creativo» o addirittura come un’«opera d’arte», senz’altro intrinsecamente autentico. Scrive Enzo Paci nel suo diario fenomenologico

[...] vivere è sempre vivere oltre, proiettarsi in figure trascendenti, figure che sono tipiche, essenziali della vita significativa, della vita vera (sono, per Husserl, le essenze, gli eide) (Paci, 2021, p. 22).

Scrivendo questa frase Enzo Paci, filosofo fenomenologo, forse pensava soprattutto all’universo ideale e concettuale, ma senza timore di tradirlo la estenderei al mondo artistico, poetico e a quant’altro attenga alla sfera dell’estetica, e a qualunque produzione simbolica anche apparentemente insensata ma emozionalmente efficace e significativa. D’altra parte, quando il cartaginese Tertulliano, filosofo e apologeta cristiano, scrive Credo quia absurdum (credo perché assurdo), si appropria del paradosso con la stessa provocazione conoscitiva di Éluard e Peret. Una simile esperienza eidetica e simbolica è al contempo epoché e accesso al sublime. Epoché (sospensione del giudizio e dell’assenso) perché rinnega ogni «già dato», sublime in quanto attinge a un significato che non si può esaurire con la logica, ma è compreso nell’accezione sinestetica del termine di cui si parlava sopra. D’altra parte, è proprio Paci a riferirsi all’idea di verità non nella sua accezione oggettiva e assoluta, ma come verità intenzionale. Un discorso, un’affermazione, un’espressione, sono dunque veri o falsi, non nel «contenuto» o per il rigore logico, ma nell’intensità e nell’autenticità della relazione che originano. Si pensi alla narrazione di una fiaba: racconta bugie, si sa, ma tramite la sospensione dell’incredulità che attiva per sua stessa natura, quando la relazione narrativa funziona innesca una rara esperienza di profondo impatto emotivo e cognitivo e in chi la vive lascia segni, e quindi insegnamenti, ben più profondi di un ineccepibile sillogismo o una rigorosa e puntuale «spiegazione».

Formare bambine e bambini autonomi, critici, creativi è l’obiettivo prioritario che le scienze umane del secondo Novecento si sono prefissate. La Scuola Attiva (Fröbel, Dewey, Frenet, Montessori, Makarenko, Malaguzzi, ecc.) già nella definizione che ha dato a sé stessa ha fatto in questa direzione un’autentica inversione di marcia. Che poi le istituzioni educative non siano sempre all’altezza di questa impostazione è un’altra faccenda e riguarda soprattutto l’inerzia delle istituzioni e la carente formazione e selezione di dirigenti ed educatori.

In Italia, mentre la promozione della creatività e la conquista dell’autonomia sono criteri cardine nelle istituzioni educative 0-6, la scuola dell’obbligo rimane impigliata in pratiche didattiche e impostazioni organizzative che deprimono la valorizzazione delle soggettività e il valore delle differenze, enfatizzando l’acquisizione di contenuti standard, da misurare con prove rigorosamente «oggettive» e quindi «giuste», naufragando nell’appiattimento e nell’omologazione culturale. E questa è la ragione per cui la scuola secondaria italiana sta andando disastrosamente alla deriva.

L’idea di scrivere questo libro mi è venuta rileggendo il saggio di Albert Camus L’uomo in rivolta. Negli anni in cui Albert Camus scrive Lo straniero, Il mito di Sisifo, e, appunto, L’uomo in rivolta, intorno alla metà del xx secolo, Marcel Duchamp ha già rivoluzionato il mondo dell’arte con la sua ruota di bicletta, Man Ray ha sfidato il senso comune e il conformismo moralistico con il suo press papier à Priape (il fermacarte di Priapo, un ready-made a forma di fallo) e Hannah Höch ha sbeffeggiato l’identificazione borghese e neoclassica arte-bellezza con i collage del ciclo Anti-beau (anti-bello).

Camus non è particolarmente interessato alle avanguardie artistiche, il suo teatro è lontano dal Cabaret Voltaire e la sua scrittura non è impigliata nelle sperimentazioni neobarocche di molti suoi (grandi) contemporanei, come Apollinaire o Queneau. Eppure, come capita spesso, persone che non si conoscono e non si frequentano, pensando controvento e addentrandosi così, ognuno a suo modo, nel profondo della loro epoca, assolvono alla stessa funzione culturale e pedagogica: indicano le medesime due direzioni di senso, quella dell’individuazione e quella della tensione verso l’ulteriorità. Per Jung l’individuazione è

[...] un processo di differenziazione che ha per meta lo sviluppo della personalità individuale. La necessità dell’individuazione è una necessità naturale, in quanto che impedire l’individuazione, mercé il tentativo di stabilire delle norme ispirate prevalentemente o addirittura esclusivamente a criteri collettivi, significa pregiudicare l’attività vitale dell’individuo (Jung, 2015, p. 463).

L’idea dell’individuazione è complementare a quella di identificazione. Identificarsi, infatti, significa assomigliare a qualcuno, o edificare comunque la propria personalità a partire dalle caratteristiche di qualcun altro. L’individuazione è il processo che, nel dialogo con sé stessi, cerca di trovare le caratteristiche di unicità e differenza che ci sono proprie, di perfezionarle e di farne tratti qualificanti e riconoscibili dell’identità personale.

Uno dei problemi dell’educazione occidentale (oltre che uno degli effetti più evidenti della cultura di massa) è che, in Italia ancora più che altrove, in nome di un malinteso concetto di uguaglianza delle opportunità e di «inclusione», si punta ai processi di identificazione, offrendo quasi esclusivamente saperi paradigmatici e uguali per tutti. Sono invece lasciate all’iniziativa individuale di qualche docente fuori dal coro le occasioni e le pratiche tendenti a favorire e stimolare il processo di individuazione. Quest’ultima ha il potere iniziatico di aiutare i soggetti a costruire e trovare l’autenticità di sé stessi, creando una collettività capace di valorizzare le differenze.

Occorre essere molto chiari: il processo di individuazione, così come la frequentazione assidua e convinta della dimensione estetica e fantastica, che ne è condizione imprescindibile, presuppone il riconoscimento del primato dell’affettività.

A mettere in luce l’importanza di questa consapevolezza, come soggetti viventi ed eventualmente come educatori, ci aiuta il lucido e rigoroso saggio di Daniele Bruzzone dedicato alla vita emotiva. La dimensione affettiva, ci ricorda Bruzzone presuppone una riflessione sul senso e sul significato degli affetti. Termine, quest’ultimo, che, come ci ricorda, ha un doppio significato: essere affetti significa essere colpiti, commossi, influenzati, persino indeboliti da qualcosa, come ad esempio da una malattia, ma anche essere inclini, attratti verso qualcosa. La dimensione affettiva riguarda la forza con cui qualcosa ci occupa e si imprime in noi lasciando una traccia che orienta e influenza pensieri e comportamenti. Un’ambivalenza semantica che riguarda i due aspetti complementari, attivo e passivo, dell’esperienza affettiva: quello di essere soggetti a qualcosa e al contempo soggetti di qualcosa. Lo scopo della riflessione di Bruzzone non è quello di analizzare e spiegare emozioni e sentimenti, come potrebbe accadere in una analisi psicologica o neurofisiologica

[...] bensì quello di perseguire una comprensione dell’esperienza affettiva e del suo significato per la nostra vita [...]. In particolare, poi, l’interesse per la dimensione affettiva è dettato dalla funzione decisiva che essa riveste sul piano della formazione personale e, più in generale, nel determinare il senso e l’orientamento della nostra esistenza (Bruzzone, 2022, p. 9).

Bruzzone, ricordando come Jean-Paul Sartre abbia elaborato una concezione dell’emozione come trasformazione «magica» della realtà e, precisando, capace di orientare per ciascuno il modo di cogliere e rappresentare il mondo, ci guida attraverso una serie di esempi e riflessioni sollecitate da incursioni letterarie oltre che filosofiche e psicologiche (Blixen, Manzoni, Dostoevskij, Tucidide accanto a Jung, Fromm, Heidegger e Levinas) conclude il suo saggio, da pedagogista, rivolgendosi a chi ha scelto il compito di praticare una «professione di cura».

Ora, se c’è una capacità che si richiede a chi quotidianamente affianca le persone più fragili (perché giovani e ancora inesperte o perché vulnerabili o ferite dalla vita), è proprio quella di saper stare a contatto con le emozioni e...



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