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E-Book, Italienisch, 311 Seiten

Dallari La zattera della bellezza

Per traghettare il principio di piacere nell'avventura educativa
1. Auflage 2021
ISBN: 979-12-5982-016-7
Verlag: Il Margine
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

Per traghettare il principio di piacere nell'avventura educativa

E-Book, Italienisch, 311 Seiten

ISBN: 979-12-5982-016-7
Verlag: Il Margine
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



La bellezza che sola può salvarci dal naufragio del presente non è una convenzione o un ideale astratto: è l'esperienza viva dell'armonia fra noi e il reale, di un senso, mai già dato, da scoprire e condividere nello stupore della ricerca e dell'incontro. Perciò è urgente che ciascun genitore, insegnante e educatore recuperi e potenzi nel suo agire pedagogico la dimensione estetica, capace di risvegliare nei giovani la partecipazione, la curiosità e il piacere che troppo spesso si sono visti negare da una scuola impreparata a farsi carico dell'affettività e del desiderio. Non si tratta, allora, di educare alla bellezza, ma di usare la bellezza per educare: per traghettare i più giovani al di là della disaffezione e dell'insensatezza, oltre una concezione meramente strumentale della competenza e del sapere, restituendo loro quella gioia del conoscere che conduce a una comprensione più profonda di sé e del proprio essere nel mondo.

Dopo la laurea in Pedagogia (1972) presso l'Università di Bologna (relatore Piero Bertolini), è stato membro dell'équipe di coordinamento pedagogico delle scuole dell'infanzia del Comune di Bologna e capo servizio alla pubblica istruzione del Comune di Carpi. È stato docente di Pedagogia e Didattica dell'Educazione Artistica presso l'Accademia di Belle Arti di Bologna e Firenze, professore straordinario di Pedagogia Comparata all'Università di Messina e professore ordinario di Pedagogia Generale e Sociale all'Università di Trento, dove ha fondato e diretto il Laboratorio di Comunicazione e Narratività. Scrittore e curatore di saggi, testi narrativi e libri per l'infanzia, è anche disegnatore e autore di opere verbovisuali.
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2.


La bellezza e il «principio di piacere»


Piacere, per il Vocabolario Treccani, è il

sentimento di chi sia pienamente soddisfatto, che deriva dall’appagamento di desideri, fisici o spirituali, o di aspirazioni di vario genere. [...] In senso assoluto (come traduzione del greco ?d???, edoné, e del latino voluptas), contrapposto a dolore, è il tema, già dall’età socratica, di considerazioni e discussioni filosofiche, spesso antitetiche, volte a stabilirne e fissarne la natura, il ruolo che riveste nel comportamento umano, la valutazione che se ne deve fare dal punto di vista etico (Treccani, 1994).

Per Umberto Galimberti piacere è

esperienza di benessere puntuale e transitoria che prende avvio dalla soppressione del dolore o dispiacere. Piacere e dispiacere costituiscono i principi regolatori di base della vita psichica. A questo proposito i contributi più significativi sono stati offerti dalla psicoanalisi che ha parlato del piacere in diverse accezioni (Galimberti, 2019, p. 922).

Secondo Sigmund Freud (e prima di lui secondo Gustav Theodor Fechner) il principio di piacere è il primo principio regolatore della psiche. Nei bambini piccolissimi è il solo principio regolatore: i bambini tendono a scaricare immediatamente nella quotidianità (anche in modo allucinatorio, nel sogno e nella fantasticheria) la tensione pulsionale, la cui crescita è fonte di dispiacere.

Per pulsione si intende la costituente psichica che produce uno stato di eccitazione determinata geneticamente ma suscettibile di essere modificata dall’esperienza. La pulsione, secondo la definizione freudiana, si differenzia dallo stimolo

per il fatto che trae origine da fonti di stimolazione interne al corpo, agisce come una forza costante e la persona non le si può sottrarre, come può fare di fronte allo stimolo esterno. [...] Noi ce la rappresentiamo come un certo ammontare di energia che preme verso una determinata direzione (Freud, 1977c, p. 205).

Il neonato che manda precisi segnali (che l’adulto definisce pianto) quando sente il bisogno di essere allattato non desidera coscientemente di essere nutrito, desidera intenzionalmente il contatto con il corpo della madre, la voce della mamma e il senso di tepore e di benessere che tutto questo comporta. È spinto da un bisogno confuso di cui pretende l’appagamento e che, se non viene soddisfatto in tempi contenuti, scatena manifestazioni di dis-piacere e di ansia. La pulsione non comporta un desiderio, ma consiste nel disagio determinato da una mancanza, anche se il soggetto non sa di cosa.

Finché il bambino era nel grembo materno le sue necessità fondamentali — nutrimento, calore, protezione da traumi esterni — erano soddisfatte senza bisogno dell’intervento volontario e cosciente della madre. Con il primo vagito questa continuità si interrompe. Chi si prende cura di lui si adatterà alle sue esigenze, la madre svilupperà una particolare capacità di cogliere segnali di richiamo anche deboli e assecondare le necessità-pulsioni della creatura. Ma ciò non eviterà al neonato di piangere per la fame, per la tensione addominale e per tutto ciò che altera il suo equilibrio omeostatico. L’esperienza ripetuta del soddisfacimento si sedimenterà nella mente infantile e tracce di memoria, dapprima indistinta poi sempre più capace di rappresentare mentalmente sensazioni e immagini legate al benessere e alla presenza della madre, lo metteranno in grado di imparare ad attendere, a tollerare l’assenza (per un tempo ragionevole), ad avere pazienza, perché la rievocazione sensoriale e psichica di ciò che soddisfa il principio di piacere dà origine alla convinzione che quel fenomeno si ripeterà. Nell’attesa potrà magari utilizzare un surrogato: il pollice da succhiare. Non possiamo affermare che quel dito rappresenti una vera e propria sostituzione simbolica (come sarà più tardi per l’orsacchiotto o la copertina), ma siamo sulla buona strada.

Evolvendosi, dunque, i moti pulsionali si trasformano in stimoli e desideri. Ma questo presuppone la progressiva strutturazione del principio di realtà, evoluzione dialettica del principio di piacere.

Partendo da queste premesse, Freud definisce piacere la riduzione della quantità di eccitazione e dispiacere l’aumento di tale quantità. Il principio di piacere è dunque un principio economico volto alla riduzione della tensione e trova soddisfazione quando la gratificazione e il vissuto di benessere si associano all’annullamento della dimensione ansiosa. Progressivamente, con il trascorrere dei mesi e con l’affinamento degli organi percettivi, i cuccioli umani danno inizio al processo di strutturazione del principio di realtà.

Il principio di realtà corrisponde allo sviluppo delle funzioni coscienti — attenzione, giudizio, memoria, pensiero — e consente al soggetto di rappresentare a se stesso non solo ciò che è piacevole, ma ciò che è reale, anche se è spiacevole.

Del principio di realtà fanno parte sia ingredienti «oggettivi» (le leggi della fisica, i limiti del corpo) sia elementi «culturali» (le regole, le abitudini e i valori condivisi con il gruppo di appartenenza). Se osserviamo un bambino che «gattona» abbiamo un esempio chiarissimo di strutturazione del principio di realtà. Da un lato prende coscienza delle caratteristiche del mondo circostante e degli oggetti che lo compongono, scopre quali zone, quali spigoli possono procurare effetti dolorosi (la zuccata ad esempio) o disconfermanti (una poltrona troppo alta, sulla quale non riesce ad arrampicarsi); dall’altro struttura la coscienza del proprio corpo, delle sue possibilità di azione, della sua capacità di cercare stimoli capaci di produrre effetti gratificanti (le zone morbide, il cuscino, la sedia sotto la quale prova un senso di protezione). Crescendo aggiungerà a queste conquiste relative al «mondo della fisica» quelle riferite ai tabù e alle licenze che riguardano la dimensione relazionale e culturale: non si possono mettere le dita della spina della corrente elettrica, si può salire sul divano, anche con le scarpe, nella casa condivisa con i genitori, non si può in quella della nonna. Dalla nonna però si mangiano caramelle che a casa dei genitori sono un tabù.

Sotto l’influenza delle pulsioni di autoconservazione dell’io il principio di piacere è sostituito dal principio di realtà, il quale, pur senza rinunciare al proposito finale di ottenere piacere, esige e ottiene il rinvio del soddisfacimento, la rinuncia a svariate possibilità di conseguirlo e la temporanea tolleranza del dispiacere sul lungo e tortuoso cammino che porta al piacere (Freud, 1977b, p. 196).

La strutturazione progressiva del principio di realtà fa sì che la tendenza a pretendere di scaricare immediatamente le tensioni pulsionali per ottenere un’immediata soddisfazione sia gradualmente sostituita dalla tendenza a trasformare la realtà in modo da renderla appropriata a un piacere rinviato nel tempo e plasmato dalle capacità del desiderio di fare i conti con le possibilità di essere soddisfatto da parte dell’ambiente.

Il principio di realtà non annulla dunque il principio di piacere, ma lo riorganizza. In questo procedimento «adattativo» il principio di piacere non scompare, ma continua a regnare e a presiedere i processi inconsci e le loro manifestazioni oniriche. Dobbiamo tuttavia renderci conto di come il passaggio dalla pulsione (naturale, geneticamente predeterminata) al desiderio (in cui natura e cultura interagiscono) è per noi e per l’argomento su cui stiamo riflettendo uno snodo fondamentale, poiché attiene al mondo dell’educazione e dello scambio simbolico.

Tutti i bambini desiderano cibi capaci di assecondare il principio di piacere, e questo desiderio è il prolungamento evolutivo del naturale bisogno di cibo. In tempi e luoghi differenti, tuttavia, gli «oggetti del desiderio» sono diversi: un bambino cinese, un groenlandese e un italiano desiderano cibi differenti perché le abitudini culturali e le disponibilità alimentari dei due luoghi sono differenti e «educano» desideri differenti. Ma anche all’interno dello stesso contesto culturale i desideri cambiano in relazione alle abitudini familiari: ci sono bambini italiani che considerano un frutto una leccornia, altri per i quali la fetta di pane su cui la mamma ha spalmato burro e marmellata è il massimo della golosità, altri per i quali l’unica soddisfazione del principio di piacere alimentare è la merendina industriale. Queste differenze, come è ovvio, non riguardano predisposizioni naturali ma i modi in cui è stata pilotata, anche con il rinforzo affettivo, la strutturazione del principio di realtà.

Vorrei sottoporre all’attenzione dei lettori due opere visuali realizzate in epoca romantica che hanno per tema il rapporto madre-figlio.

La prima è Maternità, un olio su tela realizzato nel 1885 dall’impressionista Pierre Renoir. La madre dedica cura e affetto alla creatura che, appoggiata sul suo corpo, succhia il latte e gode del contatto con il seno della mamma con l’espressione un po’ imbambolata che hanno spesso i bimbi nella fase più intensa dell’appagamento della loro istanza di piacere, mentre la mano che afferra il piede sembra testimoniare quello stato in cui il bambino (e in un certo senso anche la mamma) non hanno coscienza di dove finisca il proprio corpo e cominci quello altrui.

Pierre Renoir, Maternità, 1885.

George Dunlop Leslie, Alice in...



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