De Santoli / Consoli | Territorio zero | E-Book | www.sack.de
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E-Book, Italienisch, 109 Seiten

De Santoli / Consoli Territorio zero


1. Auflage 2013
ISBN: 978-88-7521-507-1
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 109 Seiten

ISBN: 978-88-7521-507-1
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
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Territorio Zero è un manifesto che impegna chi lo sottoscrive a realizzare un programma di sviluppo territoriale rispettoso delle risorse naturali in una visione innovativa. Contiene un programma politico-amministrativo, fondato su basi tecnico-scientifiche, che suggerisce soluzioni operative alle nuove generazioni di amministratori degli enti locali. Chi sottoscrive il manifesto di Territorio Zero non mette quindi una firma come un'altra su un lodevole progetto, ma si assume l'impegno di affrontare tutte le tematiche territoriali secondo una visione del mondo diversa. dall'introduzione di Livio de Santoli e Angelo Consoli

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VERSO TERRITORIO ZERO.
MANIFESTO PER UNA SOCIETÀ A EMISSIONI ZERO,
RIFIUTI ZERO E CHILOMETRI ZERO


Introduzione

Eccoci. Territorio Zero è un manifesto che impegna chi lo sottoscrive a realizzare un programma di sviluppo territoriale rispettoso delle risorse naturali in una visione innovativa.

Ma non solo. Territorio Zero contiene un programma politico-amministrativo, fondato su basi tecnico-scientifiche, che suggerisce soluzioni operative alle nuove generazioni di amministratori degli enti locali.

Chi sottoscrive il manifesto di Territorio Zero non mette quindi una firma come un’altra su un lodevole progetto, ma vorremmo si assumesse l’impegno di affrontare tutte le tematiche territoriali (ambientali, agricole, energetiche, urbanistiche, sociali, economiche) secondo una visione del mondo diversa. Diversa come? Unitaria e olistica, ossia consapevole dei cambiamenti del secolo che abbiamo cominciato ad attraversare, e sovversiva rispetto alle politiche sociali esistenti legate alle logiche del passato.

C’è una constatazione preliminare da fare: il modello economico della seconda rivoluzione industriale è entrato in una crisi che è strutturale ed è fortemente intrecciata con la crisi energetica, climatica e ambientale. Oggi, senza essere catastrofisti, questa crisi rappresenta una minaccia per la civiltà come la conosciamo.

Ce l’avete presente la devastazione dei territori e delle risorse naturali (terra, acqua, aria, salute pubblica), e come questa si accompagni al progressivo affermarsi di una società estremamente diseguale e a un potere economico concentrato nelle mani di pochi, pochissimi? La ragione è che lo sfruttamento delle fonti energetiche convenzionali presuppone un’invadenza dei capitali e una progressiva e definitiva espulsione del fattore umano dai processi produttivi.

Il modello esistente, nato con la geopolitica e la mercificazione delle risorse naturali tramutate in durante la seconda rivoluzione industriale, ha espropriato di fatto le comunità locali della possibilità di controllare i propri destini economici, perché le ha private della sicurezza di accesso all’energia, al cibo, all’acqua, ai beni comuni, e in definitiva di qualunque speranza per il futuro; al senso comune è rimasta la rassegnazione all’idea che l’inquinamento, le emissioni di gas serra, la produzione di rifiuti, la mercificazione dei beni comuni, la distruzione dei saperi agricoli tradizionali siano pedaggi da pagare per un non meglio precisato «progresso».

Che si fa? Il modo per agire efficacemente sulle cause (e non solo sugli effetti) di tale modello distorto è da una parte quello di uscire dalla logica del profitto e della concentrazione della ricchezza: questo riguarda sia l’industria (grandi fabbriche, grandi centrali) che l’agricoltura (coltivazioni intensive basate su prodotti chimici) che la distribuzione (grandi centri commerciali e consumismo esasperato con incremento esponenziale della produzione di rifiuti). Dall’altra parte occorre abbracciare un modello di sviluppo olistico, caratterizzato da tecnologie ad alta intensità di lavoro e a bassa intensità di capitali e di profitti. Questo nuovo modello di sviluppo non può che fondarsi su una idea di società in cui emissioni, rifiuti, speculazioni sui beni agricoli, sull’economia reale, consumo del territorio e distruzione del valore/lavoro vengano progressivamente ridotti a zero.

Per questo abbiamo battezzato il nostro manifesto Territorio Zero. Perché siamo convinti di trovarci anche in un «anno zero» per quello che riguarda il fare politica. Quelli che si occuperanno di «riparare» il mondo saranno soggetti del tutto nuovi rispetto a coloro che hanno creato la crisi che stiamo vivendo: a partire dalle comunità locali, dalle piccole e medie imprese, da tutti quelli che creano ricchezza distribuita, che decentralizzano il potere agli enti locali, che insomma riassegnano un ruolo attivo e responsabile a ciascun individuo.

Cosa propone Territorio Zero? Di programmare le attività economiche a livello locale secondo:

1. un nuovo modello energetico distribuito, che permetta di raggiungere la necessaria massa critica a partire dalle fonti rinnovabili secondo uno schema di rete e di comunità;

2. un nuovo modello agricolo basato sulla decarbonizzazione dei processi produttivi e la valorizzazione delle produzioni locali di qualità, capace di fornire ai coltivatori un accesso diretto al mercato per i loro prodotti e insieme un reddito decoroso;

3. un nuovo modello per la chiusura del ciclo di vita dei prodotti, che sviluppi quelle attività in grado di risparmiare, riciclare e riusare secondo i principi di «rifiuti zero»;

4. un nuovo modello urbanistico, che invece di alimentare il consumo del territorio, riqualifichi e migliori le condizioni delle strutture esistenti.

Territorio Zero promuove, a partire dal livello locale, un’economia reale, in opposizione a quella virtuale e speculativa. Un’economia capace di valorizzare la produzione effettiva di beni e servizi per la comunità, attraverso la riduzione di: emissioni climalteranti, rifiuti, intermediazione parassitaria, disoccupazione, devastazione del territorio.

Agricoltura ed energia a chilometro zero

L’attuale instabilità del sistema economico è evidente che si ripercuota in maniera pesante sul sistema produttivo primario dell’agricoltura, che necessita di un ripensamento non più in termini di comparto, ma attraverso una visione più ampia: tecnica, ambientale, sociale oltre che economica.

Questo vuol dire che, al posto del controvalore finanziario del processo e del prodotto, dovrà essere considerata la componente sociale, identitaria e territoriale: ossia la capacità di diffondere gli effetti positivi su una superficie più grande del solo fondo di produzione. Le categorie agricole conoscono l’importanza di progettare un nuovo modello di sviluppo tenendo conto del rispetto delle risorse naturali, di un rinnovato rapporto tra città e agricoltura, di un equilibrio tra urbanizzazione e ruralità, e proprio per questo non si sottraggono al compito di ripensare in questo modello di sviluppo l’aspetto dell’innovazione, dell’integrazione tra saperi, tra generazioni diverse, tra diversi strati sociali.

Le previsioni indicano due dati su cui riflettere: 1. una crescita della produzione agricola mediamente inferiore ai tassi di crescita usuali (OCSE, 2009); e 2. una perdita – a seguito del rispetto delle risorse naturali, dell’aumento della popolazione mondiale e dello sviluppo degli insediamenti entro il 2025 – di trenta milioni di ettari di superfici agricole a causa della impermeabilizzazione dei suoli. I prezzi degli alimenti rischiano di diventare sempre più volatili, e questo come può non ripercuotersi dannosamente anche sulla stabilizzazione degli approvvigionamenti e la sovranità alimentare del territorio?

Il divario tra popolazione denutrita e malnutrita e popolazione in eccesso di peso non potrà che aumentare: attualmente un miliardo di persone vive il problema della fame a fronte di un cinquanta per cento di cibo prodotto che viene sprecato.

In questo scenario diventa un imperativo etico riportare l’uomo al centro delle attività di rilancio di un’agricoltura di qualità basata su un’economia della conoscenza che sappia mettere insieme i saperi agricoli tradizionali e le tecnologie energetiche innovative.

Nel contesto di questa piccola rivoluzione agricola ci si deve focalizzare su poche priorità:

• una valorizzazione del paesaggio e di conseguenza del turismo;

• lo sviluppo di mercati a filiera corta per le produzioni agricole locali attraverso strumenti di commercializzazione vecchi e nuovi, dai mercatini di quartiere ai e alla , alla prescrizione della filiera corta per tutte le attività gastronomiche sul territorio, dalle mense scolastiche ai ristoranti, i supermercati e i negozi alimentari;

• una definizione di attività di agricoltura in città;

• l’incentivazione e il potenziamento delle imprese agricole con particolare riferimento all’inserimento dei giovani nelle attività agroproduttive;

• una programmazione energetica che applichi all’ambiente e alle attività agroproduttive tecnologie ecocompatibili; l’interesse per le agroenergie non deve diventare sostitutivo delle attività agricole, anzi deve risultare come motore del loro sviluppo.

Questa sinergia che abbiamo sottolineato all’ultimo punto svela quelli che sono i principi fondamentali per un rapporto coerente tra agricoltura ed energia in termini di compatibilità e sviluppo.

Al primo posto, la valorizzazione del territorio, il che innanzitutto significa non depauperare le risorse quantitative e qualitative del suolo. L’agroenergia deve essere intesa come il recupero di una capacità imprenditoriale e quindi produttiva di beni, non in contrasto con la missione alimentare della produzione agricola, che in un paese ricco di biodiversità come l’Italia è di grande qualità. La produzione di agroenergie non deve intaccare le foreste, le aree ricche di biodiversità ma sostenere le pratiche agricole sui terreni degradati o non più destinati al settore agroalimentare. Si deve passare dal modello delle colture agroenergetiche...



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