E-Book, Italienisch, 224 Seiten
Reihe: Intrecci
Di Dio La Sublime Costruzione
1. Auflage 2021
ISBN: 978-88-6243-497-3
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 224 Seiten
Reihe: Intrecci
ISBN: 978-88-6243-497-3
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
La città di Andrej non esiste più. Tutto il suo mondo è stato spazzato via da una catastrofe seguita a una lunga guerra. L'unica possibilità di riavere una vita è offerta da una fantomatica corriera diretta verso nord, alla volta di un cantiere dove si sta realizzando un oscuro progetto universale: La Sublime Costruzione, che promette lavoro e benessere a chiunque voglia farsi assumere. Andrej e l'inseparabile amico Årvo s'imbarcano sull'enorme corriera bianca che li accoglie come una navedormitorio, sotto la guida di strane figure di reclutatori, iniziando così un'ipnotica e rischiosa traversata dell'infinita notte nordica. Il viaggio è lungo e la strada difficile, gli inganni e le illusioni si moltiplicano, i reclutati dovranno affrontare cinque tappe simboliche, cinque falsi approdi, ognuno dei quali ha come riferimento una peripezia di Ulisse. Tra ammalianti pescatrici, terre popolate da 'sonnivori', colossi dalla forza sovrumana e temibili maghe, un romanzo dalla potenza odisseica, un'affascinante fantasia sul senso della vita dal sapore buzzatiano.
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II
L’ATTESA
Un giorno, alle prime luci, lo sentimmo tutti, credo. Vidi spuntare diverse teste, in mezzo agli alberi abbattuti del parco, le foglie crepitavano continuamente come se nascondessero serpenti a ogni passo. Ci si rifugiava lì, le ore infinite della notte, in mezzo a un cimitero di tronchi, ognuno nel proprio nido vegetale costruito fronda dopo fronda come uccelli feriti e spaventati dal buio. Nessuno sembrava aver paura, però, tra gl’inquilini del parco, quella mattina, il suono che proveniva dalla strada non ricordava crolli o rovine, ma piuttosto lo squittire di un giocattolo: una tromba stonata e invisibile, sempre più fiacca man mano che si allontanava, accompagnata dalle sgassate di un camion. Il primo a uscir fuori dal proprio buco fu Gengis, un uomo grande e liscio come un sasso gigantesco, che aveva fatto il bidello nella mia scuola e a volte si occupava di me quando i miei genitori erano in viaggio. Gengis rispose a quel suono quasi fosse un segnale concordato. Si precipitò veloce lungo la discesa, a gambe rigide come una mummia, fino al cancello di ferro semidistrutto, poi uscì sulla strada e lo perdemmo. Ma subito si sentì un riso o un sospiro lieve e dopo, improvvisamente, un verso stridulo lunghissimo. “Gengis!” gridai. “Torna indietro!” Ma il silenzio aveva di nuovo occupato il parco, nemmeno una foglia si sentiva più, e intorno erano scomparsi tutti. Non ebbi il coraggio di correre al cancello, ma piano piano mi mossi in mezzo alle cortecce marce e ai cani coperti di fango e raggiunsi un pino con le radici rivolte al cielo: la furia l’aveva divelto lasciandolo coi piedi all’insù, lungo i resti del muro di cinta. Mi ci accucciai dietro, osservai per un po’ tutta la strada e con le orecchie scavai l’aria per disseppellire ogni minimo suono. Poi, quando il silenzio era ormai insopportabile, mi alzai di scatto e mi lanciai verso la piazza, guardando dritto davanti a me, solo avanti guardavo, e con una violenza correvo che le gambe mi pareva si sciogliessero dallo sforzo, che velocemente si consumassero come gelato che si squaglia. E quando arrivai alla torre ormai respiravo con gli occhi e, boccheggiando con le mani sulle ginocchia, mi fermai sputando fegato davanti a Puk. Per fortuna se ne stava là come sempre, sopra il suo piedistallo di legno. Senza aspettare di riprendermi, gli chiesi: “Ho perso Gengis, l’hai visto?... L’hanno preso?...” Mi disse subito di venirgli più vicino e con la mano fece segno di abbassarmi. Mi brancò il bavero della giacca e mi sussurrò: “Vuoi salvarti, Andrej?” Provai a rimettermi dritto ma lui non mollava la presa. Mi tirò ancora di più verso di sé, quasi gli toccavo gli occhi tumefatti con la guancia, e con la sua voce frusta mi disse: “Stanotte parte una corriera, dalla Porta dell’Est. Dicono che faranno salire chiunque... tu sei tra i pochi che possono ancora farcela.” “E le strade?...” chiesi. “Hanno spianato tutto, verso est... tieni!” E mi mise in mano un mazzo di foglietti sporchi di fango e di morchia, dei volantini tagliati male con impressa un’immagine appena visibile, così stinta che sembrava quasi evaporare mentre la guardavo. Non ce n’era uno, di quei fogli, che si distinguesse per nitore, con tutti si era costretti ad avvicinare la carta per riuscire a percepire la figura. S’intravedeva solo una torre immensa che svettava altissima in un cielo solcato da nubi azzurre e grigie. Una torre composta da un gran numero di anelli tutti uguali, ornati da ordini di duplici arcate, e sempre più stretti man mano che la costruzione si alzava. Ma la sommità era inconclusa, come se i progettisti di quella mirabile opera volessero bucare la calotta celeste e arrivare chissà dove. Sotto la torre si leggeva un nome scritto in grande, a caratteri gentili: La Sublime Costruzione. “Ma cos’è?” chiesi. “Ogni tanto passano con un camion, li distribuiscono e attaccano manifesti; e a volte si portano via qualcuno. Vengono da nord, ma non sono sempre gli stessi, li troverai sulla corriera di stanotte. Leggi: è tutto scritto lì... dicono che prendono chiunque...” Sotto l’immagine svanita di ciascun foglietto c’era scritto:
Uomini e donne della città,
LA SUBLIME COSTRUZIONE,
il nostro progetto universale, ha bisogno di voi!
La Sublime Costruzione darà lavoro a tutti, nessuno escluso!
Ognuno potrà dimostrare le sue doti e le sue abilità!
QUESTA NOTTE ALLE 23, DALLA PORTA DELL’EST,
partirà l’ultima corriera
per raggiungere il nostro cantiere perenne!
È l’ultima occasione per riprendervi la dignità che vi spetta!
Non perdetela: la fortuna è cieca,
non saprebbe ritrovarvi ancora!
“Perché non vieni anche tu?” chiesi a Puk. “Posso aiutarti.” Scosse la testa e sputò. Aspettai che parlasse e intanto facevo finta di guardare da un’altra parte, ma niente. Dopo un po’ gli tesi la mano e dissi: “Buona fortuna, Puk.” Lui me la strinse con tutte e due, e sottovoce mi disse: “Ricordati, tu sei tra i pochi...” Mentre mi allontanavo nella piazza deserta, sentii la sua voce che mi strillava un’ultima cosa: “La Su...me Costruz... non è un... è solo u... gio...” Ma le scariche di una tramoggia piena di ghiaia la cancellarono in parte. Alzai una mano in segno di ringraziamento e per tutto il tragitto fino alla mensa non pensai ad altro, solo a quelle parole: La Sublime Costruzione. Che razza di cantiere poteva essere? e cosa voleva dirmi Puk? cosa dovevo aspettarmi?
Da qualche giorno un gruppo di donne scortate da un presidio militare era riuscito ad allestire una mensa nella corte di un’antica sauna vicino al parco. La si vedeva di lontano, col vapore delle zuppe che si alzava in segnali di fumo oltre le pile di pietre accatastate. Camminando sulla lieve salita per arrivare alla mensa, subito pareva di avvistare un santuario antico, ma quando ci si avvicinava di più si notava solo un palazzo nudo i cui muri, divorati dal disastro, lasciavano intravedere quattro colonne monche che sembravano i denti di un gigantesco sauro ormai estinto. Lungo tutto il perimetro del loggiato senza soffitto, avevano sistemato dei tavoli grezzi e in mezzo, sopra un focolare limitato dai sassi, c’erano sempre pentole colme di brodi bollenti. Andai in cerca degl’inconfondibili occhi di Årvo, dimessi e disillusi come quelli di un asino. Un fenomeno stravagante gli permetteva di farsi notare sempre, al mio amico Årvo, nonostante non fosse l’uomo più singolare della terra: saranno stati quei baffi spessi che sembravano il collo di pelo di un cappotto da signora; sarà stata quell’aria da recluta, soprattutto quando fumava, condannata a fare il servizio militare per tutta la vita; chissà. Lo vidi subito, infatti, calato in una tazza di brodo fino alle orecchie. Portava il suo cappello da ferroviere e le lenti degli occhiali erano appannate dal vapore della zuppa. Mi sedetti di fianco a lui e lo osservai mentre beveva. Girava contemporaneamente gli occhi verso di me, senza smettere; quando si staccò dalla tazza asciutta, gli penzolavano dal baffo delle liane di formaggio fuso: non era un bel vedere. Dissi: “Ce ne andiamo. Stanotte alle undici dobbiamo trovarci alla Porta dell’Est: una corriera ci porta in un posto dove ci danno un lavoro.” “Quanto pagano?” chiese. “Non so, ma che importa: è un modo per schiodarci da qua.” “Io so fare solo il ferroviere...” disse Årvo. “Io non so più cosa so fare, ma questi ci prendono lo stesso, to’, guarda” e gli misi in mano un volantino, attento a non destare la curiosità del branco di aspirabrodi che ci stava intorno. Con un altro foglietto gli pulii la bocca mentre leggeva, come facevo quando eravamo a scuola. Coi baffi o senza, il problema di Årvo come al solito stava lì: c’era sempre qualcosa a penzolargli tra naso e bocca. Disse: “Ma cos’è?” “Non so, parla di un cantiere, c’è scritto chiaramente che prendono tutti, ma comunque meglio non spargere la voce.” “E come facciamo con le mie bestie?” “Mah... di sicuro non potremo portarle con noi.” “Ma lo sai, non posso lasciarle così...” “E dove troviamo da mangiare, adesso? Ancora due giorni e le tue riserve di cibo per loro saranno finite. Meglio lasciarle libere che farle crepare di fame... È triste, lo so, mi dispiace...” dissi, e pensai subito a quanto teneva al suo piccolo allevamento, a come aveva invertito i ruoli, alloggiando in una baracca di legno che sembrava una stalla, mentre quelle strane bestie ibride, le sue sigulde, dormivano in una capanna molto simile a una vera casa. Årvo guardava fisso in un punto, muto, e pareva non si sarebbe più mosso nei secoli a venire, quando all’improvviso si tolse il cappello e disse: “Va bene, vado a prepararmi, ci vediamo alle undici alla Porta.” Scavalcò la panca e se ne andò rapido, feci solo in tempo a seguirlo con gli occhi e lo rincorsi con la voce: “Hai bisogno?” gli chiesi, ma era già in fondo alla discesa e le parole rotolarono inutili sulla strada come ciottoli.
Lasciai passare tutte le ore necessarie a vincere le ultime tignose resistenze alla partenza, e quando il buio si fece profondo, tornai in cerca di Årvo per ripassare insieme a lui le pratiche di sopravvivenza che il nuovo mondo ci avrebbe richiesto. Ma né in mensa né al suo rifugio dentro al parco era possibile trovarlo, e nemmeno Puk lo aveva visto passare dalla piazza.
La strada per arrivare alla palude fiancheggiava la ferrovia ma, dopo l’inondazione, in diversi tratti le...