E-Book, Italienisch, 213 Seiten
Enter La presa
1. Auflage 2014
ISBN: 978-88-7091-371-2
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 213 Seiten
ISBN: 978-88-7091-371-2
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
'Felici così non lo saremo mai più' è la frase che da vent'anni risuona nell'orecchio di Paul. All'università formava con Vincent, Martin e Lotte un inseparabile quartetto di amici e appassionati alpinisti, ma dopo una scalata sulle isole Lofoten le loro strade si sono improvvisamente divise. Solo oggi, in un'assolata mattina d'estate, alla stazione di Bruxelles, ha inizio il viaggio che li porterà a rivedersi. Ma più l'incontro si avvicina, più la tensione sale, e la memoria torna su quelle vette sospese tra il mare e il cielo, quando il mondo era ancora fatto di sogni e possibilità senza fine, quando Vincent era troppo preso dalle sue sfide per dare ascolto al cuore, Martin non aveva altri desideri che il riscatto sociale, e Lotte era un presuntuoso maschiaccio, ma così affascinante, così inafferrabile. Fino a quell'irrecuperabile attimo in cui il caso o l'urgenza della vita li ha chiamati a una scelta che ha segnato il loro destino. E solo ora, mentre il puzzle di quei giorni si ricompone, rivelando a ognuno le proprie colpe, debolezze, illusioni verso l'amicizia, l'amore, la felicità, si fa strada la domanda: Ma è davvero questa la vita che volevo vivere? Con un raffinato romanzo psicologico che segue il ritmo del pensiero in un crescendo d'intensità, sullo sfondo di una natura estatica che sembra prendersi gioco di ogni ambizione umana, Enter racconta il rischio di vivere, la vertigine della libertà di scelta, quella presa che continua a sfuggire nella scalata del destino, e il potere unico del ricordo di rendere eterno un attimo, di fermare l'inesorabile clessidra del tempo.
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1
Dio, era lui. Paul van Woerden era davanti al bancone con il portafogli aperto, allungò per caso lo sguardo oltre la commessa e lo vide passare fuori. Sì, era lui, non aveva dubbi: Vincent Voogd, il più abile di tutti gli alpinisti, riconoscibile all’istante ancora dopo vent’anni. La stessa faccia burbera, le stesse basette arruffate. Aveva una giacca spigata alla moda, un piccolo trolley che si trascinava dietro come un cagnetto recalcitrante e teneva un giornale davanti agli occhi. Era così assorto nella lettura che urtò un passante e – un classico – anziché porgere le sue scuse parve riceverle.
La commessa avvolse l’acquisto nella carta argentata e ci strinse intorno un nastro lucido. Paul la ringraziò con un sorriso, che però s’infranse contro il rosso ciliegia delle sue labbra serrate. Prese lo zaino, se lo mise su una spalla e avanzò nell’atrio della stazione.
Non individuò subito Vincent. Nel giro di pochi minuti la folla di viaggiatori di era raddoppiata. Era tutto in movimento, nell’aria ronzavano almeno una decina di lingue diverse, una truppa di studenti assediava una bancarella di gaufre dal profumo inebriante. Più avanti, nell’atrio di sotto dove era diretto, si era formata una fila al check-in, ma Vincent non si vedeva ancora. Paul si fermò in un angolo libero accanto a un chiosco e posò a terra il bagaglio. Il logo giallo e bianco dell’Eurostar gli splendeva davanti discreto, l’intero piano sotterraneo della stazione luccicava di cioccolaterie, una rivendita di alcolici, un caffè, una profumeria e ogni sorta di altri negozietti e per un attimo Paul ebbe la visione di una grotta incantata piena di volti in attesa – ogni viaggiatore si lasciava alle spalle tutti i suoi averi preparandosi per un viaggio al centro della Terra.
Attenzione ai borseggiatori, risuonò una voce nell’atrio. Non lasciate incustoditi i vostri bagagli, . Paul tamburellava con le dita sul pacchetto. Inspirò a pieni polmoni (che delizia quelle gaufre!), si allungò per guardare sopra tutto e tutti e all’improvviso si rese conto del proprio entusiasmo, un crescente senso di felicità. Rise di sé: è proprio vero che non si cambia mai! Un’occhiata fugace, un gancio della memoria e si era di nuovo lasciato sopraffare da Vincent. Del resto all’epoca ci cascavano tutti: per la sua faccia tosta e la singolare facilità con cui riusciva a ridimensionare tutto, compreso se stesso, perché sapeva benissimo di essere spudoratamente competitivo, uno di quelli che non vedono l’ora di dimostrare chi arriva prima alla vetta, chi legge meglio le cartine, chi è il più veloce a montare la tenda. Una volta nel Canton Vallese erano rimasti fermi mezz’ora sulla riva di un lago artificiale liscio come uno specchio perché Martin aveva fatto rimbalzare un sasso nove volte sull’acqua e Vincent non si era voluto muovere prima di riuscire a fare dieci rimbalzi, senza accorgersi di risultare ridicolo agli occhi di tutti gli altri. A posteriori veniva da chiedersi perché nessuno avesse perso la pazienza, ma bisognava sapere com’era fatto, Vincent, aver conosciuto la sua giovialità disarmante.
Paul cominciava ad avere caldo. Si tolse l’impermeabile e lo posò sullo zaino. E, pensò con un misto di autoironia e imbarazzo rivedendosi davanti a quel lago (a diciannove o vent’anni, secco come un chiodo, il collo e il naso bruciati e i capelli schiariti dal sole), quanto aveva desiderato essere come lui, cambiare, avere la sua mentalità ferrea, la capacità di eliminare il dubbio da ogni cosa sostituendolo con una patina di brillante audacia. Dio, non poteva che sentirsi un idiota ripensando agli anni dell’università! Per quanto ora si rendesse conto che era l’autolesionismo tipico dell’età – quell’ansia spasmodica di nascondere e correggere ogni proprio difetto. Con gli anni, pensò guardandosi intorno in mezzo alla babele di lingue e all’aroma zuccheroso delle gaufre, le cose cambiavano, non prendevi più tutto così sul serio e il giudizio degli altri ti sfiorava appena. E ripensandoci, non era forse un miracolo che uno così sprovveduto non avesse combinato guai più grossi? Ma eccolo di nuovo, Vincent, stava arrivando con passo tranquillo, battendosi distrattamente il giornale sulla gamba, la testa in su e il labbro inferiore criticamente proteso mentre studiava gli inutili orari dei treni locali dai pannelli appesi al soffitto.
Paul raccolse le sue cose e gli andò incontro. “Bene!” disse – il che suonò piuttosto strano, perché non salutava mai nessuno così e oltretutto gli era uscito con una voce molto più forte del voluto. E dal nulla spuntò il ricordo del loro primissimo incontro, quando Vincent gli aveva domandato se “quella fessura” nel mento fosse ereditaria. Infilò il pacchetto sotto il braccio e gli tese la mano. Vincent pareva sorpreso e gliela strinse senza troppa convinzione. Ora che lo aveva davanti (erano esattamente alti uguali) Paul poté constatare come in effetti Vincent non fosse cambiato per niente. Sì, era praticamente identico, pensò. Ed ecco riaffiorare tutti i ricordi! La prima impressione di scontrosità e riservatezza, e poi quella sensazione a pelle di essere un privilegiato (quasi una sorta di gratitudine) quando lui, come se fosse scontato, ti coinvolgeva in qualcosa. Intorno agli occhi era comparsa qualche ruga e forse i tratti del viso erano più spigolosi, ma la pelle aveva un colorito sano e le guance erano perfino rosee. E nemmeno un capello grigio o la minima avvisaglia di calvizie. Sì, fenomenale: come aveva conservato quel suo portamento eretto, dritto come un fuso, l’invariata forza di volontà che emanava.
“Sapevi che venivo, no?” chiese Paul allegramente.
“Non sapevo niente. Cioè… pensavo che magari prendevi l’aereo.” Vincent abbassò lo sguardo sul pacchetto.
“Caffè!” disse Paul. “Un caffè esclusivo, almeno a quanto mi hanno detto. Non mi è venuto in mente altro ma mi pareva un regalo azzeccato, se Martin ci tiene tanto a mantenere la promessa.”
Vincent annuì accennando un sorriso. Naturalmente non aveva dimenticato come Martin ogni mattina apriva per primo la tenda, svegliava tutti gli altri con zelo solenne, faceva il programma della giornata e preparava un caffè così velenosamente forte da attorcigliarti le budella.
“Tu hai qualcosa?”
Vincent annuì. Un whisky giapponese, confezionato alla giapponese. “E con questa roba non si scherza, c’è tutta un’arte dietro. Che poi i giapponesi finiscono sempre per ricondurre ogni cosa all’arte, compresi se stessi.” Intorno alla sua bocca insolitamente larga aleggiava ancora quell’indizio di imprevedibilità e avventura. Allo stesso tempo c’era una certa stanchezza nello sguardo: naturalmente si era dovuto alzare presto per prendere il treno per Bruxelles. Anche se erano ormai cinque anni che Vincent lavorava in un istituto meteorologico di Tokyo, Paul si rese conto di non avere ancora capito di che cosa si occupasse esattamente. Per molto tempo non si erano tenuti in contatto e solo da qualche mese avevano ripreso a sentirsi regolarmente per email. Nell’ultima Vincent lo aveva informato di sfuggita che sarebbe venuto anche lui da Martin: andava a trovare i genitori in Zelanda perciò era «già nei paraggi». E aveva anche precisato quale treno avrebbe preso. Non era forse un chiaro invito a fare il viaggio insieme? Era stato quello a convincere Paul. Fino ad allora aveva tentennato: certo, era curioso di sapere come se la passavano gli altri, ma l’invito di Martin lo aveva colto di sorpresa.
“Bene!” gli scappò di nuovo prima che potesse trattenersi. Poi indicò il banco del check-in e della dogana annunciando cerimonioso: “Signor Voogd, dopo di lei…”
Si unirono alla fila. La visita ai genitori, spiegò Vincent quando Paul glielo chiese, era durata qualche giorno di troppo. Parlava per lo più con sua madre perché il padre stava diventando sordo, e lei non faceva che domandargli perché non si decidesse a sposare una giapponese. Aveva letto che laggiù lo facevano nove europei su dieci e rimanere scapolo era per lei la peggiore sciagura che potesse capitargli. Paul rideva ma faticava a seguirlo; all’improvviso Vincent era troppo vivo per trovarsi allo stesso tempo nel labirinto profondo della sua memoria. Era quella voce, il modo di parlare, amichevolmente sprezzante e provocatore, come se tutto ciò che diceva di altri potesse riguardare anche te. Suonava così stranamente familiare: all’epoca se uno usava quel tono capivi subito che lo stava imitando, e per un istante, come in un risveglio improvviso, Paul rivide quel Vincent, in mezzo alla sua stanza da studente, nella mano tesa un libro verdolino intitolato e quella voce, secca: “Credimi, con le tipe funziona esattamente così.” E poi il suo modo di muoversi, rigido e...




