Gerbaudo | Controllare e proteggere | E-Book | www.sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 272 Seiten

Reihe: Figure

Gerbaudo Controllare e proteggere

Il ritorno dello Stato
1. Auflage 2022
ISBN: 978-88-7452-971-1
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

Il ritorno dello Stato

E-Book, Italienisch, 272 Seiten

Reihe: Figure

ISBN: 978-88-7452-971-1
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Dopo decenni di dominio del neoliberismo e del suo culto del libero mercato, la politica contemporanea è marcata dal ritorno prepotente dello Stato interventista. I piani per la transizione verde, i sussidi per tamponare il crescente malessere sociale, le misure anti-contagio viste durante la pandemia, il ritorno del protezionismo commerciale e la richiesta della destra di chiudere le frontiere agli immigrati sono tutti tentativi di rispondere, in forme diverse, alla pressante domanda di sicurezza. Controllare e proteggere sono i due imperativi che segnano questa fase 'neostatalista'. Controllare, perché viviamo in un mondo che appare fuori controllo, dove si è rotta la cinghia di trasmissione tra il popolo e i suoi rappresentanti; proteggere, perché sono molteplici le ragioni per avere paura e sentirsi vulnerabili. In questo libro basato su un'analisi approfondita del discorso politico in Europa e negli Stati Uniti, Paolo Gerbaudo illustra gli elementi fondanti di questo nuovo paradigma e il modo in cui ridefinisce il campo di battaglia politico; mostra infine come solo investendo in un progetto che unisca protezione sociale e ambientale e reale democratizzazione dello Stato la sinistra potrà evitare la deriva verso un futuro autoritario.

Gerbaudo Controllare e proteggere jetzt bestellen!

Autoren/Hrsg.


Weitere Infos & Material


Introduzione


Durante i decenni dell’era neoliberista – cominciata negli anni Ottanta con le vittorie elettorali di Margaret Thatcher e Ronald Reagan e arrivata al culmine tra anni Novanta e inizio anni Zero prima di cozzare contro la lunga crisi aperta dal crash finanziario del 2007-08 – lo Stato veniva rappresentato nel discorso pubblico come la fonte di tanti problemi che affliggevano la società. Lo Stato era inefficiente, paternalista, corrotto, sprecone, un’entità sempre portata all’intrusione e alla distorsione dell’azione spontanea della società; il vero garante del benessere era il mercato, il luogo in cui l’interesse egoistico degli individui, l’attività creativa degli imprenditori e la ricerca di profitto delle imprese generavano prosperità per tutti. Lo Stato andava tenuto a bada, rimpicciolito, corretto e limitato; tutt’al più poteva servire per mantenere l’ordine pubblico, offrire limitati aiuti ai poveri (ma senza indurli alla pigrizia), fornire la necessaria regolazione al mercato e, quando inevitabile, intervenire laddove esso falliva. Se il mercato era il motore della società, lo Stato era più che altro un freno: un meccanismo da azionare solo quando strettamente indispensabile per correggere i suoi errori o i suoi “eccessi”; insomma, un’entità che non sembrava avere una funzione positiva. Parallelamente a questo attacco ideologico, lo sviluppo della globalizzazione, con la diffusione di imprese multinazionali e la crescita vertiginosa di flussi di merci, capitali e informazioni che attraversavano agilmente i confini nazionali, sembrava segnare un indebolimento pratico dello Stato nella sua forma storica di Stato-nazione; in un’ironia della storia, “l’appassimento dello Stato”1, previsto da Engels a partire dal pensiero di Marx, non era arrivato come risultato del socialismo ma come prodotto del trionfo definitivo del capitalismo. Tuttavia, le molteplici crisi che la nostra società sta affrontando nei primi decenni del terzo millennio hanno riportato alla ribalta l’interventismo dello Stato in molti ambiti. Dalle politiche fiscali e monetarie di fronte a crisi economiche sempre più frequenti, risultato di un mercato senza direzione, alle misure contro la pandemia che hanno visto livelli di mobilitazione dell’apparato statale e imposizioni a cui non eravamo più abituati, al programma della transizione verde contro il cambiamento climatico, che ha portato i governi a stilare piani nazionali di trasformazione del sistema energetico e dei trasporti – a tutti questi livelli assistiamo al ritorno di quello che con Freud potremmo descrivere come il “rimosso” del neoliberismo: lo Stato interventista.

A lungo si è parlato di un “interregno” per segnalare l’apertura di una crisi egemonica del neoliberismo durante gli anni Dieci – segnati dall’esplodere di “populismi” del tipo più diverso – e per esprimere incertezza rispetto alla sua effettiva durata; per non parlare del suo esito. Tuttavia, all’inizio degli anni Venti, non è più sufficiente spiegare la realtà contemporanea come una fase di transizione infinita; l’urgenza politica di un’epoca segnata da eventi traumatici, che fino a poco tempo fa erano impensabili, ci obbliga a provare a immaginare cosa possa venire fuori da questo interregno. Di fatto, negli ultimi anni è già maturata una trasformazione significativa del campo di battaglia discorsivo, dei termini chiave e delle aspettative che organizzano la disputa politica: il neoliberismo sta dando il passo al neostatalismo. Con il termine “neostatalismo” mi riferisco all’emergere di un nuovo orizzonte ideologico basato su un consenso minimo rispetto alla necessità di un maggiore intervento dello Stato. Questo consenso si manifesta in una visione dello Stato come ente attivo e dinamico: uno “Stato attivista”, per usare un’espressione del primo ministro britannico Boris Johnson; uno “Stato investitore”, come quello rivendicato da Joe Biden e visto nei piani di investimento lanciati dopo la pandemia; uno “Stato innovatore”, per citare l’influente libro di Mariana Mazzucato2; uno “Stato protettore”, come definito in uno slogan usato da Emmanuel Macron e diventato tragicamente attuale di fronte al conflitto in Ucraina. Inoltre, esso si concreta in una serie di cambiamenti nelle politiche: abbandono parziale dello stretto imperativo del conservatorismo fiscale e monetario; ritorno del protezionismo commerciale e della politica industriale con l’uso di sussidi, barriere regolative, dazi, difesa della proprietà nazionale delle imprese strategiche; crescente enfasi sul bisogno di una tassazione più equa delle imprese multinazionali e dei grandi patrimoni; e recupero di forme di pianificazione indicativa, specie nel contesto della politica ambientale ed energetica. Politiche interventiste che i neoliberisti consideravano illegittime e pericolose vengono nuovamente viste da diversi attori politici, sia di centrodestra che di centrosinistra, come necessarie.

Al momento, il neostatalismo non è ancora un’ideologia stabile con una dottrina coerente; piuttosto, questo termine indica un cambiamento trasversale dell’impianto simbolico della politica contemporanea, che ruota attorno a una serie di nuove priorità e in buona parte condivise, a cui le forze in campo danno diverse . Inoltre, questa evoluzione ideologica si manifesta in una trasformazione del “senso comune” in cui le percezioni e le attitudini dei cittadini sono in crescente contrasto con l’immagine edificante del “libero mercato”. Negli ultimi anni, diversi sondaggi negli Stati Uniti e in Europa hanno documentato come i cittadini abbiano perso fiducia nella globalizzazione, siano fortemente preoccupati per la disuguaglianza sociale crescente e per il cambiamento climatico, e vogliano che lo Stato intervenga con più decisione per risolvere questi e molti altri problemi per cui non sembra esserci una “soluzione di mercato”. E ancora, sempre più persone guardano con invidia al modello economico della Cina, che grazie a un forte intervento dello Stato è riuscita a mantenere livelli di crescita ben superiori a quelli degli USA e dell’Unione Europea, seppur mantenendo un forte sospetto verso l’autoritarismo. Anche in Occidente, il “libero mercato” non sembra essere più visto come la migliore ricetta per garantire prosperità, e tantomeno “prosperità condivisa”, per usare uno slogan di Xi Jinping.

Questo cambiamento di paradigma è già stato segnalato da alcuni osservatori nei mesi successivi all’esplosione della pandemia del Covid-19. Come dichiarava la rivista statunitense di studi internazionali nel 2020: “Adesso siamo tutti statalisti!”3 In maniera simile, sul Janan Ganesh scriveva: “Il lessico del discorso politico si è spostato a favore dell’intervento statale. Stiamo assistendo a un ritorno in voga di quello che i conservatori sdegnavano come ’Stato amministrativo’”4. Il ritorno dello Stato interventista viene ormai riconosciuto come una tendenza decisiva anche da molti liberali che lo hanno tradizionalmente osteggiato. L’, che negli ultimi decenni non ha perso occasione per attaccare le inefficienze dello Stato, ha dedicato nel novembre 2021 una copertina al trionfo del “big government”, ammettendo che il peso delle istituzioni pubbliche era destinato a crescere nei decenni a venire, a causa di vari fattori, tra cui l’invecchiamento della popolazione, la crisi climatica e le nuove tecnologie. L’unica strategia ragionevole per i “liberali classici” era frenarne gli aspetti più problematici senza sperare di invertire nel suo complesso una tendenza che appariva ineluttabile. Pure in Italia figure che, durante l’età d’oro del neoliberismo – i cosiddetti lunghi Novanta – e la fase della sua decadenza durante gli anni Dieci, hanno sostenuto con entusiasmo le privatizzazioni e le politiche d’austerità stanno sconfessando le loro precedenti posizioni: Mario Draghi, che nel 2011 aveva firmato una lettera intimando al governo Berlusconi tagli immediati alla spesa pubblica, ha affermato il bisogno di un “debito buono” per investire sul futuro; mentre l’ex presidente del Consiglio e attuale presidente della Corte costituzionale Giuliano Amato ha dato un “bentornato” allo Stato interventista nel suo ultimo libro5. Questi riposizionamenti non sono solo manifestazione di quel gattopardismo politico e ideologico che è fenomeno tipico della storia politica italiana; sono anche la prova del nove di un cambiamento delle premesse ideologiche (o meglio meta-ideologiche, dato che non sono limitate a un attore specifico) di un’ampia parte dello spettro politico. Se nell’era neoliberista le domande che organizzavano il dibattito politico erano “cosa dobbiamo aspettarci dal mercato?” e “come dobbiamo gestirlo?”, adesso la questione chiave è “cosa deve fare lo Stato?”.

Questo libro analizza il ritorno dello Stato e l’emergere del neostatalismo come un salto di paradigma nel discorso e nella pratica politica della contemporaneità. La tesi centrale è che ci troviamo nel



Ihre Fragen, Wünsche oder Anmerkungen
Vorname*
Nachname*
Ihre E-Mail-Adresse*
Kundennr.
Ihre Nachricht*
Lediglich mit * gekennzeichnete Felder sind Pflichtfelder.
Wenn Sie die im Kontaktformular eingegebenen Daten durch Klick auf den nachfolgenden Button übersenden, erklären Sie sich damit einverstanden, dass wir Ihr Angaben für die Beantwortung Ihrer Anfrage verwenden. Selbstverständlich werden Ihre Daten vertraulich behandelt und nicht an Dritte weitergegeben. Sie können der Verwendung Ihrer Daten jederzeit widersprechen. Das Datenhandling bei Sack Fachmedien erklären wir Ihnen in unserer Datenschutzerklärung.