E-Book, Italienisch, 319 Seiten
Reihe: Sírin
Gospodinov Cronorifugio
1. Auflage 2021
ISBN: 978-88-6243-503-1
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 319 Seiten
Reihe: Sírin
ISBN: 978-88-6243-503-1
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Nato a Jambol nel 1968, è poeta innovativo e raffinato, prosatore e studioso di letteratura, oggi considerato lo scrittore più talentuoso della Bulgaria. Con il suo esordio narrativo, 'Romanzo naturale' (Voland 2007), accolto come una vera rivelazione, ha immediatamente incontrato il favore di critica e pubblico che ne hanno decretato lo straordinario successo, e ha ottenuto il primo premio del concorso Razvitie per il romanzo bulgaro contemporaneo. È tradotto in diciannove lingue. Di Gospodinov Voland ha pubblicato le raccolte di racconti '...e altre storie' (2008), 'E tutto divenne luna' (2018), 'Tutti i nostri corpi' (2020) e i romanzi 'Fisica della malinconia' (2013) - con il quale nel 2014 è stato finalista del Premio Von Rezzori e del Premio Strega Europeo -, e 'Cronorifugio' (2021), con il quale l'autore si è aggiudicato il Premio Strega Europeo 2021. Di lui è stato detto: 'Definito il Milan Kundera della Bulgaria... potrebbe essere accostato anche a Friedrich Dürrenmat... ma a ben vedere Georgi Gospodinov è uno scrittore unico.'
Weitere Infos & Material
20. IL SIGNOR N.
(fine)
Ma come ci siamo conosciuti? chiede il signor N.
Era la moglie di un suo amico. Poi lui divenne uno dei nostri, aveva commesso qualche peccatuccio e noi lo abbiamo un po’ torchiato. In verità non ha fatto troppa resistenza. Era la nostra fonte principale, ma lei ha sempre sospettato di altre persone, almeno così diceva al telefono. Mi controllavate il telefono? Il sig. A. non rispose nemmeno. Il giorno in cui il suo amico diventò un dirigente del Partito, la moglie venne da lei per la prima volta. Era giovedì pomeriggio, il primo di tutti i giovedì successivi. Il signor N. ascolta e gradualmente comincia a immaginare quella donna, coi capelli lunghi, con la ciocca bianca sulla frangetta e l’andatura disinvolta. Quando passava per strada, tutti si voltavano. Un noto regista aveva perso la testa per lei, aveva messo in scena un intero spettacolo, l’attrice si presentava così, con la coda di cavallo, il ricciolo bianco... Tutti sapevano a chi si ispirava. Il regista fu spedito d’ufficio in un altro teatro, lo spettacolo vietato, il suo matrimonio finito. Quella donna portava solo guai, disse il sig. A.
Perché mai l’agente segreto, il sig. A., continua a venire? All’inizio verosimilmente per curiosità e per paura di essere ricattato. Capisce presto però che un pericolo del genere non sussiste. C’è poi un’altra cosa. Se il signor N. non ricorda nulla o quasi nulla, allora il sig. A. è assolto da ogni colpa, per così dire. Senza essere in grado di formularlo chiaramente, si rende conto che, se nessuno ricorda, allora tutto è possibile. Se nessuno ricorda diventa equivalente a Se Dio non esiste. Se Dio non esiste, dice Dostoevskij, allora tutto è possibile. Dio si rivelerà nient’altro che una grande memoria immagazzinata. Memoria dei peccati. Una nuvola con infiniti megabyte. Un Dio che dimentica, un Dio con l’Alzheimer ci esonererebbe da tutti i nostri obblighi. Senza memoria, nessun crimine.
Perché dunque il sig. A. viene e racconta? Verosimilmente perché l’uomo non è progettato per vivere a lungo con un segreto. Il segreto, sembra, è una formazione tarda nel corso dell’evoluzione. Nessun animale mantiene segreti. Solo l’uomo. Se dobbiamo definirne la struttura con ogni probabilità si tratta di un nodulo irregolare e granuloso. Nel caso del sig. A. non si tratta di una metafora. Il nodulo è reale, lui ha cercato di far finta di niente per alcuni mesi, ma dopo essere andato dal medico tre settimane fa, ora gli è tutto chiaro. Essere un malato terminale lo libera da molte cose, ma lo sprona per altre. Il persecutore prega la sua vittima di ascoltarlo. La vecchiaia livella. Sono diventati fratelli d’armi, sono passati dalla parte dei perdenti in una battaglia con un finale predefinito. Il sig. A. può infine raccontare tutto. E il signor N. può infine ricevere l’intero racconto che lo riguarda.
Cosa ne è stato di lei? chiede di nuovo il signor N., sempre meno sicuro di volere davvero sentire.
Il sig. A. può cavarsela in mille modi. “L’oggetto non presentava un interesse operativo” è la frase di rito più tipica. Oppure: un altro agente operativo ha rilevato le indagini eccetera. Il sig. A. tace, si arrotola una sigaretta, le dita gli tremano. Solo ora il signor N. sembra accorgersi che negli ultimi mesi il suo interlocutore è visibilmente invecchiato, la pelle è ingiallita, il viso si è fatto più scarno. Due-tre settimane prima aveva telefonato per dire che non sarebbe potuto venire perché doveva fare alcune analisi.
E allora il sig. A. confessa tutto. Come dopo l’arresto del signor N. lei avesse detto al marito che lo avrebbe lasciato all’istante se non faceva qualcosa per il suo amico. Come aveva fatto i bagagli e se n’era andata il giorno dopo, come aveva cominciato ad andare di persona presso le istituzioni preposte. Come aveva chiesto di poterlo vedere e le avevano risposto che il detenuto avrebbe rifiutato ogni incontro con lei. Come, infine, era arrivata anche dal sig. A. Una sera era andata a casa sua e voleva che parlassero del signor N. Poi l’aveva pregato di dirle dove si trovava, di organizzare una visita. Era pronta a tutto...
Di colpo il signor N. si immagina con chiarezza la scena avvenuta tra i due. Con una variante. Il corpo della donna, nudo in mezzo alla stanza, è giovane e bello, davanti a lei c’è il sig. A., però all’età di adesso, un vecchio decrepito, un mucchietto d’ossa. Di colpo gli tornano quelle acidità acute, quella nausea, che non era affatto metafisica, al contrario, aveva una dimensione fisica e perfino fisiologica. Lo stomaco gli brucia, come se qualcuno gli versasse l’aceto in corpo. Mi dispiace, dice il sig. A., sembra paralizzato e aspetta cosa dirà il signor N. Quale che sia, sarà la fine di questa storia.
Il signor N. non dice nulla. Ha solo una terribile voglia di vomitare. L’acidità è tornata, il suo corpo ha ricordato ed è divorato dalla nausea. Mette via la foto, si alza e se ne va. Se fosse un film, sullo sfondo dello schermo vuoto, mentre passano i titoli di coda, si udirebbe uno sparo.
È il pomeriggio del mondo. Un uomo cammina sul marciapiede dalla parte in ombra della strada. Inoltre è agosto, il pomeriggio dell’anno. Il sole passa tra le foglie degli alberi e proietta un’ombra screziata sui lastroni. Non c’è altro, le case riposano con le pareti infuocate, da qualche parte, attraverso una finestra aperta, si sente suonare una radio dimenticata. La scena è pulita, quasi da film. Di fronte appare una donna, si ferma accanto all’uomo, entrambi sono all’ombra. (Qualcosa del genere è il passato assoluto – il pomeriggio del mondo, un riparo all’ombra di un albero.) Poco più in là un uomo, che loro non possono vedere, li fotografa. La foto è quasi artistica, coglie le ombre delle foglie sul marciapiede e sui corpi dei due, la figura inclinata della donna e il vuoto della via pomeridiana. Tutto quello che dovrà accadere dopo questa foto non è ancora accaduto.
L’uomo della foto ora tiene sé stesso e la donna in mano. Della coppia sotto l’albero è rimasto solo lui. E il fotografo. Questi è anche l’unico che non dimenticherà la scena fino all’ultimo. Perché questa storia, se ne è ricordato mentre la raccontava, è l’unica nella sua vita piatta. Questa donna, pure unica (scomparsa in circostanze mai chiarite) lo perseguita da allora, insieme all’uomo che sta qui privo di memoria. Questa persecuzione alcuni la chiamano colpa. Ma, come la maggior parte degli altri, il sig. A. non troverà mai la parola adatta.
21. PIANI DEL PASSATO
Un anno prima della storia col signor N. le cose nella clinica di Zurigo andavano piuttosto bene, anche oltre le nostre aspettative. Gaustìn occupava già l’intero ultimo piano dell’edificio, dove si potevano sviluppare ogni tipo di varianti relative agli anni ’60. Non molto tempo dopo la stessa Gerontopsichiatria, che ne era la proprietaria, ci invitò a sviluppare la terapia anche nei loro locali, sicché avevamo in pratica la libertà di disporre di tutto l’edificio. Cominciammo ad aprire stanze del passato e piccole cliniche in alcuni altri stati, inclusa la Bulgaria.
L’Alzheimer e in generale la perdita della memoria stava diventando la malattia a più rapida diffusione. Secondo le statistiche ogni tre secondi qualcuno nel mondo comincia a soffrire di demenza senile. I soli casi accertati erano più di 50 milioni e sarebbero triplicati in trenta anni. Con l’allungamento dell’aspettativa di vita, era ineluttabile. Tutti invecchiavano, uomini anziani portavano qui le loro mogli, tenendole sottobraccio o, al contrario, donne anziane con gioielli discreti accompagnavano il loro compagno, che sorrideva goffamente e chiedeva in che città si trovassero. Capitava che i figli, o le figlie, accompagnassero qui entrambi i genitori, che si tenevano per mano e ormai non riconoscevano più i volti dei propri figli. Venivano per qualche ora, per un pomeriggio nell’appartamento della loro giovinezza. Entravano come in casa propria. Qui dovrebbe esserci il servizio da tè, lo tengo sempre qui... Sedevano sulle poltrone, sfogliavano gli album con le foto in bianco e nero, si “riconoscevano” all’improvviso in alcune di esse. A volte gli accompagnatori portavano i loro vecchi album di fotografie, che preventivamente lasciavamo sul tavolino. C’erano anche persone che facevano appena un passo in una direzione e poi tornavano al centro della stanza, proprio sotto il lampadario.
Un vecchio che portavano spesso amava nascondersi dietro la tenda. Se ne stava là, come un bambino invecchiato che gioca a nascondino, ma il gioco si prolunga, gli altri bambini hanno smesso di giocare, sono tornati a casa, sono invecchiati. E nessuno viene a cercarlo. E lui rimane là, dietro la tenda, e sbircia timidamente per vedere perché tardano. La cosa più tragica di quel gioco consisteva nel capire che nessuno ti cerca più. Grazie a Dio, mi sembra che lui non lo capisse.
In realtà il nostro corpo si mostra pietoso per natura: alla fine un po’ di amnesia invece che anestesia. La memoria, che ci abbandona, ci lascia un po’ giocare per l’ultima volta negli eterni campi dell’infanzia. Alcuni minuti supplicati, dài, ancora cinque, come un tempo davanti a casa. Prima che ci chiamino per l’ultima volta.
E così il passato e Gaustìn conquistarono gradualmente gli altri piani della clinica. Bisognava trovare gli spazi per gli anni ’40 e ’50. Avevamo cominciato con i ’60, come se, in modo inconscio, preparassimo le stanze per noi stessi. Ma anche i pazienti novantenni volevano la loro infanzia e la loro giovinezza. Così la Seconda guerra mondiale fu trasferita...




