Gros | La vergogna è un sentimento rivoluzionario | E-Book | www.sack.de
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E-Book, Italienisch, 187 Seiten

Gros La vergogna è un sentimento rivoluzionario


1. Auflage 2023
ISBN: 979-12-5480-018-8
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 187 Seiten

ISBN: 979-12-5480-018-8
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
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'La vergogna è il sentimento centrale della nostra epoca, il significante di nuove lotte', scrive Frédéric Gros. 'Non si grida più all'ingiustizia, all'arbitrio, all'ineguaglianza. Si grida alla vergogna'. Proviamo vergogna del mondo, della ricchezza di fronte a chi non ha nulla, della fortuna dei potenti quando diventa indecente. Proviamo vergogna per un pianeta che l'umanità sfrutta senza ritegno, per comportamenti sessisti e razzisti. Non si tratta solo di tristezza e ripiegamento su di sé, né di un senso di inadeguatezza paralizzante. Il sentimento indagato in questo libro nasce quando il nostro sguardo sulla realtà rinuncia alla passività e alla rassegnazione, e fa invece dell'immaginazione il suo strumento critico: la vergogna diventa così espressione di una rabbia che è potenza, energia trasformatrice, e assume a tutti gli effetti - come nella lettura di Marx, qui recuperata - un valore radicale. In un dialogo costante con autori e autrici come Primo Levi e Annie Ernaux, Virginie Despentes e James Baldwin, Gros esplora un concetto ancora poco compreso nella sua profondità, nelle sue articolazioni - antropologiche e morali, psicologiche e politiche. La vergogna è un sentimento rivoluzionario perché sta a fondamento di qualsiasi percorso di rivendicazione e rinnovamento.

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Quando ho parlato a un amico del mio progetto di scrivere un piccolo libro sulla vergogna, mi sono sentito rispondere: “Strana idea. Capirei sul senso di colpa: Dostoevskij, Kafka… Ma sulla vergogna…”

Oggi questa reazione mi stupisce, perché la vergogna mi appare ormai come un’esperienza profonda, più ampia e più complessa persino del senso di colpa, articolata in molteplici dimensioni: quella morale e quella sociale, quella psicologica e quella politica. Al punto da chiedermi se gli stessi Kafka e Dostoevskij non fossero soprattutto dei narratori della vergogna.

Nella mia stessa vita mi pare di aver provato più spesso vergogna che senso di colpa, e preso più decisioni in base agli imperativi della prima che alle ingiunzioni del secondo.

Ripenso al passo delle in cui Rousseau racconta il furto di un nastro. L’autore fa fatica ad ammetterlo, e lo fa per la prima e ultima volta nella sua vita come se avesse deciso di esporre una ferita per chiuderla immediatamente – perlomeno agli occhi del mondo. Confessione tanto più difficile poiché egli aggiunge anche di aver lasciato accusare di quel furto una giovane cuoca, Marion. Non c’è dubbio che lei sia stata severamente punita per questa menzogna, e chissà quale tragico corso poteva prendere, all’epoca, la vita di una domestica licenziata per furto.

Ma torniamo a Rousseau: quel nastro rosa e argento, liso, dopo una lunga ricerca viene ritrovato su di lui. Farfugliando, balbettando, il vero colpevole accusa la giovane Marion di averglielo dato. Stupore, perché la ragazza è sempre stata onesta. Viene organizzato un confronto e il giovanissimo Jean-Jacques conferma le sue accuse; Marion, tenera, piange, e naturalmente protesta. Rousseau tiene duro, ribadisce l’addebito con “audacia diabolica”, si trincera nella menzogna come se ne andasse della sua salvezza.

Meglio essere colpevoli davanti all’eterno, meglio la morte che lo smacco crudele d’un solo attimo. La paura della vergogna prevale su tutto. La forza di questo testo non sta nel dipingere una semplice scena di umiliazione, bensì nel descrivere il terrore che alberga nel cuore di chi per nulla al mondo vorrebbe essere esposto nella sua nudità morale, e che con tutte le forze vi resiste.

Quando poi la vidi comparire, il mio cuore fu straziato, ma la presenza di tanta gente fu più forte del mio pentimento. Temevo poco la punizione; non temevo che la vergogna; ma la temevo più della morte, più del delitto, più che ogni altra cosa al mondo. Avrei voluto sprofondare, scomparire nel centro della Terra; l’invincibile vergogna vinse su tutto, la sola vergogna partorì la mia impudenza; e più diventavo colpevole, più il terrore di confessarlo mi rendeva intrepido. Non vedevo che l’orrore d’essere smascherato, dichiarato pubblicamente, me presente, ladro, bugiardo, calunniatore. Un’angoscia totale mi toglieva ogni sentimento1.

*

La reazione del mio amico paradossalmente mi ha incoraggiato. Mi sono detto che se il senso di colpa ha ispirato intere biblioteche, sulla vergogna dovevano essere state scritte meno cose. E invece ho scoperto che in ogni disciplina c’è sull’argomento almeno un autore di riferimento con un testo importante: Serge Tisseron per la psicologia2, Vincent de Gaulejac per la sociologia3, Didier Eribon per la filosofia sociale4, Claude Jamin per la psicoanalisi5, Jean-Pierre Martin per la critica letteraria6, Ruwen Ogien per la filosofia7

Arrivavo buon ultimo.

Ma ho tenuto duro. Dalla mia avevo raccolto intuizioni ed esperienze che non avrei dovuto esplicitamente svelare, emozioni letterarie (James Baldwin, Annie Ernaux, Primo Levi, Virginie Despentes), nonché un’intera galleria di donne umiliate dagli uomini: da Lucrezia a Fedra, dalla Boule de suif di Maupassant alla Anna Karenina di Tolstoj, fino alle operaie della fabbrica Daewoo raccontate in un romanzo di François Bon8 e a tante altre ancora.

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La vergogna è il sentimento centrale della nostra epoca, il significante di nuove lotte. Non si grida più all’ingiustizia, all’arbitrio, all’ineguaglianza. Si grida alla vergogna.

Gennaio 2021, Parigi, rue Saint-Guillaume. Fanno scalpore le dimissioni di Olivier Duhamel, presidente della fondazione nazionale che dirige il prestigioso istituto Sciences Po. In un libro scritto dalla sua figliastra Camille Kouchner, è accusato di ripetuti abusi sessuali nei confronti di un altro figliastro alla fine degli anni Ottanta. E poiché l’allora direttore di Sciences Po era a conoscenza di questi fatti fin dal 2019, alcuni studenti pubblicano una lettera aperta, intitolata “La vergogna”, per chiedere anche le sue dimissioni – Duhamel si era dimesso spontaneamente non appena aveva saputo dell’imminente pubblicazione del libro.

Domenica 6 settembre 2020, Bielorussia. Nelle strade di Minsk sfilano migliaia di manifestanti per protestare contro il presidente Aljaksandr Lukašenka: “Vergogna su di te”.

28 febbraio 2020, Parigi, Salle Pleyel, 45a cerimonia dei premi César. L’attrice Adèle Haenel, all’annuncio della nomination di Roman Polanski come miglior regista, abbandona rumorosamente la sala urlando: “Vergogna, vergogna, è una vergogna!”

Nel gennaio 2020 Jean Ziegler, già relatore speciale delle Nazioni Unite sul tema del diritto all’alimentazione, visita il campo rifugiati di Moria sull’isola di Lesbo e proclama che si tratta della “vergogna d’Europa”9.

Oltre a questi fatti, è fiorito un nuovo lessico per illustrare le nuove militanze e le nuove indignazioni: diciamo , , per allertare sul costo sostenuto dal pianeta per l’aviazione civile e per il digitale.

*

Ci sono altri tre modi di dire contemporanei che valgono come ingiunzioni capitali.

“”

È un sussulto di rabbia e di vita contro la vergogna-tristezza, quella che avvelena l’esistenza, contrasta ogni fiducia nell’altro e ogni gioia di vivere; quella che imprigiona la sua vittima in un doloroso silenzio, nel disprezzo di sé; quella che si nutre di odio della differenza, dell’arroganza dei vincenti e della stupidità maschilista, e che ostacola la resilienza10. Vergogna delle discriminazioni e delle stigmatizzazioni. Un appello alla liberazione della parola, alla riappropriazione di se stessi. Qui si affollano i mercanti di autostima e i coach di self-help che vendono tecniche per affrontare la vergogna e accettarsi. Una sola parola d’ordine: non lasciate che niente e nessuno vi impedisca di essere voi stessi. Amatevi, siate fieri di quello che siete (malgrado le promesse, probabilmente permangono comunque le cicatrici delle ferite interiori).

“”

È il grido d’indignazione dei moralisti, dei pedagoghi, degli psico-coach11, la cui constatazione ricorrente è che ovunque regnano l’esibizionismo e la sfacciataggine. A scuola, al lavoro, in giro, ci si lamenta dell’assenza di limiti, di scrupoli, di barriere all’intimità. E in effetti i social network vivono dell’esposizione spudorata del sé. Trionfano l’inciviltà e la volgarità.

Attraversiamo oggi una crisi della vergogna. Aumentano i comportamenti incivili, la volgarità trionfa, i comportamenti svergognati si diffondono; sono passati di moda l’inibizione, il pudore, lo scrupolo, in particolare a scuola. Se esiste una crisi della scuola, allora è innanzitutto una crisi della vergogna12.

Si reagisce pretendendo maggior discrezione, pudore e privacy. Si sogna di tornare indietro, ben oltre le morali della colpevolezza, alle etiche antiche che avevano nella vergogna (, ) una leva di obbedienza politica, una parola d’ordine sociale, un principio di strutturazione interiore.

“”, o anche “”.

È un grido di rabbia. Rivolto contro i carnefici, gli stupratori, i responsabili d’incesto, ma anche contro i politici opportunisti, gli imprenditori corrotti, i miliardari sfruttatori. È un grido che si sente nelle manifestazioni, che nasce dai movimenti di protesta. In questo grido si manifesta una dialettica tra ira e tristezza; attraverso questo grido si trasmette indignazione, si dà forma alla rabbia collettiva. E la vergogna diventa scintilla, dinamite, esplosivo.

*

Questo libro prosegue il precedente 13. All’epoca mi chiedevo quale potesse essere, malgrado le nostre paure, i nostri condizionamenti e le nostre inerzie, la molla di una disobbedienza coraggiosa – mi riferivo evidentemente non a una forma di delinquenza o d’inciviltà, bensì a una disobbedienza politica (le rivolte contro le decisioni inique, il rifiuto dello , le sfide personali). Evocavo, richiamandomi a Hannah Arendt, la responsabilità, la coerenza con i propri principi, la “conversione a se stessi”. Si trattava di una soluzione intellettualmente convincente ma che non rendeva conto di molte rivendicazioni e minimizzava la potenza immaginativa racchiusa nelle lotte. Quella potenza immaginativa portata dalla vergogna. In effetti bisogna...



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