E-Book, Italienisch, 449 Seiten
Reihe: Narrativa
Hermans La camera oscura di Damocle
1. Auflage 2022
ISBN: 978-88-7091-894-6
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 449 Seiten
Reihe: Narrativa
ISBN: 978-88-7091-894-6
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Willem Frederik Hermans (1921-1995) Narratore, poeta e saggista, oltre che professore di geografia all'Università di Groninga per quasi quindici anni, è stato uno degli autori olandesi più prolifici e versatili del XX secolo. Nel 1977 gli è stato assegnato il Prijs der Nederlandse Letteren, uno dei premi più prestigiosi per la letteratura in lingua nederlandese. Dei suoi libri, tradotti in tutto il mondo, in Italia è stato pubblicato il romanzo Alla fine del sonno (Adelphi 2014), uscito nei Paesi Bassi nel 1966.
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Evert Turlings tornò abbronzato dal periodo di prigionia.
«Che uomini eccezionali i tedeschi, Osewoudt! Vedrai che nel giro di tre mesi avranno sconfitto anche l’Inghilterra! È l’esercito più forte del mondo. Hitler è un genio! Chi poteva pensare che avrebbe liberato tutti i prigionieri di guerra?»
Il figlio del droghiere prese un pacchetto di sigarette senza chiederlo e lo aprì.
«Sono un sostenitore convinto», disse. «Ci hanno dato una lezione da cui possiamo imparare parecchio! Abbiamo visto quanto vale una democrazia marcia. La regina con tutta la sua cricca si è rifugiata in Inghilterra, piantando in asso l’esercito che combatte. È criminale che ci abbiano fatto affrontare i tedeschi senza armi, senza aeroplani, senza niente. E poi, appena le cose si mettono male, loro se la svignano! Io l’ho capito: è l’alba di una nuova epoca, tutti gli staterelli scompariranno. Andiamo incontro all’Europa unificata, un’Europa sotto la guida della Germania, è ovvio. I tedeschi hanno dimostrato quanto valgono, hanno il diritto di prendere il comando. Più noi olandesi ci affratelliamo con i tedeschi, e meglio è. Hitler è magnanimo. Popolo germanico fratello, ci ha definito. Ha lodato il coraggio del soldato olandese qualunque, ha liberato i prigionieri di guerra. Al lavoro, ha detto, e ha ragione.»
«Io non m’intendo di politica», disse Osewoudt.
«Non sei l’unico in Olanda. Hai letto di quell’ufficiale?»
«Quale ufficiale?»
«Era sul giornale di ieri. Durante il bombardamento di Rotterdam un ufficiale dell’esercito olandese ha fatto fucilare in strada due prigionieri tedeschi innocenti, così, senza motivo. Ma come gli è saltato in mente? Hitler è fin troppo magnanimo! Ma se lo beccano, quel tizio se la vedrà brutta. Ammazzare dei prigionieri innocenti. Solo un olandese può fare una cosa del genere. Sul campo di battaglia filarsela al primo sparo, e poi invece uccidere dei prigionieri indifesi. Quel tizio farà meglio a costituirsi al più presto, altrimenti la sua colpa ricadrà sull’intera nazione.»
«Forse non siamo un popolo molto virile», disse Osewoudt, spostando lo sguardo a terra.
Turlings infilò in tasca il pacchetto di sigarette e mise la mano sulla maniglia della porta.
«Passerò un’altra volta! Ti porto un paio di begli articoli di Popolo e Patria che parlano chiaro. La capitolazione risale ormai a due mesi fa, è ora di assumere una posizione chiara. “Prendere coscienza” è il motto dei nostri giorni!»
La porta si aprì, facendo scattare il campanello elettrico. Evert Turlings uscì e il campanello suonò di nuovo.
Osewoudt stava giusto tornando dietro il bancone quando il campanello suonò per la terza volta.
Era Dorbeck, con un abito estivo grigiolino che sembrava nuovo di zecca. Non dava l’impressione di essere basso come Osewoudt. Senza richiudersi la porta alle spalle, mise sul bancone un grosso pacchetto avvolto in carta marrone.
«Bonjour, Osewoudt, ti ho riportato il vestito.»
«Dorbeck! Lo sai che ti stanno cercando? Sul giornale c’è un articolo su di te.»
«Possono cercare quanto vogliono, se non voglio farmi trovare, non mi trovano.»
«Rivuoi la tua uniforme?»
«No, lascia perdere.»
«Tu parli facile, ma io non so cosa farmene», bofonchiò Osewoudt avvicinandosi alle porte sul retro.
Quando tornò con l’uniforme sotto il braccio, Dorbeck era scomparso, lasciando la porta aperta.
Osewoudt mollò l’uniforme sul bancone e corse in strada. Ma proprio in quel momento passò lentamente il tram blu bloccando la visuale. Né vide Dorbeck sul tram, il che per altro non dimostrava che non vi fosse salito.
Il sole splendeva, era una bella giornata. Qua e là c’era gente a passeggio, e in mezzo soldati tedeschi disarmati. Quasi sembrava che non fosse cambiato niente, come se tutto fosse destinato a restare così. Forse Evert Turlings aveva ragione. Forse Dorbeck stava andando a costituirsi. Osewoudt riprese l’uniforme, mise il paletto alla porta e uscì nel piccolo giardino sul retro. Con la pala scavò una buca e seppellì l’uniforme, che aveva già avvolto in un paio di giornali.
Solo di sera ebbe il tempo di aprire il pacchetto lasciato da Dorbeck. Non conteneva solo il suo vestito buono, c’erano anche due piccoli cilindri di latta, una banconota da dieci fiorini e un biglietto dattiloscritto: «Osewoudt, sviluppa subito questi rullini. Non serve stamparli. Tagliali a strisce, imbusta e spedisci a: E. Jagtman, Legmeerplein 25 III, Amsterdam-W. Imbucali domani sera al più tardi.»
Osewoudt guardò i contenitori e capì che non si trattava di normali rullini, ma di cosiddette «pellicole Leica». Non era pratico.
Quella stessa sera andò all’Aia, dall’uomo che aveva appeso alla porta del negozio il cartello di sviluppo e stampa di rullini amatoriali. Ma quando arrivò a casa sua, al campanello c’era un altro cognome e nessuno venne ad aprire. Doveva provare da un altro fotografo? Non ne conosceva, e poi a quell’ora erano chiusi. A Voorschoten l’unico che si intendeva di fotografia era il droghiere Turlings. Poteva chiedere a lui? Con un figlio del genere?
Decise di provare da solo. Ai tempi della scuola gli era capitato di sviluppare un rullino. In cantina trovò una lampadina rossa, sempre dello zio Bart, e un paio di vaschette in una cassa. Gli servivano solo le soluzioni chimiche, ma nemmeno quelle osava prendere dal droghiere. Quindi l’indomani mattina chiese alla madre di occuparsi del negozio, perché Ria era a letto con l’influenza, e andò in bicicletta a Leida.
Quando mezz’ora dopo tornò, il negozio era chiuso. Perfino le tende della vetrina e della porta erano calate, cosa che prima non faceva mai e dall’incursione tedesca solo di sera, perché le case dovevano essere completamente oscurate. Ripensò al giorno dell’Ascensione quando, all’età di quindici anni, era andato a Voorschoten per cercare qualche indizio dell’omicidio di suo padre e aveva trovato il negozio in quelle stesse condizioni; con la sensazione che tutto fosse perduto, pur non sapendo esattamente cosa, infilò la chiave nella serratura. Sua madre venne ad aprire dicendo che lo aveva sentito arrivare. Furibondo cominciò a tirare su le tendine, ma la corda di quella della porta si ruppe, facendola calare di nuovo.
Sua madre spiegò di aver chiuso le tende per tenere fuori due uomini, due tizi che volevano riferire personalmente a Osewoudt il messaggio di un certo Dorbeck. Aveva risposto che lui non abitava lì, che il suo nome era ancora sulla vetrina soltanto pro forma. Poi aveva chiuso la porta e tirato giù le tende. «Non sono stata furba, ragazzo mio?» Era estremamente agitata, il figlio dovette quasi usare la forza per farla tornare a letto. Sulle scale scoppiò a piangere, gli disse che se l’era sentito che sarebbe successo e che bisognava fermare tutto, assolutamente.
«Tu non vuoi aiutarmi! Mi porti a letto come se fossi malata, se non mi ascolti sarà la tua rovina!»
Ma per quanto lei cercasse di spiegare, Osewoudt non riuscì a farsi la minima idea di cosa volessero dirgli i due uomini per conto di Dorbeck. Dal momento che i messaggeri, al contrario di quanto aveva sperato, non si ripresentarono nel pomeriggio, decise che con molta probabilità erano solo passati a chiedere se i rullini erano pronti. Di sera, subito dopo cena, scese in cantina, sciolse in acqua di rubinetto il rivelatore e il sale di fissaggio e accese la lampada rossa a petrolio. Con in testa vaghe immagini di opere di difesa tedesche, spiegamenti di artiglieria, aeroporti, fotocopie di armi segrete e altri segreti militari, estrasse il primo rullino dal cilindro di latta. Le palpitazioni gli tolsero il respiro, al pensiero di tutto quello che avrebbe fatto apparire con i suoi banali liquidi e che sarebbe stato esaminato dallo Stato maggiore in Inghilterra. Ma quando cominciò a srotolare la pellicola, si sentì gelare. La striscia doveva essere lunga due metri. La celluloide era molto rigida, gli sfuggiva ogni volta dalle dita, gli si attorcigliava addosso come un serpente.
E per quanto stesse lì ad armeggiare, non appariva niente. Ogni tanto metteva le strisce davanti alla luce rossa. L’unico cambiamento fu che la pellicola, inizialmente di un bianco lattiginoso, divenne completamente nera. Alla fine mise tutto ad asciugare e andò a letto. Quando al mattino la esaminò di nuovo, non riuscì a scorgere altro che macchie nere. Tagliò i rullini in più parti e infilò tutto in una busta che ripose nel cassetto del bancone. Col sospetto che quel materiale fosse ormai inservibile, e lui non voleva passare per uno capace di riprodurre solo delusioni, fece una cosa che potrebbe essere interpretata come un gesto disperato: prese dalla banca tutto il capitale d’esercizio (seicento fiorini), andò all’Aia ed entrò in un negozio di fotografia dove nel giro di cinque minuti comprò una Leica, che pagò in contanti. Con l’apparecchio salì sul tram per Scheveningen nella speranza di poter fotografare impianti militari tedeschi: batterie contraeree, campi e navi approntate per sferrare un attacco...




