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E-Book, Italienisch, 662 Seiten

Isenberg White Trash

Storia segreta delle classi sociali in America
1. Auflage 2021
ISBN: 978-88-3389-280-1
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

Storia segreta delle classi sociali in America

E-Book, Italienisch, 662 Seiten

ISBN: 978-88-3389-280-1
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



La storia degli Stati Uniti, fin dalle origini, e? segnata non solo dal tema della razza, ma anche dalle divisioni di classe. Accanto ai puritani del New England e al loro sogno di una «citta? sulla collina», o ai grandi proprietari schiavisti del Sud, la colonizzazione del Nordamerica e? stata scandita sin dal Seicento dall'arrivo di masse di poveri e derelitti, servi a contratto chiamati a riconquistare la propria liberta? attraverso il lavoro, ma destinati a rimanere senza terra o case di proprieta? per tutta la vita, trasmettendo ai propri discendenti un retaggio di miseria e risentimento. Spaziando dalla retorica alle azioni politiche, dalla letteratura popolare alle teorie scientifiche e ripercorrendo quattrocento anni di storia americana, Nancy Isenberg mette in discussione l'immagine degli Stati Uniti come societa? senza classi - nella quale la liberta? e il duro lavoro garantirebbero la mobilita? sociale - e racconta dalla prospettiva dei white trash i grandi eventi che hanno segnato l'America: dalla Guerra di Secessione alla segregazione razziale; dal New Deal a Donald Trump.

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PREFAZIONE


Uno dei film più memorabili di tutti i tempi è (1962), una classica rappresentazione dell’eredità della schiavitù e della segregazione razziale nel Sud. È un film che ho insegnato per oltre due decenni, e uno dei preferiti del presidente Obama. Malgrado ciò, quando i miei studenti vedono questo film (anche se gliel’hanno già fatto vedere a scuola al liceo), capiscono per la prima volta che il dramma contenutovi ha non uno ma due messaggi inquietanti.

Una trama si concentra su Atticus Finch, avvocato retto e coraggioso, che si rifiuta di perpetuare la discriminazione razziale: nonostante i molti rischi, accetta di difendere un afroamericano, Tom Robinson, dall’accusa di aver stuprato una giovane ragazza bianca povera, Mayella Ewell. Anche se la corte dichiara Robinson colpevole, noi spettatori sappiamo che è innocente. Un uomo onorevole, un gran lavoratore e un padre di famiglia, nettamente superiore agli spregevoli Ewell, i suoi accusatori. La cenciosa Mayella è succube del padre, un bullo pelle e ossa in salopette, privo di qualsiasi merito o moralità. Bob Ewell pretende che la giuria, composta di soli maschi bianchi, si schieri con lui, cosa che alla fine avviene. Insiste affinché lo aiutino a vendicare l’onore di sua figlia. Non soddisfatto quando Robinson rimane ucciso cercando di fuggire dalla prigione, assale i due figli di Atticus Finch la notte di Halloween.

Il nome completo di Bob Ewell è Robert E. Lee Ewell. Non è però l’erede di una delle aristocratiche famiglie del Vecchio Sud. Gli Ewell, come descritti da Harper Lee nel libro dal quale è stato adattato il film, sono membri dei «poveri terminali», coloro il cui status non può essere né peggiorato né migliorato da alcuna fluttuazione economica, neanche dalla Grande Depressione. Erano rifiuti umani. Nelle parole dell’autrice: «Nessun ispettore scolastico poteva mandare la loro numerosa prole a scuola; nessun ispettore sanitario poteva liberarli dai difetti congeniti, i vari vermi e malattie indigene al loro ambiente lurido». Vivevano dietro la discarica cittadina, che rastrellavano ogni giorno. La loro catapecchia fatiscente era una «ex capanna da negro». La spazzatura era disseminata ovunque, facendo sembrare la capanna «il parco giochi di un bambino folle». Nessuno nel vicinato sapeva quanti bambini ci vivessero: c’era chi diceva nove, altri sei. Per la città di Macomb, in Alabama, i bambini Ewell erano semplicemente «facce luride alle finestre quando passava qualcuno».1 Gli Ewell erano ciò che la gente del Sud (e molti altri) chiamavano : spazzatura bianca.

Gli americani di oggi hanno una visione ristretta e distorta dei white trash. Uno dei simboli più potenti e familiari della mentalità retrograda associata a questo gruppo svantaggiato è quello catturato da giornali e televisioni nel 1957, quando furono mostrate facce bianche infuriate che protestavano contro l’integrazione nelle scuole a Little Rock, in Arkansas. Nel 2015, manifestanti tatuati del KKK che difendevano la bandiera confederata fuori dal campidoglio a Columbia, South Carolina, evocarono sentimenti simili, dimostrando la persistenza di un vergognoso fenomeno sociale. La reputazione della popolare star del Food Network, Paula Deen, una nativa della Georgia rinomata per le sue ricette ricche di colesterolo, crollò nel 2013, quando venne rivelato che aveva usato la «N word»;2 dal giorno alla notte perse il suo buon nome, passando da simpatica casareccia a bifolca rozza e sprovveduta. All’altro estremo, i telespettatori si sono goduti riedizioni di personaggi da vaudeville quali Jefferson Davis «Boss» Hogg in (1979-85), che fu mandato in replica fino al 2015, quando fu sospeso per via della bandiera confederata dipinta sulla macchina di Bo e Luke Duke, la «Generale Lee». Lo stesso titolo dello show era un gioco di parole sull’identità di classe, poiché i Duke sono indigenti montanari e distillatori della Georgia, ma il loro nome riporta alla mente la nobiltà inglese.3

Queste istantanee dei white trash offrono un quadro incompleto di un problema che in realtà è piuttosto vecchio, e regolarmente non riconosciuto. Nelle loro conversazioni su temi ed eventi popolari come quelli appena elencati, agli americani manca una profonda analisi di classe. Al di là della rabbia e dell’ignoranza dei bianchi, vi è una storia di identità di classe molto più complessa, risalente al periodo coloniale dell’America e alla concezione britannica di povertà. Per tanti versi, il nostro sistema di classe si è basato su logiche politiche contigenti per rigettare o demonizzare (o a volte recuperare) quegli emarginati rurali bianchi apparentemente incapaci di integrarsi nella società di massa.

Gli Ewell, quindi, non sono comparse nella storia del nostro paese. La loro storia inizia nel Cinquecento, non nel Novecento. Deriva dalle politiche coloniali britanniche per la ricollocazione dei poveri, decisioni che hanno condizionato la nozione americana di classe lasciando un marchio permanente. Conosciuti all’inizio come («rifiuti umani» ), poi come , gli americani marginalizzati furono stigmatizzati per la loro incapacità di essere produttivi, di possedere terre o immobili, o di produrre figli sani e capaci di scalare la società – il sentimento di elevazione sul quale si basa il sogno americano. La soluzione americana per la povertà e l’arretratezza sociale non fu quella che ci si poteva aspettare. Per buona parte del ventesimo secolo espulsioni e persino sterilizzazioni sembravano rimedi razionali per chi voleva ridurre il peso dei «perdenti» sull’economia.

Nell’evoluzione dell’atteggiamento dell’America verso queste persone non desiderate, forse il linguaggio più duro è collegato alla metà del diciannovesimo secolo, quando i poveri bianchi rurali furono categorizzati come in un certo senso meno che bianchi, con la loro pelle giallognola e i loro figli malaticci e scalcinati che li rendevano una strana razza a parte. Le parole e sono cruciali per comprendere questo potente e duraturo vocabolario. Per tutta la loro storia, gli Stati Uniti hanno sempre avuto un sistema di classe. Non è solo diretto dall’un per cento e supportato da una classe media contesa. Non possiamo più ignorare lo stagnante, sacrificabile strato inferiore della società quando parliamo di identità nazionale. I poveri, i rifiuti, la spazzatura come sono etichettati, sono stati al centro delle contese politiche più importanti. Durante la colonizzazione, erano tanto pedine utili quanto piantagrane ribelli, uno schema che persistette durante le migrazioni di massa di squatter senza terra verso l’Ovest del continente. I bianchi poveri del Sud ebbero un ruolo centrale nell’ascesa del Partito Repubblicano di Abraham Lincoln, e nell’atmosfera di sfiducia che causò l’infiltrazione di tensioni tra le classi più povere della Confederazione durante la guerra civile. I white trash furono una pericolosa anomalia durante gli sforzi per la ricostruzione postbellica dell’Unione; e nei primi due decenni del ventesimo secolo, quando fiorirono i movimenti di eugenetica, furono la classe di degenerati bersaglio delle sterilizzazioni. Dall’altro lato, i bianchi poveri furono i beneficiari di sforzi riabilitativi durante il New Deal e nella «Great Society» di Lyndon Johnson.

In ogni epoca, i white trash ci ricordano una delle verità scomode dell’America: i poveri sono sempre con noi. Il timore che i bianchi poveri siano penalizzati rivela una tensione inquietante tra ciò che agli americani insegnano a pensare che il paese prometta – il sogno della mobilità sociale verso l’alto – e la meno appetibile verità, ovvero che le barriere di classe rendono praticamente sempre irraggiungibile questo sogno. Ovviamente, l’intersezione tra classe e razza rimane un elemento innegabile del quadro generale.

Lo studio qui presentato rivela un’eredità complessa. Non è solo questione di etichettare la base della piramide in ogni momento. Razionalizzare la disuguaglianza economica è sempre stato un elemento inconscio del credo nazionale; la povertà è stata naturalizzata, spesso vista come qualcosa al di là del controllo umano. Proprio per questo, i bianchi poveri dovettero essere classificati come una specie a parte. In altre parole, la loro educazione non mirava a coltivare costumi sociali o abilità, ma qualcosa di molto più sinistro: un’eredità imposta. Il linguaggio di classe che l’America adottò si basava sull’atteggiamento degli inglesi verso il vagabondaggio, rivelando una fissazione transatlantica verso l’allevamento di animali, la demografia, e il pedigree. I poveri non erano solo descritti come rifiuti, ma anche come una razza animale inferiore.

Negli anni, temi populisti sono emersi a fianco d’immagini spregiative più familiari, ma mai forti abbastanza da diminuire l’ostilità proiettata sui bianchi poveri rurali. Negli ultimi decenni, abbiamo visto l’ascesa di passioni tribali attraverso la riscoperta delle «radici bifolche», un fiero movimento che attraversò gli anni Ottanta e Novanta. Più che una reazione ai cambiamenti progressivi nelle relazioni tra razze, questo cambiamento fu sostenuto da una maggior fascinazione verso le politiche identitarie. Le radici implicavano che la classe avesse le caratteristiche (e l’attrattiva) di un retaggio etnico, da un certo punto di vista speculare al desiderio moderno di misurare la classe come mero fenomeno culturale. Ma come dimostra la recente popolarità di reality show come e



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