Jägerfeld | La mia vita dorata da re | E-Book | www.sack.de
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E-Book, Italienisch, 240 Seiten

Jägerfeld La mia vita dorata da re


1. Auflage 2021
ISBN: 978-88-7091-955-4
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 240 Seiten

ISBN: 978-88-7091-955-4
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Per Sigge è arrivata la grande occasione della sua vita di dodicenne: dimenticare gli insuccessi sociali accumulati a Stoccolma e rifarsi una reputazione nell'anonima cittadina in cui abiterà. Con la mamma, le due sorelle e il cane Einstein si è appena trasferito al Royal Grand Golden Hotel Skärblacka, che del grand hotel ha solo il nome ed è gestito dall'esuberante nonna Charlotte, tutta paillettes, auto sportive e animali impagliati. A nulla vale constatare che c'è chi pur conservando la sua stravaganza se la cava alla grande, come Charlotte, appunto, o Majken, la sorellina che invece di parlare urla ma riesce sempre a farsi degli amici: Sigge è determinato a sfruttare i 59 giorni di vacanze estive che restano per ripulirsi delle stranezze che lo fanno sentire un alieno, così tutti faranno finalmente a gara per scattarsi un selfie con lui. Il piano per raggiungere la popolarità è pieno di regole da seguire con metodo: nascondere l'occhio un po' strabico, offrire sigarette di cioccolato, imparare a fare domande e battute e a parlare di sé. Ma dietro l'angolo c'è sempre un imprevisto, e ogni imprevisto è un'avventura. In una narrazione scoppiettante di arguzia e comicità, Jenny Jägerfeld crea un mondo di personaggi indimenticabili per accompagnare Sigge nel suo percorso a ostacoli verso una nuova idea di amicizia, in cui essere «diverso» e «unico» significa solo essere se stesso.

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- 57 giorni


Cetlioli e Jelly Belly


Quando arrivammo davanti all’ICA, la nonna prese un carrello e ci infilò Bobo, che non voleva mai stare sul seggiolino fatto apposta per i bambini ma solo dentro, dove si mette la roba che si compra. Poi fece qualche passo di corsa, si appoggiò con tutto il busto sul carrello e sollevò i piedi. Entrarono nel supermercato messe così, con Bobo che rideva a crepapelle. Io le seguii a qualche passo di distanza. Era un po’ imbarazzante, ma d’altra parte lì non conoscevo nessuno. Non ancora, almeno. La nonna sì, invece, o comunque salutava tutti quelli che incrociava. Alcuni rispondevano al saluto, altri tenevano lo sguardo fisso davanti a sé. Li vedevo bisbigliare tra loro, ma la nonna non è una che ci fa caso.

«C’è una sola cosa al mondo peggio di quando la gente parla di te, ed è quando la gente non parla di te», ha detto un giorno.

Basta incontrarla una volta per ricordarsela. Non ha propriamente l’aria di una sessantacinquenne. Quel giorno indossava pantaloni di pelle nera attillatissimi, scarpe verdi con il tacco alto e un bomber con le paillettes argentate. Capelli lunghi e grigi, almeno cinque collane d’oro tintinnanti e rossetto rosso.

«Allora», disse dopo aver rimesso a terra i piedi. «Cosa ci serve?»

Bobo indicò le fragole.

«Fragole, quelle bisogna prenderle», concordò la nonna.

Bobo indicò un’anguria verde scuro, grande quasi come un pallone gonfiabile da spiaggia.

«Anguria, certo, anche quella», disse la nonna, e la mise nel carrello facendogliela atterrare tra le gambe con un tonfo.

Adoravo fare la spesa con la nonna. Piaceva un sacco a tutti e tre, anche a Majken e Bobo. Per questo la accompagnavamo sempre al supermercato. Majken, che avrebbe vinto a mani basse il titolo di «bambina più incontenibile della Svezia», ci aveva già preceduto dentro di corsa e probabilmente era ferma davanti al banco delle caramelle sfuse a mangiare quelle cadute per terra, come faceva spesso. «TANTO LE BUTTANO VIA!» diceva. La mamma s’imbestialiva quando faceva così, ma alla nonna non sembrava importare.

Uno dei motivi per cui adoravamo fare la spesa con lei è che non preparava mai una lista prima. Comprava quello di cui aveva voglia. La mamma ne aveva sempre una molto precisa, con i prodotti di cui poteva fare a meno indicati tra parentesi nel caso il totale si fosse rivelato troppo alto. Era impossibile convincerla a comprare qualcosa che non compariva sulla lista, soprattutto considerando che era disoccupata. Alla nonna non c’era neanche da chiedere: bastava mettere nel carrello quello che si voleva prendere. E, a meno che non contenesse troppi additivi strani con nomi tipo E-314, lei lo comprava.

Naturalmente ero già stato in quel supermercato, ma solo quando eravamo in visita dalla nonna. Ora invece eravamo venuti a vivere a Skärblacka ed era lì che avremmo fatto la spesa. Per poco non cominciai a sbavare all’idea di tutte le cose buone che avremmo mangiato.

Aggiunsi il punto al mio elenco degli aspetti positivi di quel trasferimento: 1. una camera tutta per me; 2. comprare le cose da mangiare che si volevano. Il più importante però era questo: 3. un nuovo inizio.

Il trasferimento mi dava infatti la possibilità di resettarmi. Trasformarmi in una persona diversa. Il piano era diventare popolare. Superpopolare. Volevo che la gente gridasse e svenisse al mio passaggio, volevo che tutti mi chiedessero l’autografo, volevo che si facessero i selfie con me per poi correre via ridendo sovreccitati. Volevo essere come Kanye West o Beyoncé. Ok, forse un piccolo eccesso di ottimismo. Un desiderio più realistico era che volevo parlare con le persone senza che mi guardassero come se fossi uno scherzo della natura. Volevo essere tra quelli che venivano scelti nella squadra durante l’ora di educazione fisica. Volevo che mi ascoltassero quando parlavo e scegliessero di sedersi vicino a me alla mensa scolastica.

A Stoccolma le cose non andavano proprio così. Avevo un amico, questo sì, Valter, ma non è che ascoltasse poi molto quello che dicevo. Ogni tanto tornavamo a casa da scuola insieme, ci sentivamo per sms, qualche rara volta ci vedevamo di sabato e domenica. Ma a essere sincero penso che stesse con me perché non aveva nessun altro con cui stare e non perché mi trovava una persona particolarmente fantastica. La mamma mi ha sempre detto che sono «unico», che sono «diverso» e «speciale». In realtà però sono solo modi più gentili di dire «strano».

Avevo sessanta giorni esatti di tempo per diventare una persona nuova. Anzi cinquantasette, ormai. Poi sarebbero finite le vacanze estive e avrei cominciato a frequentare la mia nuova scuola, la Mosstorpsskola. Naturalmente non sarebbe stato facile cambiare la mia vita in cinquantasette giorni, ma non era neanche detto che fosse impossibile. Se si può arrivare sulla luna, perché non diventare popolari? Giusto?

Non avevamo nemmeno superato il settore frutta e verdura che Bobo era già annegata in mezzo a tutte le angurie, i cespi di insalata, le pannocchie e le confezioni di fragole che la nonna aveva messo nel carrello.

«Cetliolo!» esclamò Bobo indicando eccitata una montagna di cetrioli.

Le piacevano da morire, ed era anche una delle poche parole che sapeva dire. Per una che a dicembre avrebbe compiuto quattro anni forse non era granché, ma noi eravamo felici ogni volta che diceva qualcosa. Ama i cetrioli sopra ogni altra cosa al mondo. Anzi no, naturalmente ama di più la mamma, Majken e me, ma subito dopo vengono i cetrioli, direi. A volte credo quasi che li ami più del suo papà.

Bobo e Majken hanno un papà diverso dal mio, e si chiama Svedrik. Si chiama proprio così. Tutti sempre: Cos’hai detto? Fredrik? No, ! E anche se lui è stato sicuramente più presente nella loro vita di quanto non sia stato il mio nella mia (dato che l’ho visto zero volte tonde tonde), non si può dire che vincerebbe il concorso di papà dell’anno. È gentile e allegro e sa stringere gli altri in grandi abbracci, ma manca di sprint, diciamo. Questa cosa di trovarsi un lavoro, per esempio, gli tornava molto difficile. E anche questa cosa di lavare i piatti. E questa cosa di pulire la casa. E di cucinare. E di fare la spesa e cambiare il pannolino a Bobo o addirittura di alzarsi dal divano per andare a prendere Majken a scuola o Bobo alla materna. Alla fine la mamma non ce l’aveva fatta più, perché in pratica si occupava lei di tutto. Aveva detto che era come essere la mamma di quattro figli, solo che uno aveva la barba e beveva birra. Così aveva voluto chiudere. Il che era stato un bene, immagino. Solo che, be’, l’appartamento era di Svedrik, e lei non aveva i soldi per trovarsene un altro. Quando si fa l’infermiera e si hanno tre figli, un cane enorme con una palla sola, due porcellini d’India chiamati Tarzan e Frasse e una tartaruga, a quanto pare la banca non presta soldi tanto facilmente. «Anche se si sono sempre pagate le bollette entro la scadenza!», come aveva gridato delusa la mamma.

Così ci eravamo trasferiti nella grande casa di legno giallo della nonna in questo buco che si chiama Skärblacka, dalle parti di Norrköping, dove tutti parlano… mah, in un modo un po’ particolare, diciamo. È l’accento dell’Östergötland. Non saprei come imitarlo, ma le «l» sono più rotonde e certe vocali molto allungate. Penso che sia l’unico difetto di Skärblacka. Quello e poi la cartiera, che è enorme e a volte sparge una gran puzza di cacca in tutto il paese.

Quando siamo arrivati al reparto caramelle Majken era lì, come previsto, però non stava mangiando quelle cadute per terra: la vedemmo versare qualcosa da una scatolina direttamente in uno dei contenitori trasparenti pieni di caramelle gommose.

«Cosa fai?» chiesi.

Si girò verso di noi con il faccino lentigginoso raggiante di gioia. Cercò di bisbigliare, ma non è capace. La sua voce non è fatta per i bisbigli.

«UNO SCHERZETTO!»

«Ma va’?» disse la nonna, interessata. «Che genere di scherzetto?»

Majken rise e ci mostrò la scatolina per farci leggere: Jelly Belly Bertie Bott’s Beans Tuttigusti+1.

«Ma Majken!» esclamai.

«LI HO VERSATI NELLO SCOMPARTO DEI JELLY BELLY!»

«Che roba è?» chiese la nonna allungandosi verso la scatolina.

«SONO DI HARRY POTTER, CI SONO TUTTI I GUSTI DI TUTTO IL MONDO! UNO VERDE PUÒ AVERE SAPORE DI MOCCOLO O DI MELA A SECONDA DI COSA TI CAPITA. NON PUOI MAI SAPERLO PRIMA! SONO UGUALI. A VOLTE SANNO DI LOMBRICO, CERUME O VOMITO, MA ALTRE VOLTE SI HA FORTUNA E SI BECCA QUELLO AL LIMONE! ME LI HA DATI LA MIA AMICA DI STOCCOLMA. LI HA COMPRATI AL MUSEO DI HARRY POTTER A LONDRA!»

«. Cerume e vomito non mi sembrano troppo invitanti», rispose la nonna ridandole la scatolina.

«EH, LO SO! PER QUESTO LI HO VERSATI QUI DENTRO!»

«Potevi darli a me. Io adoro i Jelly Belly. Basta sputare quelli schifosi, no?»

«IO CON I MIEI JELLY BELLY CI FACCIO QUELLO CHE MI PARE!»

«Uffa», sbuffai di cattivo umore.

«È inutile litigare», intervenne la nonna....



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