E-Book, Italienisch, 264 Seiten
Reihe: saggi | terra
Kopenawa / Albert Lo spirito della foresta
1. Auflage 2023
ISBN: 979-12-5480-072-0
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 264 Seiten
Reihe: saggi | terra
ISBN: 979-12-5480-072-0
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Forse il miglior modo per cogliere lo spirito della foresta è avvicinarsi alla cosmologia degli sciamani yanomami che vivono nel Nord del Brasile. Il loro pensiero e la loro pratica quotidiana sono infatti in perfetto equilibrio con la totalità delle forme di vita - umane e non umane, visibili e invisibili - che popolano la foresta amazzonica. La concezione del mondo degli Yanomami, contrariamente a quella occidentale, non contempla una divisione netta tra gli 'umani', nel ruolo di conquistatori, e una 'natura' altra, periferica, subordinata all'arroganza predatrice dell'uomo - e in qualche caso oggetto di disperato e ambiguo pentimento. Per gli Yanomami la natura è urihi a, ovvero la 'terra-foresta-mondo', 'una sorta di meta-organismo' in cui tutti (viventi e non) coesistono in armonia nonostante le loro apparenti differenze. Bruce Albert e Davi Kopenawa, amici e compagni di lotte da quasi mezzo secolo, nonché autori di La caduta del cielo (pubblicato in Italia nel 2018 sempre da nottetempo), in questo libro lasciano risuonare appieno la straordinaria polifonia delle voci provenienti da urihi a e, decostruendo il concetto di natura e la distinzione tipicamente occidentale tra umano e non umano, celebrano 'una fusione alchemica tra antropologia ed ecologia', come scrive Emanuele Coccia nell'introduzione. Attraverso riflessioni, dialoghi e immagini Lo spirito della foresta restituisce, da diverse prospettive, l'imprescindibile complessità dell'ecosistema e lancia un coraggioso grido d'allarme contro la tendenza autodistruttiva dell'uomo.
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Capitolo 2
Un mondo il cui nome è foresta1
Omaggio a
di Bruce Albert
Claude Lévi-Strauss2
Bruno Latour3
Sono entrato in contatto per la prima volta con Claudia Andujar, fotografa emblematica degli Yanomami del Brasile, tramite una lettera di quattro pagine scritta nell’estate del 19774. Dottorando in Antropologia, ero di ritorno a Parigi dopo un primo lungo soggiorno presso gli Yanomami del rio Catrimani, nel Nord dell’Amazzonia brasiliana (1975-1976)5. Nel 1974 Claudia aveva realizzato, nella stessa regione e presso le medesime comunità, una tappa fondamentale del suo lavoro grazie a una borsa della Fondazione Solomon R. Guggenheim di New York6. All’epoca delle mie peregrinazioni nella foresta, i miei ospiti mi avevano spesso parlato di questa intrigante visitatrice, calorosa e allo stesso tempo intrepida, che avevano soprannominato , “la donna bianca”.
Dall’inizio del 1977, voci ancora imprecisate di un’epidemia di morbillo sul rio Catrimani mi avevano allertato riguardo alla situazione sanitaria dei gruppi isolati che avevo visitato sull’alto corso di questo fiume. Mi sono dunque deciso a chiedere a Claudia di contribuire all’organizzazione di un programma sanitario nella regione. Sebbene lo ignorassi ancora, il peggio aveva già avuto luogo. Nella sua risposta, giunta il mese successivo7, Claudia mi disse che l’epidemia che si era propagata sul rio Mapulaú nel dicembre del 19768 a partire da un avamposto dell’agenzia indigenista brasiliana, la Fundação Nacional do Índio (FUNAI)9, aveva finito per decimare gli abitanti dei vicini affluenti dell’alto Catrimani. Claudia aveva passato due mesi molto duri in questa regione, tra l’aprile e il giugno 1977, accompagnando Carlo Zacquini, il responsabile della missione Catrimani, in soccorso degli ultimi sopravvissuti. In seguito era stata espulsa senza riguardi da un agente della FUNAI xenofobo e ostile al lavoro della missione in favore degli indigeni. Aveva dovuto far ritorno a San Paolo all’inizio di luglio10. Ora stava disperatamente tentando di ottenere una nuova autorizzazione ufficiale per poter riprendere il suo lavoro fotografico e umanitario presso gli Yanomami. Tale documento le verrà rifiutato a più riprese dalla FUNAI, all’epoca regolarmente diretta da generali, con il pretesto che la sua presenza presso gli Yanomami, situati in una zona di frontiera, costituiva una minaccia per la “sicurezza nazionale”11.
Preso nello stesso labirinto politico e burocratico, ma studente anonimo, ebbi più fortuna nello sfuggire all’attenzione dei militari. Riuscii infine a ritornare sul campo nel febbraio del 1978 per essere a mia volta testimone della tragedia di coloro che erano stati nostri ospiti e nostri amici sull’alto Catrimani. Distrutto, censii all’incirca sessantotto vittime falciate dall’epidemia di morbillo, in maggioranza donne, bambini e giovani.
È in questo periodo che ricordo di aver incontrato, o meglio intravisto, Claudia per la primissima volta. A dire il vero, tale ricordo, recentemente riesumato, presentava contorni così fantasmagorici che gli ho dato credito solo quando ho potuto corroborare la sua possibilità cronologica durante la redazione di questo testo12. A voi il giudizio. Iniziavo il mio secondo soggiorno da etnografo nella regione del rio Catrimani: ero arrivato da appena due giorni alla locale missione cattolica che rappresentava il punto di ingresso nella zona. Improvvisamente, con mia grande sorpresa, Claudia fece irruzione, sola, in piena notte e in modo del tutto inaspettato, al volante di un Maggiolino Volkswagen nero. All’epoca, la strada Perimetral Norte, bretella della tristemente celebre Transamazzonica, era ancora carrozzabile fino al rio Catrimani e Claudia arrivava dalla cittadina locale di Boa Vista, capitale dello Stato nord-amazzonico di Roraima.
Svegliato di soprassalto dal bizzarro rombo di un motore VW 1300 nella notte della foresta, barcollando mi precipitai subito sul sentiero che portava dalla casa yanomami dove dormivo al piccolo edificio di legno della missione. Abbagliato dalla luce dei fari giallastri aureolati da nuvole di insetti, scorsi improvvisamente e confusamente la figura di Claudia. Sfumata in un alone di luce diffusa, come un’apparizione sciamanica, sembrava spuntare dal [n.d.t.: sempre in italiano nel testo] di una delle sue stesse fotografie.
Dopo la sua espulsione a metà del 1977, era stata finalmente autorizzata dalla FUNAI a ritornare per qualche giorno alla missione Catrimani, solo per recuperare i propri bagagli. Chiaramente la situazione non fu affatto propizia a lunghi conciliaboli. Fu solo qualche mese più tardi, nel corso di un soggiorno per motivi sanitari che mi aveva riportato a Brasilia, che avemmo l’occasione di conversare più a lungo a casa di un’amica comune13.
Entrambi affascinati dal nostro incontro con gli Yanomami e sconvolti dalle minacce che i progetti di sviluppo della dittatura militare facevano pesare sulla loro sopravvivenza, redigemmo un primo documento pubblico per difendere l’integrità del loro territorio14. Poi ci ritrovammo a San Paolo per preparare, con Carlo Zacquini (e l’aiuto di diversi amici, tra cui Beto Ricardo, Maria Helena Pimentel e Alain Moreau), un progetto di legalizzazione delle terre yanomami. Creammo dunque un’associazione, la Comissão Pró-Yanomami (CCPY), e lanciammo una campagna internazionale di sostegno ai diritti territoriali degli Yanomami.
Interno di una casa collettiva nella regione del rio Catrimani, fotografia di Claudia Andujar, 1974.
Da allora sono passati più di quarant’anni, nel corso dei quali la nostra amicizia e la nostra lotta comune hanno continuato ad accompagnare indefettibilmente il destino degli Yanomami. Questo scritto è dunque innanzitutto un modesto omaggio a , guerriera infaticabile e visionaria fuori dal comune con cui ho avuto il privilegio di condividere questa avventura. Evocherò l’immaginazione metafisica, l’inventiva sociale e l’ironia poetica degli “abitanti della terra-foresta” yanomami (), la cui eleganza è stata così sontuosamente catturata dalle sue fotografie. Immagini tanto preziose quanto enigmatiche, giunte dal cuore di un mondo-foresta che ci ha così lungamente e intensamente sedotto e che abbiamo tentato, insieme e con altri – in primis il nostro amico Davi Kopenawa –, di difendere dalla follia predatoria dei Bianchi, i , che egli, con perspicacia, chiama anche il “popolo della merce”.
*
Dal 1992, grazie alla lunga lotta della CCPY e di Davi Kopenawa, il vasto spazio forestale dalle frontiere nebulose che un tempo avevamo l’abitudine di designare come “territorio yanomami” si ritrova depositato nei registri e nei rilievi cartografici dello Stato brasiliano con la denominazione ufficiale di . Così repertoriato, assume la forma di un lungo tracciato chiuso che, adiacente alla frontiera tra Brasile e Venezuela, circoscrive un immenso spazio di foresta tropicale di 96.650 chilometri quadrati, stretta, o meglio ricoperta, da una griglia di unità amministrative e politiche diverse, locali o federali.
Tuttavia, secondo gli stessi Yanomami, sotto lo spazio piatto di questa geografia burocratica (che, come vedremo, l’etnopolitica yanomami è ben lungi dall’ignorare) traspare un’altra realtà, che ha per nome , “la terra-foresta degli esseri umani”, complesso pluriverso sociocosmologico di cui poco alla volta cercherò di spiegare le coordinate.
Nella sua accezione più ampia, il termine si riferisce sia alla foresta che allo spazio terrestre che la supporta (la terra in quanto suolo si traduce con il termine ). La “terra-foresta degli esseri umani” costituisce il centro () di tale mondo terrestre, i cui margini indefiniti (, i “bordi”) sono descritti dall’espressione “terra degli stranieri-nemici”, . Questa zona periferica è abitata, nelle immediate vicinanze, da altri gruppi indigeni (, “i veri stranieri”), poi, più in là, dai Bianchi (). Dopo la progressiva scomparsa della maggior parte delle diverse etnie che un tempo circondavano gli Yanomami15, il mito d’origine dei primi (gli altri indigeni) diventa quello dei secondi (i “Bianchi”). Tuttavia, che si tratti degli uni o degli altri, questo racconto dell’“inizio dei tempi” stabilisce che gli “stranieri-nemici” () sono stati creati dal demiurgo yanomami esclusivamente a titolo di umanità derivata (per non dire di second’ordine) a partire dal sangue di antenati imprudenti, trascinati dalle acque e divorati da lontre e caimani giganti dopo aver infranto le regole relative al rituale legato alla prima mestruazione.
Paragonata a un grande disco di terracotta...