Kosinski | Oltre il giardino | E-Book | www.sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 128 Seiten

Kosinski Oltre il giardino


1. Auflage 2014
ISBN: 978-88-7521-583-5
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 128 Seiten

ISBN: 978-88-7521-583-5
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
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Chance, venuto al mondo per caso e orfano dalla nascita, vive un'esistenza modesta e appartata curando il giardino di un anziano signore che lo ha accolto in casa. Il suo unico contatto con l'esterno è rappresentato dalla tv, che guarda senza sosta imitando passivamente ciò che vede sullo schermo. Costretto ad abbandonare la casa dopo la morte del vecchio, Chance conosce il magnate Benjamin Rand, direttore di un istituto finanziario collegato al governo. L'ingenuità di Chance, che sa esprimersi soltanto con immagini tratte dal giardinaggio, viene scambiata per saggezza filosofica; e quando il presidente degli Stati Uniti cita il suo nome pubblicamente, Chance acquista un'improvvisa notorietà: ricercato dalla stampa come commentatore politico, da semplice giardiniere assurge al ruolo di guru della nazione... Originalissimo romanzo satirico sulla società dei mass media, Oltre il giardino si è imposto tra i classici della cultura americana grazie anche a una fortunata trasposizione cinematografica, nella quale il giardiniere-filosofo ha il volto imperscrutabile di Peter Sellers. Con una prefazione di Giorgio Vasta.

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Chance & Co.


Mr. Magoo indossa un cappotto, una bombetta, cammina appoggiandosi a un bastone da passeggio. Nel cartoon , l’omino calvo e miope inventato nel 1949 da John Hubley se ne va a spasso per un cantiere edile. Procedendo a centinaia di metri d’altezza tra ponteggi e carichi sospesi, su assicelle filiformi o in equilibrio sopra travi mobili, Mr. Magoo è sempre a un passo dal baratro. In questa come in altre sue avventure esiste in bilico, un millimetro prima del vuoto: eppure non cade mai.

Non si tratta di fortuna, di quella casualità nei cartoon sempre puntuale e strategica: Mr. Magoo non precipita perché non ci vede. Perché leggendo il mondo a partire dalla sua quasi completa cecità ignora che subito sotto di lui si spalanca il precipizio (l’unica volta in cui in nulla lo sostiene e cade a piombo – per rimbalzare comunque dolcemente su un asse di legno – neppure in quell’occasione sta precipitando, perché è persuaso di essere in ascensore: sta semplicemente scendendo).

Non sapere, non conoscere lo spazio e le cose, o meglio conoscere lo spazio e le cose nella prospettiva che lo anima (dunque essere visionariamente inconsapevole), è ciò che protegge Mr. Magoo da ogni eventuale abisso.

Chance, il protagonista di di Jerzy Kosinski, condivide con Mr. Magoo cappotto cappello e bastone (in realtà, nella versione cinematografica del romanzo, mentre vaga per Washington, al posto del bastone da passeggio Peter Sellers regge in una mano un lungo ombrello affusolato, nell’altra una valigia di pelle). Ciò che però davvero lo accomuna a Mr. Magoo è l’inconsapevolezza. Una condizione all’apparenza elementare, in realtà ambigua. Possiamo pensare a Chance come a un personaggio stupido, ingenuo, patologico; come a un idiota sapiente, a un sempliciotto, a un autistico, a un puro. Senza necessariamente sfuggire a nessuna di queste percezioni, il personaggio inventato dallo scrittore polacco naturalizzato americano sembra però trascenderle inducendoci a valutare (e a collaudare) ancora un’altra ipotesi: Chance è prima di tutto un’esigenza delle narrazioni. Vale a dire qualcuno attraverso cui si esprime un bisogno che appartiene all’atto del raccontare: quello di mettere in scena personaggi la cui peculiarità consiste nel risultare, agli occhi di chi li circonda, indecifrabili, irriducibili a una logica, a un codice noto, a un senso. Personaggi , nel senso di vuoti. Ma di un vuoto costitutivo, originario. Questi personaggi, infatti, sono vuoti senza essere mai stati (un personaggio svuotato sperimenterebbe la perdita e l’inquietudine che alla perdita si accompagna); in essi, inoltre, non è mai sinonimo di , la fatuità è un carattere troppo stridulo e ingombrante perché i personaggi cavi possano contenerla.

La molteplicità di definizioni che la figura di Chance è in grado di sollecitare e di accogliere – quello di Kosinski è un personaggio che attraversa la sua storia in stato d’assedio, accerchiato da un instancabile diffuso tentativo di attribuirgli connotati – dipende dunque prima di tutto dal fatto che nelle pagine del romanzo, e poi nelle scene del film, Chance come personaggio cavo. In misura di ciò, chi lo incontra cede alla tentazione di pretendendo di intuire o di dedurre un suo ulteriore lineamento.

Chance è un magnete linguistico, una trappola che cattura definizioni, un’esca che serve a far abboccare parole.

Jerzy Kosinski pubblica nel 1971. Nel 1979, soprattutto per volontà di Peter Sellers, il romanzo diventa un film diretto da Hal Ashby. A scrivere la sceneggiatura sarà lo stesso Kosinski (che per il suo adattamento vincerà il Best Screenplay of the Year Award della Writers Guild of America e della British Academy of Film and Television Arts). Guardando il film in continuità con la lettura del libro si ha la sensazione che l’adattamento sia stato per Kosinski non tanto un lavoro tecnico focalizzato sul passaggio da un codice espressivo a un altro, quanto un’opportunità di riscrittura del romanzo. Già a partire dalla decisione di spostare la storia da New York a Washington (perché nei circa dieci anni che separano il libro dal film – lo scandalo Watergate è del 1972 – si era modificata in maniera sostanziale la percezione di quale fosse il centro del potere politico), il lavoro di adattamento si configura per Kosinski come l’occasione di tornare su ogni singola scena spesso scegliendo di dilatarne il disegno per renderlo ancora più nitido e rotondo. Per esempio, se nel romanzo il momento dell’incidente che determinerà l’incontro tra Chance e i coniugi Rand è rapido e decontestualizzato, in sceneggiatura Kosinski lo incornicia in una situazione che ha una sua ben precisa coerenza. Sul declinare della versione funk che Eumir Deodato trae dall’ di Richard Strauss – una citazione ironica di che connota stavolta un viaggio di tutt’altro tenore rispetto a quello narrato da Kubrick – Chance si ritrova davanti a un negozio che vende televisori. Oltre la vetrina, tra gli apparecchi esposti campeggia lo schermo di una tv a circuito chiuso che trasmette in tempo reale le immagini filmate in strada. Chance si vede sulla superficie dello schermo come in uno specchio. Lo stupore è così grande da fargli distogliere l’attenzione finendo con una gamba incastrata tra due auto.

In altre circostanze Kosinski sceglie di lavorare non di dilatazione bensì di contrazione. Se articolando la asessualità di Chance può permettersi, nel romanzo, una scena palesemente omoerotica – durante un ricevimento Chance viene abbordato da uno degli ospiti, che lo convince a seguirlo in una camera appartata dove si consuma un tragicomico rapporto sessuale descritto per intero – nella versione cinematografica, dovendosi confrontare con un differente sistema di vincoli e di interdizioni, decide di sfumare procedendo per sottintesi.

Ancora una volta ci troviamo di fronte a un lavoro drammaturgico calibratissimo a partire dal quale diventa naturale leggere libro e film in relazione reciproca.

è una storia che nel tempo è stata assunta come il racconto satirico dell’umano nel suo rapporto con la televisione. L’attenzione si è in gran parte concentrata proprio sulla pervasività e sugli effetti del discorso televisivo. Nel suo romanzo Kosinski si sofferma più volte a considerare la tv e i fenomeni che le sono connessi: «L’apparecchio creava la propria luce, il proprio colore, il proprio tempo»; «Chance non riusciva a immaginare che cosa significasse comparire alla tv. Voleva vedersi ridotto alle dimensioni dello schermo; voleva diventare un’immagine, entrare nell’apparecchio»; «Sarebbe stato visto da più persone di quante avrebbe mai potuto incontrarne in vita sua: persone che non lo avrebbero mai incontrato. [...] La televisione specchiava solo la superficie della gente»; «Rivolto alle telecamere con i loro tre insensibili obiettivi puntati come grifi su di lui, Chance diventò solo un’immagine per milioni di persone vere».

A distanza di oltre quarant’anni dalla sua pubblicazione, questo côté del romanzo è quello che appare più caduco. Se tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta (quando la macchina televisiva diventava negli Stati Uniti sempre più consapevole dei propri mezzi) lo scetticismo di Kosinski era del tutto legittimo e culturalmente diffuso, da allora le cose sono cambiate. La diffidenza nei confronti della potenza televisiva, della sua fenomenologia e della sua mistica, non si è risolta in disponibilità acritica, tantomeno in condiscendenza, ma in un sistema articolato di riflessioni sulla spettatorialità; riflessioni che negli ultimi vent’anni non possono prescindere da quella che è oggi la nostra principale esperienza spettatoriale, vale a dire la navigazione in rete.

Gli stessi riferimenti a Chance tendono a risultare impropri. Chance ha con la tv un legame imitativo. Un legame che nasce dalla curiosità e si esprime nell’imitazione. Chance studia – per imitazione – ciò che accade sullo schermo. Nessun fanatismo, nessuna partecipazione affettiva, ancora meno agonistica, nessuna subordinazione. Per Chance l’immagine televisiva è un fenomeno cinetico al quale si deve rispondere (pura e semplice attivazione dei neuroni specchio, potremmo dire). In tal senso Kosinski concentra nella versione cinematografica una serie di intuizioni risolutive. Impegnato in una telefonata con un giornalista, Chance è distratto da una lezione di yoga in onda in tv: la telefonata, che in un’ottica mondana dovrebbe avere una grande importanza, viene messa da parte a vantaggio della riproduzione degli esercizi. Più in là, un convegno amoroso con Eve si farà sempre più paradossale via via che Chance, ancora irretito da una lezione televisiva di yoga, risponderà alle contorsioni erotiche della donna cercando di assumere, separato da lei, posture acrobaticamente improbabili.

Per queste ragioni ciò che ci interessa non è tanto la tv quanto lo sguardo di Chance. Facendo valere l’idea della sua natura cava – che fra l’altro permane tale nonostante ogni reiterato tentativo di colmarla – sarà preferibile restare fuori dal personaggio per circumnavigarlo, esaminarne la corteccia, esplorare l’alone che lo circonda.

«Chance era...



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