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E-Book

E-Book, Italienisch, 316 Seiten

Reihe: Sotterranei

Lange Predatori


1. Auflage 2024
ISBN: 978-88-3389-583-3
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 316 Seiten

Reihe: Sotterranei

ISBN: 978-88-3389-583-3
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



È l'estate del 1976, e gli Stati Uniti si preparano a festeggiare il duecentesimo Giorno dell'Indipendenza. I due fratelli Jesse e Edgar passano invece le giornate a dormire in lugubri stanze di motel e le notti in viaggio. Una volta al mese scelgono una vittima tra le persone ai margini della società, la uccidono e si cibano del suo sangue. Non si tratta però di assassini psicopatici: Jesse e Edgar sono vampiri, e se interrompessero questo ciclo feroce morirebbero di fame. Quando catturano Johona, bellissima ragazza di origini Navajo, Jesse vi riconosce un amore perduto la cui morte violenta ha tolto ogni significato alla sua esistenza. Neanche Charles Sanders sta pensando al Quattro Luglio. Dopo il ritrovamento del corpo dissanguato del figlio Benny si mette in viaggio nella speranza di trovare il responsabile e vendicarsi. Le appassionate lettere che scrive alla moglie rivelano la sua determinazione, il suo dolore e infine lo sbigottimento di fronte all'incredibile quadro degli eventi che hanno portato alla morte di Benny. Richard Lange utilizza l'orrore per raccontare una storia di solitudine, di perdita e soprattutto d'amore, in cui schierarsi e dare giudizi risulta arduo e inefficace: non c'è, infatti, un confine netto tra i predatori e le prede in un mondo in cui l'ansia di sopravvivere, amorale e desolante, risulta l'unica realtà concreta.

ha firmato i romanzi This Wicked World, Angel Baby e The Smack, e le raccolte di racconti Sweet Nothing, di prossima pubblicazione per minimum fax, e Come morti (Einaudi 2009).
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1


Jesse fa il vecchio sogno per la prima volta dopo mesi. Ultimamente non ha dormito molto, e nei rari casi in cui ci è riuscito non ha sognato. Nei giorni più bui rimane disteso per ore, voltandosi e rivoltandosi nel letto; in quelli buoni abbassa le palpebre e muore finché non tramonta il sole. Oggi, invece, un attimo prima stava fissando il soffitto macchiato di umidità nella stanza del motel, ascoltando la donna delle pulizie che litigava con il direttore nel parcheggio e Edgar che russava nell’altro letto, e quello dopo... il sogno! Riappare come un vecchio amico della cui mancanza non si era reso conto finché... ehi, eccolo di nuovo, il malandrino. È l’unico sogno che fa, e gli è affezionato. Ed è l’unico momento in cui il mondo non è soltanto ciò che è.

Cammina lungo una strada, sempre la stessa, una strada che ha percorso da sveglio ma che non è in grado di individuare con esattezza. Nei pressi di Barstow, forse, o da qualche parte fuori Las Cruces. Una macchia, dove le piante sono fitte di spine e il vento caldo non smette mai di soffiare, dove i binari fendono le distese saline come vecchie cicatrici rugose e l’aria è così pulita che ciò che si trova a quindici chilometri sembra a non più di tre. Passeggia da solo lungo questa strada e sa che si tratta di un sogno perché è giorno.

Sono più di settantacinque anni che non mette piede fuori di casa. Settantacinque anni dall’ultima volta che ha sentito il sole sul viso, settantacinque anni da quando si è sdraiato sotto un albero e ha fatto scorrere le dita lungo le ombre delle foglie che danzavano su un fazzoletto d’erba tiepida; settantacinque anni da quando ha fissato un corvo che gracchiava, gli occhi ridotti a due fessure nel bagliore di mezzogiorno. Per gli ultimi tre quarti di secolo ha vissuto di notte, nelle ore color ebano in cui i mostri vanno a caccia e la brava gente rimane in casa. Da quando si è trasformato ogni alba è stata una condanna a morte, ogni raggio di sole una lama rovente.

Ecco perché è così felice ogni volta che fa il suo unico sogno, quando si ritrova a percorrere quella strada sotto il sole cocente, mentre qualche cirro si srotola nel cielo. Una lepre saltella, sollevando polvere. Una brezza gentile porta con sé una fragranza di salvia. Jesse raggiunge una lattina vuota e la calcia via. Mentre la luce e il calore si fanno strada nei suoi recessi più bui e freddi, pensa che non gli importerebbe affatto non svegliarsi più. Gli basterebbe questo: la strada, il cielo, il sole, per sempre.

«Jesse».

Jesse apre gli occhi. Il soffitto è scuro. È scesa la notte.

«Jesse».

«Che c’è?»

«Me la sono fatta sotto».

Jesse si alza a sedere. Suo fratello Edgar è disteso sull’altro letto, immerso nella sua stessa urina. Perfino Abby, la gatta di Edgar, ha più buonsenso di lui. Se non altro è abbastanza intelligente da saltare a terra. Jesse esala il proprio disgusto. Non intendeva farsi sentire, ma Edgar lo sente.

«Mi dispiace», dice Edgar, poi scoppia a piangere.

«Non fa niente», replica Jesse. «Stai migliorando».

Sono passati dieci anni dall’ultima volta che Edgar non è riuscito a trattenersi, e Jesse non si spiega perché il problema si sia ripresentato. Ha chiesto a suo fratello se fosse spaventato o preoccupato per qualcosa e Edgar ha risposto di no, dunque suppone che sia solo uno dei suoi vezzi che di tanto in tanto ricompaiono, come rubare nei negozi, mentire e allontanarsi senza preavviso; abitudini che Jesse dovrà addestrarlo a perdere, probabilmente per l’eternità.

È possibile che sia così ottuso? Se insegni qualcosa a un cane, o a un cavallo, quelli se lo ricordano per sempre. Allora perché a distanza di qualche anno Jesse deve ricordare a un uomo adulto che non si rubano le patatine nei negozi? Forse Edgar si sta prendendo gioco di lui e, segretamente, si compiace della sua frustrazione?

Jesse lo accompagna in bagno, gli dice di togliersi le mutande e di metterle nel lavandino. Edgar non piange più e sembra essersi dimenticato di averlo mai fatto. «Non troppo calda», chiede, quando il fratello apre l’acqua della doccia. È un omone, più alto di Jesse, oltre un metro e ottanta, tondo come un barile e ogni anno più grasso. Avrà sempre cinquant’anni fuori e dieci nel cervello: un bambino nel guscio di un uomo, e Jesse dovrà sempre occuparsi di lui perché lo ha promesso a sua madre. Che altro avrebbe potuto fare, di fronte all’ultimo desiderio espresso da una donna morente?

Scarta la saponetta fornita dal motel e la porge a Edgar. Edgar la annusa, la lecca e fa una smorfia.

«È sapone, non una caramella», spiega Jesse.

«Profuma come una caramella», replica Edgar.

Sotto la doccia canta: la sua canzone preferita del momento, su alcuni camionisti che si aggregano per farla in barba alla polizia stradale. Conosce tutto il testo, incluse le parti parlate, e si mette perfino una mano a coppa davanti alla bocca per imitare il suono di una radio CB.

«Lavati dappertutto», grida Jesse, sovrastando il canto. «Le ascelle, il culo».

«Ricevuto, amico».

Jesse tira via le lenzuola dal letto. Il materasso è così sporco che una macchia in più passerebbe inosservata. Lancia le lenzuola sul pavimento del bagno; le laverà nella doccia più tardi.

Edgar smette di cantare. «Ho fame», annuncia.

«Ci sono le Pop-Tart», risponde Jesse.

«Intendevo ».

L’insegna al neon del ristorante drive-in di fronte al motel ha alcune lettere mancanti: H MBUR FRUL TI PATA NE. La prima volta che Jesse e Edgar hanno percorso quel tratto, faceva parte della superstrada che collegava Chicago a Los Angeles. All’epoca c’erano solo aranceti, e nella gelida notte di gennaio in cui erano passati di lì si erano fermati a guardare i bruciatori: rudimentali stufe a olio che rimanevano accese tra gli alberi fino all’alba, nella speranza di riscaldare l’aria e impedire ai frutti di congelarsi.

Spesse nubi di fumo unto si levavano dai bruciatori, graffiando la gola di Jesse e annerendo i volti degli uomini che badavano al fuoco. Curvi nella tremolante luce arancione delle fiamme, sembravano demoni appena usciti dall’inferno, gli occhi e i denti scintillanti nell’oscurità. Quello spettacolo aveva spaventato Edgar, tanto da farlo piagnucolare.

«Che cosa sono? Spiriti?», aveva chiesto.

«No», era stata la risposta di Jesse. «Sono solo uomini».

Negli anni Trenta hanno sradicato gli aranci, rimpiazzandoli con motel, chioschi di hamburger e distributori di benzina.

Poi, qualche chilometro a sud, hanno costruito una superstrada più grande per deviare il traffico dalla vecchia rotta, e i motel, i chioschi che vendevano hamburger e i distributori di benzina hanno iniziato a fallire. Quelli rimasti oggi stentano a sopravvivere. Non ci sono soldi per comprare nuovi materassi o sistemare le insegne al neon. Le vetrine rotte vengono assicurate con assi, e i proprietari preferiscono pagare le bollette della luce che sostituire il linoleum consumato. Non che importi granché, ai loro attuali clienti.

Il motel dove alloggiano Jesse e Edgar è una struttura a ferro di cavallo composta di dieci bungalow, che abbraccia un parcheggio ricoperto di ghiaia. Jesse si volta per assicurarsi che Edgar non lo abbia seguito prima di attraversare la strada, verso il drive-in. Il ristorante è un luogo di ritrovo per le puttane, e i camionisti che lasciano la superstrada si fermano lì per cercarle. Hanno una particolare predilezione per quel posto perché c’è spazio per parcheggiare i camion, su mezzo acro di asfalto infestato dalle erbacce vicino al chiosco degli hamburger, un’area che un tempo era occupata da una rivendita di auto usate.

Le puttane e i camionisti conducono le loro trattative ai quattro tavoli da picnic di legno del drive-in. Due ragazze sono in servizio, stasera. Una è seduta a un tavolo, sorseggia una Coca-Cola alla ciliegia e si guarda nello specchietto di una confezione di cipria; l’altra finge di parlare nella cornetta del telefono a gettoni. Jesse va alla finestra e ordina un cono gelato al vecchio che gestisce il locale. L’uomo ha la pelle così sottile e tesa sul cranio che sembra sempre sul punto di gridare.

«Come butta?», chiede.

«Tutto bene», risponde Jesse.

Prende il gelato e va a sedersi a un tavolo libero. Le ragazze gli lanciano un’occhiata, ma distolgono subito lo sguardo. Quella con la cipria, una bionda grassa, indossa un paio di pantaloncini e un top attillato. Su una delle tette ha il tatuaggio di un cuore spezzato. L’altra ragazza è una piccola messicana con un occhio più chiuso dell’altro.

«Sì», dice al telefono a gettoni, «sì», e intanto guarda la strada in cerca di potenziali clienti.

Un caldo vento notturno che proviene dal deserto solleva mulinelli di rifiuti. Gli insetti invadono i lampioni, e i pipistrelli si lanciano in picchiata per cibarsene. La base del tavolo occupato da Jesse è disseminata di nomi, date e parolacce incise nel legno: BIG JOE + MARY. CARL È STATO QUI. FTW 13/69 HELLS ANGELS.1 Ci sono anche un pene che eiacula e una donna nuda a quattro zampe. Jesse fa scorrere un dito sulle incisioni e si domanda chi le abbia fatte.

Un camion a diciotto ruote entra nel parcheggio abbandonato subito accanto. Il motore emette uno sbuffo rauco e polveroso, poi si spegne. L’uomo che scende dalla cabina è un cowboy con le gambe arcuate e una piccola...



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