Loe | Tutto sulla Finlandia | E-Book | www.sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 233 Seiten

Loe Tutto sulla Finlandia


1. Auflage 2011
ISBN: 978-88-7091-269-2
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 233 Seiten

ISBN: 978-88-7091-269-2
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Scrivere un opuscolo turistico che racconta 'Tutto sulla Finlandia' senza esserci mai stati, raccogliendo informazioni sconclusionate per spingere i norvegesi a visitare il Paese vicino. Per un bizzarro specialista di brochure, voce sproloquiante' del romanzo, questo improbabile incarico è solo l'inizio di un tuffo nell'inarrestabile fluire della vita: farsi rimuovere l'automobile per amore, perdersi in reminiscenze 'proustiane' dentro un videogioco, salvare un ragazzino irrequieto, sperduto tra salmoni e neonazisti, affrontare in una staffetta aziendale l'intera Finlandia e le proprie paure. Perché tutto scorre nella vita come nello 'stream of consciousness' in cui ci immerge Loe, che col suo humour lunare investe banalità quotidiane e questioni esistenziali impregnandole della stessa paradossale ironia. Una scrittura scrosciante che, tra digressioni e associazioni mentali funamboliche, esprime le inquietudini di una società sempre più 'liquida' e inafferrabile: il potere manipolatorio dei media, lo spaesamento delle nuove generazioni che diventa odio e intolleranza, l'ansiosa ricerca di sicurezza e solidità che si trasforma in rigido isolamento. Terrorizzato dall'acqua, dall'instabilità e dal cambiamento che essa rappresenta, questo sensibile e metodico trentenne vedrà così crollare le artificiose barriere con cui tiene ossessivamente alla larga la realtà, scoprendo il gusto di bagnarsi nell'incertezza, la gioia rischiosa di scoprire gli altri.'

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Sogno acqua, di nuovo. Sogno che l’acqua è sopra di me e dentro di me e intorno a me, che scorre e scroscia e gocciola, e ho sentito dire che sognare acqua significa cambiamento, e ogni volta che sogno acqua penso: maledizione, ancora cambiamento. Non finirà mai?

E per il terzo anno di fila mi portano via la macchina durante le grandi pulizie primaverili della capitale. Per il terzo anno di fila la mia Citroën rossa di fine anni Ottanta si trova in fondo alla Seilduksgata proprio quando gli addetti del Comune arrivano per lavare e spazzare le strade in modo che gli abitanti della città ed eventuali visitatori possano godersi la festa nazionale del 17 maggio, nonché i giorni successivi.

Sono sicuro di aver parcheggiato la macchina a regola d’arte. Quest’anno come l’anno scorso. E l’anno prima ancora. Ma soprattutto quest’anno. Se ne sta lì, fiduciosamente parcheggiata senza dare fastidio a nessuno. Anzi, sono convinto che è un parcheggio esemplare, quasi perfetto. L’ultima volta che ho usato la macchina, più o meno una settimana fa, ho guidato tranquillamente fino in fondo alla via, ho trovato un posto e l’ho accuratamente infilata in retromarcia. Poi sono rimasto lì ancora un po’ per finire di ascoltare un programma della radio inglese, generosamente ritrasmesso da nrk Notizie, su un ricercatore che era stato condannato per non aver trattato i suoi topi con il dovuto riguardo e, privato dei topi che gli avevano sequestrato, era rimasto indietro di anni nelle sue ricerche sulla ricostruzione di tessuto cerebrale danneggiato. Solo dopo che il ricercatore, i topi e il sistema giudiziario britannico si erano presi una bella strigliata e il programma era finito, e io mi ero assicurato che le ruote dell’auto fossero ben accostate al marciapiede, avevo spento il motore ed ero sceso. Ricordo che ero incredibilmente soddisfatto di aver trovato posto proprio lì. L’asilo di fronte era giusto quel tantino troppo lontano perché i bambini riuscissero a tirare sassi contro l’auto, e l’incrocio sbarrato, dove vengono lasciati i carrelli per la consegna dei giornali, che la rende una via senza uscita, era anche quello a una distanza sufficiente da farmi sentire sicuro che ai distributori di quotidiani non sarebbe mai venuto in mente di graffiarmi la carrozzeria con le loro varie chiavi quando passano canticchiando all’alba, mentre i proprietari dormono senza alcuna possibilità di vegliare sulla sorte delle loro macchine che se ne stanno lì sole solette nella penombra del mattino.

Quando torno a riprendere l’auto, non c’è più. Orribile visione. Nel posto dove avevo lasciato la mia ce n’è un’altra, e per il terzo anno di fila il mio primo pensiero è che me l’hanno rubata, qualcuno se l’è presa, ha forzato la serratura, collegato i cavi e se l’è filata alla grande. Un semplice furto di pronto uso, suppongo. Qualche drogato che si sarà messo in testa di spostarsi in un’altra zona della città, senza dubbio alla ricerca di qualcuno cui sia avanzata una dose, e così è passato davanti alla mia auto e con quel suo cervello irrazionale ha pensato che guidare è più comodo che camminare, si va così veloci in macchina e così piano a piedi, di per sé anche un buon punto, a dire il vero, e così ha rotto un finestrino e il resto ognuno se lo può immaginare come gli pare e piace. Comunque sia, il fatto è che la macchina non c’è più. Sarà da qualche altra parte, di sicuro parcheggiata male e con la batteria scarica, perché quel farabutto, o farabutti, l’avrà lasciata lì con i fari accesi, con tutta probabilità nella parte ovest della città, o magari anche in quella est. Di questi tempi ormai si fa uso di quegli stimolanti del sistema nervoso un po’ ovunque. Non è facile indovinare dove sarà andata a finire.

È davvero una bella rottura non avere la macchina. Ho un appuntamento all’ambasciata finlandese per un incarico, un lavoro, ho bisogno di un lavoro, e di soldi, come tutti quanti ovviamente, devo andare all’ambasciata finlandese, dunque, che neanche so esattamente dov’è, e lo stradario è in macchina, almeno era in macchina l’ultima volta che l’ho parcheggiata, tra l’altro lo sfogliavo distrattamente mentre ascoltavo la fine del programma sul ricercatore che aveva bistrattato i suoi topi. Ricordo che, nonostante la distrazione, mi aveva colpito il fatto che la forma del Parco Frogner ricorda vagamente quella di un paese africano, diviso arbitrariamente con un righello tra parecchie teste calde incapaci di arrivare a un accordo, un brutto giorno di molti, molti anni fa, e avevo notato, malgrado la radio accesa che continuava a blaterare, che la via dove si trova l’ambasciata finlandese inizia a uno degli angoli del parco, ma quale non lo ricordo più. E non ho molto tempo, come al solito, dovrei dire, anche se non mi mancano esempi di volte in cui di tempo ne ho avuto in abbondanza, o per lo meno abbastanza, o addirittura anche troppo, in qualche raro caso, troppo, pensa un po’, tempo libero solo per me, tra una battaglia e l’altra,1 per così dire, ma adesso la situazione è che di tempo non ne ho molto. Ce l’avrei fatta al pelo se l’auto fosse stata parcheggiata qui, ma dal momento che non c’è, di arrivare in orario me lo posso solo sognare, e chissà come reagiranno i finlandesi. Non ne ho idea. Ma i finlandesi non sono persone di ampie vedute, poco formali e piacevolissime? Così, per lo meno, ho sentito dire, ma se ne sentono talmente tante, e spesso potrebbe anche essere vero l’esatto contrario di quel che si sente, e inoltre varia molto da persona a persona. Di sicuro ci sono quelli che prendono i ritardi alla leggera e restano imperturbabili, un ritardo è come niente per loro, ci passano sopra e pensano ad altro, ma altri invece ci danno un gran peso e si arrabbiano spaventosamente, magari perdono addirittura il controllo, cominciano ad agitare i pugni tutt’intorno in modo frenetico e pericoloso, ma gente così non viene assunta al Ministero degli Esteri, mi consolo, probabilmente non viene assunta del tutto, e se proprio viene assunta, certo non è all’ambasciata di Oslo, si è mai sentita una cosa simile, sarebbe proprio bella, potrebbe mettere a rischio i rapporti tra Norvegia e Finlandia, rapporti ottimi, ma anche delicati, rapporti che, a quanto ne so, sono sempre stati piuttosto buoni e tutti naturalmente si augurano che continuino a essere come devono essere dei rapporti di buon vicinato, ovvero di aiuto e comprensione reciproca, e se tu gratti la schiena a me io la gratto a te, modi gentili e correttezza nelle discussioni e libero flusso di beni e servizi e di tutto quello che in generale può fluire tra paese e paese, e non è poco, che fluisce, scorre, scorre come acqua e l’acqua è cambiamento. Avremo mai pace, noi esseri umani?

Mancano dieci minuti al mio appuntamento all’ambasciata. Che faccio? Prendere un taxi mi sembra un lusso esagerato, chissà quanto costa, magari cento corone, o magari anche di più, e io non ho molti soldi, allo stato attuale, anzi, a dirla proprio tutta sono praticamente al verde, forse ho giusto quanto basta per una corsa in taxi. E devo pure andare lontano, in tutt’altra zona, non esagero se dico addirittura dall’altra parte della città. Da est a ovest. È vero che Oslo non è poi così grande, c’è anche chi sostiene che è decisamente piccola, soprattutto se si tien conto che è la capitale di un’intera nazione, la Norvegia appunto, ma ci vivono pur sempre, già, quante saranno, diciamo un mezzo milione di persone, più o meno, e non sono poche, a me almeno non sembrano poche. Ci sono un mucchio di case a Oslo. E strade. La città è estesa. Le distanze esistono. E sono tali da far sì che le differenze tra l’est e l’ovest, per esempio, devono essere prese in considerazione, ad ogni modo non sono niente, non possono essere ignorate. E ci vuole tempo per spostarsi, soprattutto se uno non ha la macchina, io la macchina ce l’ho, ma non c’è più, probabilmente rubata, penso di nuovo, perciò in pratica non ce l’ho, e a questo punto ho già sprecato tempo prezioso a pensare cosa fare, così non mi resta che prendere un taxi. Se fossi una persona con più carattere, sarei balzato di volata sul tram nel momento stesso in cui mi sono accorto che la macchina non c’era più, invece sono rimasto paralizzato, triste e paralizzato, imbambolato quasi, e a chi non sarebbe successo nella mia situazione, una macchina in fondo è qualcosa cui ci si affeziona con gli anni, diventa un po’ parte della famiglia, o per me che non ho famiglia, come un amico. Fermo un taxi e salgo. Normalmente il taxi lo prendo poco. Preferisco andare a piedi piuttosto che prendere un taxi. All’ambasciata finlandese, dico. E il tassista si mette a sfogliare lo stradario, lo stesso che ho, o avevo, io in macchina, uno stradario eccellente che riporta in dettaglio tutta la rete stradale di Oslo e pure di parecchi comuni limitrofi. Il tassista cerca sulla cartina. Rigira lo stradario sottosopra e scuote la testa. Thomas Heftyesgate, dice alla fine e mette in moto l’auto. A tavoletta, dico io con fare apparentemente scherzoso, ma con un tono che fa capire al tassista che lo dico sul serio. E lui guida con disinvoltura attraverso le strade davvero giuste, quelle che solo i tassisti conoscono e mi fa vergognare dei miei pregiudizi e mi racconta che Thomas Heftye, eclettico individuo, a suo tempo contribuì allo sviluppo del telegrafo senza fili e che fu politico e membro del comitato olimpico internazionale e non so cos’altro, è una novità per me, sia queste informazioni su Heftye sia che un tassista mi racconti qualcosa che non sia l’aumento delle tasse sulla benzina o che, per esempio, una...



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