Mamet | I tre usi del coltello | E-Book | sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 335 Seiten

Mamet I tre usi del coltello

Saggi e lezioni sul cinema
1. Auflage 2023
ISBN: 978-88-7521-804-1
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

Saggi e lezioni sul cinema

E-Book, Italienisch, 335 Seiten

ISBN: 978-88-7521-804-1
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Questo libro, a metà strada fra l'autoritratto di un mostro sacro di Hollywood e il manuale per aspiranti cineasti, ha riunito per la prima volta in italiano i saggi del premio Pulitzer David Mamet. Sceneggiatore, regista, attore, produttore, drammaturgo, romanziere e perfino poeta, Mamet è una delle figure più complesse e affascinanti del cinema dei nostri tempi. Ha messo la firma a film che hanno fatto la storia del cinema, tra cui Il verdetto, Il postino suona sempre due volte, Gli intoccabili e Hannibal. Il libro si divide in tre sezioni: la prima, «I tre usi del coltello», si occupa della natura del lavoro dello sceneggiatore e degli obiettivi del raccontare storie; «Dirigere un film», la seconda parte, è l'appassionante trascrizione di una serie di lezioni di regia che Mamet ha tenuto alla prestigiosa Columbia University; la terza e ultima, «Vero e falso», è dedicata al ruolo dell'attore e si rivolge non solo a chi recita ma anche a chi deve dirigere gli attori sulla scena. Sorprendente, lucida, irritante, magistrale, rivoluzionaria, divertente: ecco come si rivela la voce di Mamet in questo libro composito e unico, imprescindibile per chiunque voglia scoprire cosa fa di un film un capolavoro.

Mamet I tre usi del coltello jetzt bestellen!

Autoren/Hrsg.


Weitere Infos & Material


DAVID MAMET: UNO SCONOSCIUTO DI FAMA MONDIALE


In , uno dei primi testi teatrali di David Mamet, il giovane mozzo Dale, finito il suo lavoro, beve una birra sul ponte insieme a Joe, marinaio più anziano e disincantato.

DALE: Mi ricordo in un corso di giornalismo, quando facevo il liceo, l’insegnante diceva sempre di non usare mai negli articoli la parola . Tipo: «Il Signor X, famoso dottore...»

JOE: Proprio così, perché se sono famosi, che bisogno c’è di dirlo?

DALE: E l’insegnante diceva che se lo erano...

JOE: E allora perché cazzo devi dire che lo sono, giusto?

DALE: Appunto.1

Queste poche battute rappresentano un efficace esempio della tecnica di dialogato di Mamet, giocata – nel teatro così come nelle sceneggiature cinematografiche – sulla brevità e l’arguzia del contraddittorio incalzante, cui spesso dona realismo e vivacità il ricorso al turpiloquio. Ma non solo. Queste battute rappresentano anche il paradosso cui ci si trova di fronte nel sottoporre all’attenzione del lettore italiano un nuovo tassello della monumentale e variegata opera di questo autore, come sono i tre saggi qui presenti ( del 1991, del 1997 e del 1998). Il paradosso consiste nel fatto che, per tutti i non addetti ai lavori (in ambito teatrale e cinematografico), ricordare quanto Mamet sia non è un pleonasmo. Molta della sua produzione ha infatti avuto scarsa fortuna nel nostro paese, malgrado la sua indubbia rilevanza: la maggior parte dei testi teatrali che sono stati tradotti in italiano è ora fuori commercio e la loro rappresentazione è a tutt’oggi episodica; e inoltre i film di cui Mamet ha firmato la regia (ad eccezione forse del , che ha ottenuto un buon successo di pubblico anche grazie alla notorietà degli attori, fra cui Gene Hackman e Danny De Vito, e alla presentazione fuori concorso al Festival del Cinema di Venezia del 2001) hanno avuto una distribuzione difficile e in molti casi sono usciti fuori stagione: ad esempio , del 2000, è arrivato nelle sale italiane soltanto nell’estate del 2002.

Eppure, nonostante queste complicazioni, il rapporto fra Mamet e il pubblico italiano (e non solo) è molto più solido di quanto si possa pensare, in quel modo anonimo e oscuro in cui gli sceneggiatori si fanno sempre amare dal proprio pubblico: e cioè attraverso la storia che hanno scritto. In modo anonimo e oscuro quando abbiano scelto (o gli sia stato richiesto) di a sceneggiare quella storia, senza girarla o interpretarla. Questo almeno è quanto avviene in Italia, dove si continua «una ormai radicata tradizione romantico-idealistica, secondo cui l’ cinematografico, per essere veramente tale, deve fare tutto da sé».2 E invece Mamet era un vero molto prima di mettersi dietro la macchina da presa, a giudicare – per rimanere in ambito cinematografico – dai film di altri registi di cui ha firmato la sceneggiatura (e qui, finalmente, aggiungere sarebbe davvero una ridondanza): dal del 19813 al dell’anno successivo, dagli del 1987 fino al più recente del 2001, scritto a quattro mani con Steven Zaillian.

Si può dire che in questo caso siamo in presenza di un fatto singolare, che poi è l’auspicio di molti artisti: e cioè che la fama della loro opera li preceda. In effetti, i film citati rappresentano un bel biglietto da visita per Mamet, la cui vicenda artistica tuttavia comincia molto prima nel tempo e non nel cinema (a cui approda soltanto agli inizi degli anni Ottanta), ma nel teatro.

1. Storia di un drammaturgo


Mamet è considerato una delle stelle che, con David Rabe e Sam Shepard (della stessa generazione), costituiscono il «firmamento» del teatro americano contemporaneo che possa già dirsi «classico», delineato da Mario Maffi come un arcipelago:

un vasto arcipelago di isole nella corrente, di cui è arduo disegnare una mappa accurata poiché sfuggono i contorni precisi, le coordinate, i reciproci collegamenti, i punti di riferimento stabili, e in cui a tutta prima sembrerebbe che unico elemento comune sia quella particolare (e angosciosa) risacca sociale che ha dominato l’ultimo quindicennio di vita americana.4

Un punto in comune fra questi autori è che le loro sperimentazioni non incontrano certamente i gusti della critica ufficiale, con cui polemizza un giovanissimo Mamet:

Tolstoj una volta disse che nell’esercito russo quando un generale aveva raggiunto il più alto grado come Russo veniva promosso Tedesco. Il massimo risultato da raggiungere è essere considerati cittadini onorari inglesi, poiché evidentemente la nostra vita reale non sembra un argomento adatto al teatro.5

E invece per Mamet non c’è altro argomento che la , oppure quelle tante piccole realtà abitate da uomini disperati e animati soltanto dalla logica del guadagno. Le sue scelte drammaturgiche vanno decisamente in direzione contraria all’orientamento consolatorio del teatro «istituzionale» di Broadway, a cui tuttavia Mamet approda nel 1977 con 6 (scritto nel 1975), e poi nel tempo con il resto della sua produzione, dopo anni di sperimentazioni nei teatri di Chicago.

Una caratteristica dei testi teatrali di Mamet è l’apparente assenza di , intesa – come generalmente viene intesa nell’ambito della narrazione – come atto del personaggio, evento che muti il corso della storia. In effetti, in molte di queste opere succede poco e niente. Anche in due testi come , del 1992, e il più lontano nel tempo , che ruotano intorno a due grandi eventi (lo stupro in un caso e il furto di una preziosa moneta nell’altro), le azioni sono soltanto evocate nelle battute dei personaggi, che «parlano» e «non agiscono».7 Nel caso di l’azione evocata e che costituisce il motore della storia (il millantato stupro del professore ai danni della sua allieva) non solo non viene messa in scena, ma di fatto non è neanche accaduta nella realtà del dramma, perché la ragazza ha mentito (si tratta quindi di una ).8 Così come non verrà attuato il furto di cui i protagonisti di non fanno altro che parlare per tutto il tempo, perché è l’unico modo in cui possono agire.9 Parlare, però, in quel modo speciale in cui si esprimono tutti i personaggi di Mamet, che è da più parti riconosciuto come

un virtuoso di quella che in inglese si chiama la , ossia la parolaccia: nel senso che egli possiede forse più di qualsiasi altro scrittore, di teatro o no, l’orecchio per quella particolare forma di afasia, di difficoltà comunicativa, che appunto si esterna mediante un turpiloquio esasperato e incessante.10

Un turpiloquio continuamente interrotto da sapienti pause che danno ritmo ed efficacia a quello che Masolino D’Amico ha definito «dialogo spezzato». Ed è in questo tipo di dialogato che consiste l’ del teatro di Mamet, animato com’è dal sovrapporsi incalzante dei vari personaggi al centro delle diverse scene.11

Sul piano dei contenuti, il dialogo si traduce nella difficoltà dei personaggi ad avere fra loro rapporti che non siano regolati, se non dall’inganno, dal rancore, dall’istinto di sopraffazione.

Tutta l’opera di Mamet, non solo teatrale, sembra dirci che i rapporti fra le persone sono complicati: sono difficili quelli fra uomo e donna (a giudicare dal e, in maniera più ancora esasperata, da ), quelli fra padri e figli (si pensi al piccolo testo 12), quelli fra colleghi di lavoro (e certamente in tal senso costituisce una sorta di manifesto programmatico). Tutti i personaggi creati da Mamet sono odiosi, imperfetti, dominati da impulsi che creano conflitti laceranti. Eppure, sostiene sottilmente Guido Almansi, «a seconda lettura, le commedie di Mamet, persino quelle che sembrano più ciniche, sono estremamente positive, quasi giovanilmente ottimiste, circa la possibilità della fraternità e dell’amore».13 Si potrebbe dire che Mamet lavori alle sue storie con lo stesso spirito che Ian McEwan rintraccia nella sua scrittura: «Credo che nei miei racconti si proietti un senso del male che è di un genere ben preciso; quello per cui uno cerca di pensare il peggio possibile così da propiziarsi il bene».14 Come se il male e l’inferno che animiamo ogni giorno,15 circoscritti nelle pagine di un racconto così come nelle battute di un dialogo, potessero essere tenuti a bada. Nel caso di Mamet però – a differenza di McEwan – non c’è alcun intento apotropaico: c’è semmai un’istanza etica che lo spinge a perseguire il anziché il o il (il cui effetto consolatorio è effimero e pericoloso).16 Scrive in proposito Bigsby:

Mamet è un moralista che lamenta il crollo dell’immagine pubblica e dello scopo di vita individuale mostrando un mondo spiritualmente inaridito in cui dominano i ritmi della disperazione e in cui l’occasionale armonia nei rapporti umani o il momentaneo lirismo sepolto in...



Ihre Fragen, Wünsche oder Anmerkungen
Vorname*
Nachname*
Ihre E-Mail-Adresse*
Kundennr.
Ihre Nachricht*
Lediglich mit * gekennzeichnete Felder sind Pflichtfelder.
Wenn Sie die im Kontaktformular eingegebenen Daten durch Klick auf den nachfolgenden Button übersenden, erklären Sie sich damit einverstanden, dass wir Ihr Angaben für die Beantwortung Ihrer Anfrage verwenden. Selbstverständlich werden Ihre Daten vertraulich behandelt und nicht an Dritte weitergegeben. Sie können der Verwendung Ihrer Daten jederzeit widersprechen. Das Datenhandling bei Sack Fachmedien erklären wir Ihnen in unserer Datenschutzerklärung.