Manacorda | Delitto a Villa Ada | E-Book | www.sack.de
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E-Book, Italienisch, 137 Seiten

Manacorda Delitto a Villa Ada


1. Auflage 2013
ISBN: 978-88-6243-294-8
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 137 Seiten

ISBN: 978-88-6243-294-8
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A Villa Ada viene ritrovato il cadavere di un famoso poeta che viveva nel parco romano come un barbone. Conduce le indagini un commissario giovane e colto, poeta egli stesso, che non riesce però a venire a capo dell'ingarbugliata faccenda e rinuncia all'incarico consegnando la pratica nelle mani del Questore di Roma. Fra i tanti misteri che affiorano dagli interrogatori dei personaggi che frequentano la villa, uno campeggia insoluto e decisivo: la macchina da scrivere d'oro appartenuta al poeta ucciso. Un oggetto magico che, come la lampada di Aladino, farebbe scrivere a chi la usa grandi poesie. Si tratta di un movente plausibile? Forse, ma che fine ha fatto?... Una fiaba noir sulla poesia, sui poeti, sui tormenti della creatività, sulle invidie che possono portare a gesti estremi anche esseri tra i più distanti dalla realtà, i più astratti e sognanti, persi dietro i propri desideri di gloria.

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2. DEPOSIZIONE SCRITTA DI MANACORDA, GIORGIO


Gentile commissario Sperandio,

il cadavere del poeta Vasco Sprache l’ho trovato io, e va bene. Lei vuole sapere con precisione quello che ho fatto e chi ho incontrato fino a quel momento, e va bene. Lei vuole sapere quali rapporti avevo – se li avevo – con il morto, e va bene. Lei ha tanto insistito che io buttassi giù questa relazione (vuole sfruttare le mie qualità di scrittore, ha detto) in base alla convinzione, errata, che ricostruendo le prime ore di quella mattinata io possa dare “un significativo contributo alle indagini” – sono parole sue. La convinzione, ripeto, è errata, ma se proprio devo, eseguo; anche perché il mio avvocato dice che non mi posso esimere. Ma agli altri non credo che chiederà una relazione scritta. Scrivere, come vede, ha i suoi svantaggi. Comunque, la ringrazio del suo apprezzamento per la mia attività di poeta. Ma i poeti sono conosciuti solo dai poeti, o aspiranti tali. Siamo sicuri che lei non scriva poesie, commissario?

È vero: ho trovato il cadavere e, sì, lo conoscevo; insomma, l’ho incontrato tante volte. In un certo senso, è vero, un compagno di strada, come lei ha insinuato, o solo ipotizzato. Certo era un poeta, o quasi, cioè molti credono di essere dei poeti. Non se la prenda, commissario, se scrive poesie, voglio dire. Guardi che finirò col parlare di poesia, eh sì, perché per me quel giorno è stato speciale anche per un’altra ragione, una cosa bella, commissario, mica un omicidio. Una cosa bellissima: Renzo mi ha telefonato perché è uscita sui giornali la notizia che sono candidato al Nobel. Si dice che vada a un italiano – e insomma, sì, lo devo ammettere, sembra che sia vero, o almeno molto probabile. Mi hanno già cercato i giornalisti svedesi. Indiscrezioni plausibili, le chiamano. Ma insomma, vedremo. Comunque a lei non interessa. Lei vuole sapere di quella maledetta ammazzatina, come si dice in Sicilia.

Dunque, il punto di incontro è il laghetto basso, è lì che si trovano quelli che corrono, e se cambi gli orari cambiano le persone che incontri. Noi arriviamo sempre alle sei e mezza, e ci sono Marisa e Maria, che è una moretta che quando corre non gli daresti due lire, ma poi nelle gare va come il vento, forse perché è così magra; Marisa, invece, è più elastica e c’ha un fisico, commissario, con tutte le cose giuste al posto giusto, che quando quella coda di cavallo bionda gli danza perpendicolare al sedere… In generale quando arrivo io loro due, sole o accompagnate, già corrono intorno al lago, e ogni tanto qualcuno mi chiede (perché io come al solito aspetto Ulisse) hai visto Marisa? Hai visto Maria? Uno è Pietro, la capoccia a palla di biliardo, ha un negozio di attrezzi sportivi, lui viene sempre a chiacchierare con me, tutto sommato è quello che mi sta più simpatico, mi racconta dell’amante brasiliana, della moglie che l’ha buttato fuori casa e poi se l’è ripreso. Sì, lo confermo, Pietro c’era il 20 settembre, e anche Marisa e Maria. Ma mica c’erano solo loro, e io in un modo o nell’altro, una battuta l’ho scambiata con tutti. Per esempio Filippo. Tu arrivi e lui sta già lì ma non corre, ha un problema a un piede, però viene comunque perché vuole vedere gli amici e prendere una boccata d’aria prima di andare a lavorare. Filippo è asciutto, alto e ha l’aria di un signore sofferente o forse solo triste; è l’unico in quell’ambiente che ha una passione culturale, gli piace la storia dell’arte. Una volta abbiamo parlato di Michelangelo. Se c’è uno che non è sospetto, commissario, quello è Filippo, è troppo gentile. Non ce lo vedo proprio.

Arrivato Ulisse abbiamo cominciato a correre; immagino che lei voglia sapere chi è, visto che era con me. E come faccio a spiegarglielo! Dire che è un imprenditore teatrale è riduttivo. E, sì, ha avuto a che fare con la poesia, moltissimo, si deve a lui il grande Festival internazionale dei Poeti a Castelporziano nel 1979. Per il momento diciamo che corre con me, anzi, io corro con lui che è quasi un professionista, fa addirittura le maratone. Se corro lo devo a lui, mi ha insegnato tutto. Mi ha detto quali scarpe comprare, quali magliette, quali tute… E ha avuto una pazienza! Pensi che all’inizio io non ce la facevo neppure a camminare in salita, mi veniva subito il fiatone, e lui mi aspettava, e piano piano mi ha portato a correre per cinque chilometri! La sua pazienza viene dalla passione per la corsa, ma anche da un sistema nervoso di ferro, lui è uno degli uomini più sereni che io abbia mai conosciuto. Più di una volta mi è capitato di pensare che sarebbe un delinquente perfetto. Io credo che potrebbe svaligiare una banca senza che gli aumentino le pulsazioni cardiache. Ma Ulisse è quello che si dice un uomo buono, uno su cui sai di poter contare, un vero amico, anche perché quando tutti perdono la testa lui rimane calmo e fa quello che è necessario fare. Invece io sono un emotivo. E mi agito, come adesso col fatto che sono io che ho scoperto il cadavere; lo so di essere il primo indiziato, non è che non me ne renda conto, commissario. Comunque, allora, dov’ero? Lei mi ha chiesto se ho conosciuto il morto, cosa vuole che le dica di Vasco Sprache? La cosa peggiore che mi sia capitata in vita mia è stata proprio la scoperta del cadavere di quel mio amico e concorrente… Amico? Concorrente? Ecco, vede, commissario, mi sfuggono le parole, che è proprio quello che lei vuole. E allora glielo dico chiaro e tondo: amico no, non siamo mai stati amici, ma, certo, ci conoscevamo. È come se fossimo partiti a trent’anni tutti insieme, un gruppone, come fanno i maratoneti, poi col tempo il gruppo si sgrana e si rimane in pochi. E in pochi siamo rimasti, e non perché qualcuno sia morto, ma perché non sono molti quelli che arrivano. Quindi, più che un amico era un concorrente, uno che faceva la stessa corsa e, si sa, le corse lunghe hanno i posti di ristoro, i momenti di crisi in cui qualcuno ti aiuta ma gli altri se ne approfittano; le rivalità, i confronti, le piccole scaramucce per arrivare a fare un certo tempo, ecco: ci siamo sfiorati, incontrati e scontrati tante volte. Anche da voi, in polizia, è così? Che tutti sono in competizione con tutti? Non che mi riguardi. Si tratta di pura curiosità. Per esempio – e per spiegarle – potenzialmente i poeti sono tutti criminali. Lei non se ne può rendere conto perché il suo essere poeta – qualora lei davvero lo fosse – è stemperato dal suo essere poliziotto. Guardi Pasolini, secondo me pattinava sulla soglia del crimine tutte le notti, eppure era uno dei nostri maggiori poeti; Penna era ai limiti della pedofilia, e Pascoli con il suo morboso rapporto con la sorella poteva diventare benissimo un serial killer, per non parlare di tutte le altre acque chete della poesia italiana. E più sono intelligenti più sono pericolosi, creda a me che li conosco.

Quello che è successo a Villa Ada si spiega solo così. No, non esagero, capisco che le possa sembrare strano, ma loro vivono in un mondo alla Chagall, un mondo rovesciato. Ogni poeta spera di essere dio, crede che per lui non ci siano regole. Per questo può delinquere. Non importa quale ruolo sociale ricopra o quale abito o divisa indossi. Professori, prelati, avvocati, operai, giornalisti, artigiani, medici o infermieri: la poesia li rende tutti uguali. Divago? Sì, forse è vero, divago ma divagando divagando si possono dire cose che… Per esempio quando a Villa Ada uno scoiattolo mi attraversa la strada ed è uno dei nostri con il pelo grigio marezzato, quasi a strisce, ormai rari da vedere perché qualcuno ha importato degli scoiattoli più grossi – dicono americani – di un colore marrone rossiccio, che stanno sterminando gli italiani, ci casco ancora e penso che i poeti sono come gli scoiattoli, gentili, leggeri, eleganti… Ma non buoni. Vede? Non sono buoni neanche gli scoiattoli. Commissario, anche se non c’entra con le indagini, davvero non si può fare niente? Nessuno si occupa dello sterminio dei nostri scoiattoli, così come nessuno si occupa dei poeti. Noi siamo una specie in estinzione, commissario: faremo la fine degli scoiattoli italiani. Qualcuno ce l’ha con i poeti. Senta a me, Vasco Sprache è il primo di una lunga serie. Ho un appello per lei, e tramite lei per il paese tutto, lo faccia salire per le vie gerarchiche: considerate i poeti, almeno i poeti, una specie protetta, che è quello che dovreste fare anche con gli scoiattoli autoctoni, come si fa con gli aironi, gli stambecchi o i lupi. A me, però, mi sa che i poeti sono più lupi che aironi o stambecchi, o scoiattoli. Lei non ci crede che i poeti siano cattivi? Lei per esempio commissario, se lei è un poeta che si trova a indagare sulla morte di un poeta… Non potrebbe essere stato un poeta a uccidere?

Le dirò una cosa assurda – anzi forse è proprio un consiglio: cerchi la macchina da scrivere d’oro. Non so, io non ci credo, secondo me è solo un mito, una fiaba, un sogno. Quella nessuno l’ha mai vista. Ma come si fa a escludere che esista? Tra i poeti se ne parla...



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