Manacorda | Il cargo giapponese | E-Book | www.sack.de
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E-Book, Italienisch, 149 Seiten

Manacorda Il cargo giapponese


1. Auflage 2015
ISBN: 978-88-6243-230-6
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 149 Seiten

ISBN: 978-88-6243-230-6
Verlag: Voland
Format: EPUB
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Un cargo battente bandiera giapponese si schianta su una banchina del porto di Cagliari. È completamente vuoto: nessun carico e niente equipaggio. Sembra una nave fantasma. Il questore di Cagliari chiama a indagare un suo antico compagno di corso, il commissario poeta Sperandio, che vive esiliato tra i monti della Barbagia, senza amici e senza una donna, in simbiosi con il suo cane. Il modo di procedere di Sperandio è poco ortodosso, al limite della follia - eppure comincia a intravedersi la soluzione. Prima di risolvere l'enigma dovranno morire dieci giapponesi. E dovrà nascere un amore.

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SECONDA PARTE
Modi di morire


9.


Il giapponese era avvolto nella bandiera bianca del suo paese, con il tondo rosso del sole sul petto sfondato da un grande peso, proprio da un peso di piombo di quelli che si usavano una volta per le bilance, anzi per le stadere, con quella forma a cilindro tozzo e quel breve collo sormontato da una palla – come fosse una piccola testa – che fungeva da maniglia, ma in questo caso non si poteva afferrare perché la piccola sfera affondava tutta nel corpo del giapponese, tanto che il sole della bandiera non era altro che un’aureola intorno a quel cilindrico meteorite, una perfetta rifinitura geometrica intorno a quello scempio. Non fosse stato per il sangue. Infatti, da quel centrale carico di venti chili (c’era scritto sul peso) si sfrangiavano rossi raggi di sole per l’ampio torace – come per un tramonto già avvenuto, come se nella morte quel corpo alleggerisse il suo carico spurgando tutti i liquidi, l’interiore sanguigna luce perduta.

– Scommetto che quando lo spoglieranno per l’autopsia lo troveranno coperto di tatuaggi – disse il questore.

– Disegni, disegni – mormorava Sperandio.

– Eh?

– Sì, sì, tatuaggi, dicevo, cioè ancora disegni sul corpo.

– Ah, sì.

– O no?

– Cioè?

– Forse non è solo un disegno.

– ...

– A parte che somiglia di più a una scultura.

– ...

– Comunque sempre di arte figurativa si tratta.

– Ma qual è il disegno?

– ...

– Chi l’ha pensato? E chi lo ha messo in atto?

– ...

– Moriranno altri giapponesi.

– ...

– Non lo vedi che l’assassino ci sta dicendo qualcosa!

– E cioè?

– Non lo so, ma quella più che una morte è un discorso!

– Un messaggio?

– Qualcosa del genere... – diceva passandosi la mano tra i folti disordinati capelli grigi, e dopo un attimo di silenzio aggiunse:

– Il fantasma!

– I fantasmi non ammazzano nessuno.

– Ma il cargo è giapponese, e il morto pure.

– ...

– Il fantasma del comandante ha cominciato a vendicarsi.

– ...

– E sta ammazzando i killer che la Yakuza ha messo sulla sue tracce.

– ...

– Forse sta solo difendendo la sua nave.

Il questore girò sui tacchi e se ne andò lungo il molo verso il mare con la scorta che lo seguiva a distanza e con Sperandio che seguiva la scorta ciondolando, sbandando come il cargo quando era entrato in porto. Forse pensava, o forse non pensava a niente, era solo assorto, lasciava vagare la mente come, appunto, un vascello fantasma per i mari, per gli oceani del possibile – e dell’impossibile, pensò, questa volta consapevole, per un attimo presente a sé stesso. Ma rinunciò subito, tanto non ci si capisce niente, caro Scotch. Ha ragione Gavino: un cargo fantasma ma molto concreto, eccolo lì, si vede, come si vede il corpo del giapponese con il petto sfondato da quel peso. L’hanno caricato male ed è affondato! Sperandio si drizzò con tutto il corpo come colpito da una frustata: l’hanno caricato male o forse troppo o nel posto sbagliato e lui è morto! Come la nave! Inoltre, abbiamo un comandante fantasma – se di fantasma si tratta e se di comandante si tratta – e la Yakuza, visto che davvero il morto, anche lui come i tuoi assassini, è tatuato... Ma oggi i tatuaggi se li fanno tutti... Tranne te. Tu ti tenevi il tuo pelo ruvido ed eri contento se ti parlavo e ogni tanto ti toccavo, ti strapazzavo un po’, o passavo la mano sul tuo manto corto come una spazzola. Tu non avevi bisogno di tatuaggi per dimostrare che non eri una bestia. Ah, la differenza tra natura e cultura che passa per la scrittura! Oddio, ho fatto una micro poesia kitsch! Ma a te che te ne frega, tanto tu non capisci. Mi fa male dirlo, ma è così. D’altronde ci ho messo una vita per ammettere che l’umanità è fatta di animali che non accettano di esserlo. Per esempio, per fare il killer della Yakuza devi essere una bestia ma, per dimostrare ai propri affiliati che non sono delle bestie, l’onorata società giapponese impone a tutti di riempirsi di tatuaggi: la scrittura sulla pelle li dovrebbe rendere degli esseri umani. Dovrebbe. Ma quanto eri più umano tu, Scotch! Tanto è vero che tua era la mia mente e tuo il mio cuore. E tu, in effetti, eri come una amante, geloso, e mi ti strofinavi addosso, mi scrutavi come certe donne osservano i loro mariti con la scusa che li amano. Io no, non ti ho mai controllato, ti lasciavo fare quello che volevi. Ma tu come una vera amante non ti divertivi se non c’ero io. Va bene, anche io ti preferivo a qualsiasi altra compagnia. Forse perché non parlavi. Ovvero mi dicevi tutto, ma con parsimonia, e solo lo stretto necessario. Certo non avevi il dono della parola in senso stretto, ma a che serve? Forse è addirittura un handicap, una fissazione. Con il tuo amore mi riportavi a un modo di comunicare preverbale, caldo, fisico, materno. Ci guardavamo e bastava una carezza...

– Sperandio! Che cazzo fai in mezzo al molo a gambe larghe che sembri un marinaio in mezzo alla tempesta!

Il questore, raggiunta la punta del molo tornava indietro e si trovava di fronte il suo sottoposto e amico che barcollava e biascicava e quasi gesticolava:

– Aveva ragione Scotch.

– Scotch?

– Sì, lui era un cane e solo un cane.

– Un cane?

– Un cane cane, forse un po’ lupo, non so, anche se sembrava un labrador.

– ...

– Neanche lui, al fondo, sembrava quello che era.

– Un cane?

– Impuro come tutti noi.

– ...

– Bastardo misto meticcio, ma almeno lui nessuno ha provato a farlo diventare quello che non era.

– ...

– Nessuno sovrascrive un cane!

A questo punto Sperandio crollò carponi, e dimenando i fianchi come se avesse la coda cominciò ad annusare le scarpe del questore e poi quelle della scorta che era accorsa temendo il peggio. Ma Sperandio non smetteva di annusare tutti, seguendo gli odori lungo i pantaloni, nelle vicinanze del sesso e del culo, e anche più su fino al collo e ai capelli, per poi ritornare carponi e ricominciare col poliziotto più vicino. Nessuno parlava, guardavano atterriti il famoso investigatore, quel povero demente, ma quando uno della scorta fece la mossa di prendere il cellulare con la probabile intenzione di chiamare la neuro, il questore lo bloccò con lo sguardo e rimasero lì, statue di sale, a farsi annusare da quell’uomo bestia o animale umano fino a quando si tirò a sedere e rimase con le mani sulle ginocchia a guardare il nulla:

– Non siete voi, ma sento odore di tradimento. Gavino...

– ...

– Qualcuno dei tuoi si è venduto alla Yakuza...

– ...

– O al fantasma del capitano.

– Tirati su – fece il questore allungandogli una mano che Sperandio prese.

– Mi sento un po’ intontito. Dev’essere la poesia.

– La poesia?

– Sì, ho sognato di entrare in una poesia, proprio di esserci dentro.

– Ma se ci annusavi tutti.

– Sì, sentivo l’odore del tradimento, ma anche della poesia.

– ...

– Ero dentro quella poesia, la abitavo come una casa, la capivo dove non arriva la mente, e intanto, dentro quella casa di versi, sentivo l’odore del tradimento. Un odore acre, come di putrefazione in vita. Un odore che viene dall’interno di un corpo pulitissimo, candido in apparenza perfetto, perfino bello. Proprio come una poesia, che può puzzare di morte nella sua perfezione.

– ...

– Come la poesia, quella... Già ma tanto tu non la conosci...

– Io la poesia, quand’anche...

– Non la capiresti. Ma il tradimento sì, quello lo capisci.

– Dopo la morte di Scotch ho indagato, ma...

– Te l’ho detto: devi mettere il naso dove meno te l’aspetti, dove tutto sembra pulito e in ordine... addirittura poetico, sublime.

– ...

– E adesso fammi portare al bed & breakfast. Devo dormire.

Sperandio si svegliò al tramonto senza capire dove si trovava, e nemmeno bene chi era. Buttò gli occhi dove avrebbe dovuto esserci Scotch e fu preso da una fitta di dolore alla quale si sovrapponeva una confusa sensazione di vergogna per un sogno che forse non era stato solo un sogno. Nel tentativo di allontanare quello che era successo sul molo dopo la scoperta del cadavere (comunque qualcuno aveva tradito) e di riprendere il controllo di sé e della realtà oggettiva, quella delle cose e del paesaggio, la realtà della città in cui era costretto a muoversi. Costretto, pensò, costretto. È sempre e comunque una costrizione. Gli spazi ci uccidono, si stringono intorno a noi come tenaglie: questa bellissima città sta sul mare come un crostaceo grigio, rosso, arancio, come un’aragosta o un granchio gigante con le sue chele, con il suo porto che afferra e conserva, e chiude e apre e chiude. Devo fuggire prima che... Rischio di rimanere dentro quel cargo dentro il porto dentro Cagliari dentro un’isola circondata da un mare di fantasmi. Miti, mitologie, storie... Prese dal comodino la guida di Cagliari a disposizione degli ospiti e cominciò a leggere la parte che gli...



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