E-Book, Italienisch, 140 Seiten
Reihe: Cronache
Molinari Le case che siamo
1. Auflage 2020
ISBN: 978-88-7452-846-2
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Nuova edizione ampliata. Prefazione di Raffaele Alberto Ventura
E-Book, Italienisch, 140 Seiten
Reihe: Cronache
ISBN: 978-88-7452-846-2
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Che cosa hanno in comune le casette dei Tre Porcellini e il Cabanon di Le Corbusier? E Casa Farnsworth - la casa trasparente - costruita da Mies van der Rohe per una donna molto amata e gli studi del Grande Fratello? La casa è ancora il primo bene che ci fa proprietari o il giovane sogno borghese è finito insieme al boom? Qual è la forma delle case nell'epoca della sharing economy e della riproducibilità architettonica imposta dalle emergenze di guerra e dalle migrazioni? Che cosa ha cambiato l'Ikea nel nostro modo di immaginare non solo lo spazio, ma la vita? Con una lingua puntuale e accogliente che comincia col racconto di una casa vera (nella quale si può entrare) e arriva allo spazio, anche politico, da abitare e da ridiscutere, Luca Molinari racconta che tipo di casa siamo e siamo stati e che casa dovremmo o potremmo essere, e soprattutto dice perché senza casa non c'è architettura.
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La casa solida
C’erano una volta tre porcellini che vivevano con i genitori.
Un giorno la madre li chiamò e disse: “Siete troppo grandi per rimanere ancora qui. Andate a costruirvi la vostra casa”.
Prima di andarsene, li avvisò di non fare entrare il Lupo: “Vi prenderebbe per mangiarvi!” E cosí i tre porcellini se ne andarono.
Presto la strada si divise in tre e ognuno prese una direzione diversa. Sul suo percorso il Porcellino Piccolo incontrò un uomo che portava della paglia.
“Per piacere, dammi un po’ di paglia!” disse. “Voglio costruirmi una casa”.
In poco tempo costruí la sua abitazione e pensò di essere in salvo dal Lupo.
La casa non era molto bella e nemmeno fatta bene, ma a lui piaceva.
Gli altri due porcellini intanto proseguivano ognuno per la propria strada e presto il Porcellino Medio incontrò un contadino che portava della legna.
“Costruirò la mia casa con il legno perché è piú resistente della paglia,” disse il Porcellino Medio che lavorò duramente tutto il giorno per realizzarla.
“Adesso il Lupo non mi prenderà e non mi mangerà,” concluse.
Il Porcellino Grande invece incontrò un uomo che trasportava mattoni. “Per piacere, dammi un po’ di mattoni,” gli chiese. “Voglio costruirmi una casa”.
Il Porcellino Grande ringraziò il signore e si mise subito all’opera. Lavorò sodo e una volta finita la sua casa esclamò: “Che bella, e com’è solida! Qui dentro il Lupo non potrà prendermi!”
Il giorno dopo il Lupo arrivò alla casetta di paglia: “Porcellino, porcellino, fammi entrare,” gridò il Lupo.
Ma il Porcellino Piccolo non aveva intenzione di aprire la porta. Allora il Lupo cominciò a soffiare stizzito, buttò giú la casetta e lo divorò.
Il giorno seguente il Lupo andò a casa del Porcellino Medio e bussò anche alla sua porta. “Chi è?” chiese il Porcellino Medio.
“Tuo fratello,” rispose il Lupo.
Ma il Porcellino Medio sapeva che non si trattava di nessuno dei suoi due fratelli e non aprí.
Il Lupo allora prese i fiammiferi e diede fuoco alla casa che bruciò tutta.
La casa di legno crollò e il Lupo si mangiò il porcellino.
Il giorno dopo ancora il Lupo andò alla casa di mattoni e gridò: “Porcellino, porcellino, fammi entrare!”
Ma il Porcellino Grande rispose: “No, non ti farò entrare!” Poi improvvisamente sentí bussare di nuovo alla porta.
“Apri la porta e vedrai chi sono!” disse il Lupo con una vocetta. Quindi cominciò a soffiare ma la casa non si mosse di un millimetro. Poi provò con il fuoco ma non riuscí ad appiccarlo.
Il Lupo era furibondo! Gridava: “Porcellino, porcellino, scenderò per il camino e ti mangerò!” Dentro c’era una grossa pentola sopra il fuoco acceso. L’acqua stava per bollire. Il Lupo si calò dal camino.
Siccome non c’era il coperchio, il Lupo ruzzolò dentro la pentola e finí nell’acqua bollente.
E questa è la fine del lupo cattivo e della storia dei tre piccoli porcellini.
La favola dei tre porcellini è uno dei racconti di architettura piú esemplari che si conoscano ed è insieme metafora delle virtú borghesi del buon costruire.
Solida, razionale, realizzata con avvedutezza, resistente al tempo e ai capricci delle intemperie, la casa del Porcellino Grande è il prototipo elementare della villetta borghese che avrebbe invaso le periferie verdi e ancora accoglienti delle città di mezzo mondo. Inoltre, è la perfetta rappresentazione di un’idea di casa non piú urbana ma isolata, autosufficiente, bastione della privacy familiare, luogo caldo in cui ripararsi, difendendosi con ogni mezzo dal male che incalza dall’esterno.
La Bibbia dice: “Non costruirai sulla sabbia la tua casa, ma su un terreno solido” ( 7,21-27). Nel I secolo a.C. l’architetto Marco Vitruvio Pollione, il cui libro ebbe tanto successo a partire dall’Umanesimo anche per il fatto di essere uno dei pochi testi sopravvissuti in integrale al disfacimento del mondo romano, indica nella una delle tre virtú cardinali in ambito architettonico, insieme alla e alla .
La solidità, la resistenza al tempo, non è necessariamente un valore borghese dal momento che è da sempre alla base del pensiero costruttivo dell’uomo che sfida la Storia e la fragilità delle cose. Anzi, questa caratteristica è stata in ogni epoca prerogativa delle élite e di quelle istituzioni che volevano sopravvivere al tempo dimostrando una continuità e una forza resistente, una generazione dopo l’altra.
L’eternità assegnata al tempio e al palazzo si trasferisce via via nella casa per tutti in un processo che cambierà definitivamente i nostri paesaggi abitati.
Con l’inizio dell’Ottocento la casa passa dalla capanna in paglia del Porcellino Piccolo – fragile e povera nei materiali – alla casa in legno del Porcellino Medio – ricordo delle case in della prateria americana –, fino alla villetta in pietra del Porcellino Grande, coronamento del sogno piccoloborghese della “casa per sempre”.
Da questo momento in poi milioni di cottage e casette, realizzati secondo i capricci delle mode, invaderanno i territori intorno alle nostre città realizzando il sogno della fuga dalla metropoli e l’illusione di un ricongiungimento con una Natura finalmente addomesticata.
È interessante notare che pochi decenni prima di questa rivoluzione abitativa la regina Maria Antonietta aveva fatto costruire all’ombra dell’imponente reggia di Versailles una piccola fattoria. Aspirazione bucolica di un mondo lontano dalle colonne e dal classicismo ingombrante del Palazzo. Dimora per i desideri di libertà della giovane sovrana, era realizzata con materiali elementari e un linguaggio che prefigurava la fuga romantica verso gli spazi aperti. Luogo primario in cui rinascere e riconciliarsi con la Natura. Questo casino dei piaceri rurali è una sorta di virus nell’impianto classicista della reggia, in esso tutto sembra in opposizione all’ordine prestabilito quanto a localizzazione, scala, materiali, stile.
Su questo modello “involontario”, che attua l’evoluzione del padiglione “dei piaceri” rinascimentale in rifugio preromantico, luogo di felice solitudine in contatto con una Natura addolcita, l’emergente cultura borghese innesterà il tema della privacy, ovvero l’idea che la casa non debba piú essere il luogo di una piccola comunità, ma uno scrigno in cui custodire il nucleo familiare con i suoi beni e valori.
Non solo, la casa unifamiliare diventa progressivamente perfetta rappresentazione del modo in cui il gusto individuale si moltiplica senza limite nel mondo. Ogni casetta è a immagine e somiglianza del suo padrone e dei suoi voleri. Ogni giardino, veranda, cancello, decorazione, scelta di colore e linguaggio, viene comandato unicamente dall’interno, dagli occhi, dalle mani e dai desideri dei proprietari.
In questa casa latita il senso della presenza urbana: non è piú corpo che contribuisce al disegno complessivo della città, ma diventa oggetto autonomo, isolato, recintato.
Nei primi due decenni del Novecento Adolf Loos – architetto austriaco e pensatore tra i piú influenti nella costruzione del pensiero moderno sull’abitare – teorizza il , ovvero la capacità dello spazio architettonico di essere generato dal suo interno come espressione del carattere e della personalità dei committenti. La casa diventa voce psicanalitica di chi la desidera e di chi la progetta. E le finestre non sono piú mediazione tra la forma della città e la residenza, ma riflesso di un’interiorità soggetta a cambiamenti radicali. Le ville bianche di Loos, tra Austria e Cecoslovacchia, con elegante ermetismo rivelano da una parte il sogno di un lontano e assolato Mediterraneo, e dall’altra l’idea che la casa sia il prodotto di un pensiero completamente privato. Gli eleganti volumi ancorati alla terra sono l’immagine piú estrema di una borghesia ormai indifferente alla città, al suo rumore e alla sua folla. Ogni casa è un labirinto della mente, dei ricordi e delle memorie che vi si andranno a sedimentare.
Lungo tutto il secolo scorso, milioni di casette unifamiliari colonizzeranno i nostri paesaggi come un pulviscolo inarrestabile di luoghi chiusi, recintati, esclusi agli occhi della comunità. Luoghi in cui abitano le gioie private e ritualizzate di una fetta di mondo, luoghi in cui avvengono alcuni dei piú efferati fatti di cronaca degli ultimi decenni. La cantina-labirinto degli orrori del non è altro che la versione piccolo-borghese del di Edgar Allan Poe. Una qualsiasi casa di una qualsiasi periferia residenziale può diventare teatro delle perversioni nascoste in nome della privacy e dei suoi riti. Quanti atroci delitti risolti nelle cantinette, nei garage e nelle cucine senza che nessuno abbia sentito nulla, per poi commentare il giorno dopo, davanti alle telecamere e appena prima del...