E-Book, Italienisch, 160 Seiten
Reihe: Extrema ratio
Moretti Falso movimento
1. Auflage 2022
ISBN: 978-88-7452-952-0
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
La svolta quantitativa nello studio della letteratura
E-Book, Italienisch, 160 Seiten
Reihe: Extrema ratio
ISBN: 978-88-7452-952-0
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Diagrammi, serie temporali, reti, istogrammi... Dieci o quindici anni fa, negli articoli di cinema e musica, di letteratura e arti visive, non si trovava niente di tutto questo. Adesso sì, in abbondanza, e anzi, è proprio quello che distingue immediatamente le digital humanities dalle 'altre' discipline umanistiche. In questo libro Franco Moretti riflette su alcune premesse (tacite, a volte forse anche inconsce) di questa nuova prassi d'indagine, nella convinzione che la pratica ha delle fortissime implicazioni teoriche, che guidano, di fatto, il processo di ricerca. Falso movimento offre così un bilancio critico, tanto onesto quanto esigente, della svolta detta 'quantitativa' nello studio della letteratura, svolta a cui proprio l'autore ha dato un impulso decisivo nei suoi anni a Stanford, fondando nel 2010 il Literary Lab. E la sintesi, allineando gli elementi via via scoperti lungo l'itinerario di ricerca tracciato dai saggi qui raccolti, apre a nuove domande e a 'una gran bella scommessa' su un nodo strategico: l'immaginazione scientifica nello studio letterario.
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La strada per Roma
Ermeneutica e quantificazione
Che rapporto c’è, tra il nuovo studio quantitativo della letteratura e la precedente tradizione ermeneutico-interpretativa? In genere, si è risposto a questa domanda in due modi diametralmente opposti: da parte interpretativa, l’idea è che le due cose siano incompatibili fra loro, e che le ricerche quantitative siano prive di valore critico; per queste ultime, i due metodi sono invece perfettamente compatibili, e anzi complementari. Qui, propongo una terza possibilità, che emergerà via via dal confronto tra il modo di lavorare delle due strategie di ricerca. Il modo , alla lettera: nella convinzione che, come ho scritto insieme a Oleg Sobchuk, – “ciò che impariamo a fare ‘facendolo’, sviluppando pian piano un’abitudine professionale tacita, e di norma completamente inconscia, che troviamo del tutto ‘naturale’, ha delle fortissime implicazioni teoriche, che a volte contraddicono persino le dichiarazioni teoriche esplicite”1. In quell’articolo, “pratica” si riferiva alla visualizzazione dei dati tipica delle ; qui, indica le catene di decisioni che contraddistinguono le due strategie di ricerca. Ma il fine è lo stesso: capire quel che una metodologia concretamente , e non quel che dice di voler fare.
Con una complicazione, però: poiché sia l’approccio quantitativo che (ancor più) quello ermeneutico consistono in realtà di approcci diversi, spesso ferocemente in lite fra loro – un’interpretazione di stampo lacaniano non avendo nulla in comune con una neo-storicista, o eco-critica, e via dicendo –, al fine di limitare il numero delle variabili in gioco mi limiterò a due lavori cui ho preso parte di persona. È una decisione discutibile (e opposta a quella di “Vedere e non vedere”, dove vengono discussi sessanta e più articoli di un centinaio di autori diversi); ma la prendo per due ragioni che mi sembrano entrambe importanti: perché molto di quel che segue sarà critico, e preferisco criticare me stesso che non altri; e perché, negli ultimi vent’anni, mi sono spesso stupito di quanto fossero diversi i risultati cui giungevo a seconda del metodo prescelto. In una certa misura i risultati essere diversi, naturalmente (è per questo che si usa più di un metodo!); ma c’era qualcosa di inquietante, in questo divergere dal mio stesso lavoro. Forse è solo una personale incoerenza; forse, la spia di qualcosa di più ampio, con una sua consistenza oggettiva.
Comincio dall’ermeneutica. Nick Adams, il protagonista di “Grande fiume dai due cuori” di Hemingway (1926), si sta preparando ad andare a pesca:
Nick lo prese dal libretto degli ami, stando seduto con la canna sulle ginocchia. Tirando la lenza provò il nodo e l’elasticità della canna. Era una sensazione piacevole. Nick badò a non farsi tagliare il dito dall’amo.
Si avviò lungo il fiume con la canna in mano e la bottiglia di cavallette appesa al collo con una cinghia legata con una serie di nodi intorno al collo della bottiglia. Il guadino era appeso con un gancio alla cintura. Sopra la spalla aveva un lungo sacco da farina legato agli angoli con una funicella che gli passava sopra la spalla. Il sacco gli batteva sulle gambe.
Nick si sentiva goffo, ma felice, per la sua professionalità, con addosso tutto quell’armamentario. La bottiglia delle cavallette gli dondolava sul petto. Il pranzo e il libretto degli ami gli gonfiavano le tasche della camicia2.
Innanzitutto – c’è davvero bisogno di un’interpretazione, qui? No, se interpretare significa dissipare l’“oscurità” di un testo: qui, si capisce tutto. Ma... si capisce davvero? Pensare “che la comprensione sia lo stato normale delle cose”, ha scritto il fondatore dell’ermeneutica moderna, è tipico della forma “meno rigorosa” dell’interpretazione; per la versione rigorosa è invece “ [a costituire] lo stato normale delle cose, e l’atto del comprendere deve dunque essere voluto e ricercato in ogni punto”3.
Voluto in ogni punto... E allora cominciamo da qui: queste poche righe contengono ben venticinque frasi preposizionali (quelle introdotte da una preposizione: libretto, la canna ecc.)4. Venticinque, in un brano di 149 parole: moltissime. Perché così tante?Perché fanno qualcosa che è essenziale al senso del racconto: legano tra loro ogni sorta di elementi diversi – “la di appesa al con una legata con una di intorno al della ” – in un unico complesso. Un coltellino svizzero: un mondo compresso, e perfettamente organizzato; “professionalità”; oggettività. Un mondo :
Con l’ staccò da un una di chiaro e la spaccò per fare i per la . Li voleva lunghi e robusti perché tenessero bene nel terreno. [...] Tirò bene la tela e conficcò profondamente i picchetti, piantandoli nel terreno con la testa dell’accetta finché gli anelli di corda non furono interrati e la tela tesa come un tamburo.
Un mondo di cose, ma non solo. Nick spacca il ceppo “ fare i picchetti”; li vuole robusti “ tenessero bene”, e li batte “ gli anelli non furono interrati”. È tutto : fatto, per fare qualcos’altro. “Know how”, l’ha chiamato Gilbert Ryle in un saggio famoso. “Nick legò al tronco di uno dei pini la fune [...] e sollevò la tenda da terra [...] e l’assicurò all’altro pino”. Sempre calmo, sempre sicuro di sé. Ma questo è un racconto. Che senso ha, la calma, in un racconto?
Di solito, leggiamo racconti perché la nostra vita è troppo povera di sorprese. Ma, e se l’esperienza chiave di un’intera generazione è stata la Grande Guerra? sorprese; e nasce allora il desiderio di un tipo di storia in cui anche la calma ha un suo ruolo. La letteratura di guerra, ha scritto Eric Leed, tratta “di uomini che ebbero un controllo scarso o nullo sugli eventi che minacciavano la loro vita”5. Nessun controllo: ecco la chiave. Lo stile di Hemingway : dello spazio, del tempo, dei gesti, delle parole. “Nick si sentiva [...] felice con addosso tutto quell’armamentario”: questo è il ritratto di un giovane soldato – meno la guerra. E lo stesso per la sua marcia, la tenda, il campo – mangia persino cibo in scatola, Nick Adams. Non è che proprio “giochi” alla guerra; ma la rivive; la riscrive. La vita di trincea aveva oscillato tra tedio e terrore: niente per giorni, poi l’apocalisse. La prosa di Hemingway non è mai noiosa, e mai perturbante: chiara e cauta, è la lingua della convalescenza (qualche anno più tardi, l’episodio chiave – e il più felice – del suo primo grande successo, ). È letteratura di guerra, questa, nel senso che cerca : di risolvere la dissonanza dell’esperienza storica, per usare una metafora della . Ma di ciò, più avanti.
Da una manciata di frasi di un solo racconto, alla novità più vistosa dell’approccio quantitativo: l’ampliamento della letteratura ben al di là di un ristretto canone di capolavori. Vi fu un tempo in cui si poteva prendere un testo esemplare – , , – e costruirci su tutta una teoria del romanzo. “Type thinking”, lo ha chiamato Ernst Mayr. “ è romanzo della letteratura mondiale”, come scrisse Šklovskij nella . Davanti alla figura 1, però, il non ha più senso: qui, bisogna render conto di un’intera “popolazione” di romanzi inglesi. Non tantissimi – 1117, per l’esattezza – ma pur sempre irriducibili a un singolo testo.
Figura 1
Mark Algee-Hewitt, Sarah Allison, Marissa Gemma, Ryan Heuser, Franco Moretti, Hannah Walser, “Canone/archivio. Dinamiche su larga scala nel campo letterario” (2014)
Il testo: è qui che lo scontro tra il vecchio e il nuovo è particolarmente aspro. Il testo era al centro dello studio della letteratura: in questo caso, è un puntino. È stato a un puntino. È una scelta; grosso modo, la stessa che venne fatta settant’anni fa, ai tempi della grande svolta quantitativa delle , a proposito degli eventi storici. Gli eventi godevano all’interno della storiografia della stessa centralità dei testi nella critica, e per la stessa ragione: la loro unicità. “L’atteggiamento degli storici somigliava a...