Multipli forti / 2023 | E-Book | www.sack.de
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E-Book, Italienisch, Band 86, 146 Seiten

Reihe: Filigrana

Multipli forti / 2023

Voci dalla letteratura italiana contemporanea
1. Auflage 2025
ISBN: 978-88-3389-653-3
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

Voci dalla letteratura italiana contemporanea

E-Book, Italienisch, Band 86, 146 Seiten

Reihe: Filigrana

ISBN: 978-88-3389-653-3
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Dal 25 al 29 aprile 2023, tra New York e Boston, diciannove autori italiani hanno dialogato e si sono confrontati sullo stato della narrativa nel nostro paese, e si sono sforzati di immaginare nuove linee di ricerca e riflessioni sul futuro. Rispetto alla prima edizione (tenutasi a giugno 2022 a New York), il convegno si è contraddistinto per una fortissima dominante femminile e per la prospettiva inedita e interessantissima offerta dalle autrici italiane di seconda generazione, che hanno fortemente orientato il dibattito verso la questione dell'identità di genere, offrendo un importante antidoto alle derive di una fase politica segnata da una chiusura sempre più marcata verso tutto ciò che è «altro» da sé.

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Un privilegio raro
di Marcello Fois


Vorrei parlare di un privilegio che nella vita di uno scrittore è assai raro: riconoscere in un'opera la Summa delle proprie prospettive e, in definitiva, promuoverla a Mito. Intendo una mitologia intima come intimo è l'apprendistato quando ti permette di individuare il tuo talento. L'opera in questione per quanto mi riguarda è I promessi sposi di Alessandro Manzoni, che ora anche i Paesi anglosassoni possono apprezzare in tutta la sua specificità di classico fondativo grazie alla splendida traduzione di Michael F. Moore per la prestigiosa Modern Library. Un'opera, quella del nostro padre fondativo per quanto riguarda la forma romanzo, cui si attaglia alla perfezione una citazione di Jean Cocteau che recita: «La Storia è una verità che nel tempo diventa menzogna, il Mito è una menzogna che nel tempo diventa verità». Ma anche un'opera che agli albori della sua gestazione, non si era arrivati ancora all'edizione quarantana, già aveva avuto una traduzione americana che aveva attirato l'attenzione di un recensore eccezionale come Edgard Allan Poe, che, nel maggio del 1835, su The Southern Literary Messenger, scrive:

Quest'opera ci arriva foriera di felici notizie per il mondo dei lettori. Abbiamo qui un libro uguale per densità narrativa ad almeno due romanzi di Cooper messi insieme, scritto almeno altrettanto bene, e lo riceviamo al modesto prezzo di 42 centesimi! Fa parte infatti delle pubblicazioni mensili della Washington Library, il cui prezzo totale annuo è di 5 dollari. Avanti di questo passo, anche il più goloso buongustaio letterario potrà sperare di soddisfare il suo appetito per i libri senza essere costretto ad affamare i suoi figli.

All'autore vada la nostra ammirazione, al traduttore e all'editore il nostro grazie.

Vorrei parlare, perciò, di questa «magnifica menzogna» e di cosa significhi rileggerla oggi anche in America, ma soprattutto vorrei raccontare in cosa consista, per me, da scrittore, il privilegio di poter leggere, oggi, I promessi sposi, di Alessandro Manzoni. Senza troppi giri di parole, questo privilegio è presto detto: guardare l'orologio dalla parte del meccanismo. Riuscire cioè a capire fino a che punto un dispositivo perfettamente congegnato possa mostrare soluzioni professionali e insegnare sistemi di perduranza. Per esempio con quanta dovizia di particolari, attraverso questo romanzo prototipo, si possano considerare i termini tramite i quali una semplice narrazione può diventare un classico. E un classico senza lo stigma del classico. O anche fino a che punto ogni elaborazione letteraria contenga in sé una sorta di codice genetico, la tabella di una catena alimentare in cui le narrazioni si cibano l'una dell'altra.

Una specie di manuale di procedure, narrazioni, organismi artistici, riflessioni tecniche, influenze, punti chiave, sul quale un insegnante avventuroso potrebbe trascorrere un intero anno scolastico. Perché tecnicamente I promessi sposi procedono per macro e microsistemi. Dove i primi presiedono la linea dei generi: Gotico, Picaresco, Filosofico, Storico, Melodrammatico, Mistery, senza i quali la storia ordinaria di due fidanzati osteggiati dal prepotente di turno non avrebbe avuto scheletro. E che danno espressione al patrimonio di letture di un autore che aveva istruzione e biblioteca, ricca di narratori «moderni»: Jane Austen, Ann Radcliffe, Horace Walpole, il Marchese De Sade, Henry Fielding, Laurence Sterne, Choderlos de Laclos, Matthew Gregory Lewis, senza i quali Lucia Mondella, Renzo Tramaglino, Don Abbondio, l'Innominato, La monaca di Monza, non sarebbero stati pensati. Mentre i secondi, i microsistemi, sono più capillari e diffusi, spesso più «segreti» perché rappresentati da una serie di concatenazioni criptate in ogni capitolo.

Un caso aureo di questa capacità, oserei dire tassonomica, di mettere in fila forme, contenuti e motivi in rapporto a sistemi immortali, è dato dal capitolo ottavo del romanzo. Quello per intenderci che inizia con lo sconosciuto «Carneade» e finisce col celeberrimo «Addio ai monti». L'ottavo, se si accetta di procedere con questo punto di vista parastrutturale, si può definire un Ur-capitolo. Tutti sappiamo che inizia col dubbio di Don Abbondio, intento a leggere un libro che non capisce in cui si cita uno sconosciutissimo filosofo classico dal nome Carneade. Una specie di memento, un'istantanea di un senso del classico che genererebbe distanza o diffidenza. Se non che al lettore perspicace verrebbe subito da chiedersi se il vulnus, l'inciampo, sia nel classico in quanto tale o nello specifico lettore che lo affronta. Che sia dubitativo il pusillanime, mediocre Don Abbondio, non è secondario in questo attacco che è per dirla musicalmente la sua vera «cavatina». In questo dubitare Don Abbondio si qualifica come ignorante fiero di esserlo. È appena stato un vigliacco fiero di esserlo, ha cioè incolpato i fidanzati legittimi, e non il boss prepotente, dei suoi guai. E ora incolpa la cultura di non farsi capire da lui. Don Abbondio è davvero un incredibile prototipo di italiano qualunque, persino al di sotto, perché assai più livoroso, dell'italiano medio, che almeno mantiene una salda coscienza dei propri limiti. Fa il prete e non solo quello. Infatti, sorpassata la linea sulla persistenza del classico, si passa all'azione. Un'azione che si prepara in un brodo di cultura che alleva le sue particelle nel teatro e nel melodramma. Segno che questo italiano qualunque ha la coda lunghissima, uno sterminato codice genetico che va perlomeno da Plauto a Beaumarchais. Ma procediamo con calma. Con «giallistica» contemporaneità Renzo, Lucia, Agnese lasciano la propria casa per raggiungere la canonica di Don Abbondio e costringerlo a un matrimonio forzato, quanto segreto, mentre il Griso vede fallire il primo rapimento di Lucia proprio in virtù di quella trasferta notturna. Si tratta di entrare a casa del curato nonostante l'ora tarda, pararsi davanti a lui e pronunciare la formula «Lucia io ti sposo, Renzo io ti sposo», formula che sancirebbe il rito al di là della volontà del celebrante. Questo progetto nel suo stesso meccanismo ha a che fare con tutta la letteratura di matrimoni perigliosi scaturita dal successo planetario di quel Matrimonio Segreto, scritto da Giovanni Bertati, dal testo teatrale di Garrik e Collman, musicato da Domenico Cimarosa e messo in scena nel 1792. Dunque la promessa sposa ignara è appena scampata al rapimento. Ora il punto è come raggiungere l'inespugnabile Don Abbondio. Si deve ricorrere alla catena alimentare che ha nutrito il suo personaggio, perché il passe-partout che spalanca le sue porte è il denaro. Don Abbondio è figlio di Arpagone, che è figlio di Shylock, che è figlio di Pantalone, che è figlio di Euclione. Infatti Tonio, il cugino di Renzo che deve fargli da testimone, convince il curato ad aprirgli la porta annunciandogli il riscatto di una collana che aveva in usura. Di fronte al guadagno Don Abbondio non resiste. Gli sposi e i testimoni, con questo stratagemma alla Molière, entrano in casa. E a Molière e i suo ancestri si tornerà nella scena dell'appello dalla finestra, quando in un serra serra si sarà assistito al passaggio da Cimarosa al crescendo rossiniano, e mozartiano, del tavolo ribaltato e della fuga negli interni della nuova borghesia di Beaumarchais.

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Renzo e Lucia vivono in una stagione, in un universo, che non autorizzerebbe l'intraprendenza, le aspettative, che invece li muovono: è come se, in un viaggio nel tempo, in un fastforward di un secolo e mezzo circa, abbiano potuto vedere e metabolizzare i risultati della Rivoluzione Francese. E che, tornati a casa, a ritroso, nel seicento lombardo, abbiano agito alla luce di questa competenza impossibile. Ma quella è una competenza che deriva in tutto dal loro autore. Come l'attitudine giacobina che circonda Renzo nel suo vagare per Milano. O la figura dello scellerato Egidio, assai più vicina a Sade che al tempo del romanzo. Senza contare che non esistono racconti di moti o mobilitazioni popolari, anche solo di lombardi affamati, che, dal 1789 in poi, non richiamino in automatico quel ribaltamento universale che fu la presa della Bastiglia. Qualche volta la contorsione organica della storia permette interpretazioni a posteriori, piccole forzature di senso attraverso le quali la letteratura dimostra tutta la sua potenza. Ne I promessi sposi può avvenire che Renzo e Lucia stiano combattendo per un mondo nuovo senza nemmeno saperlo. Così come può avvenire che il lettore possa contribuire, anche inconsciamente, ad accrescere la portata specifica di una pagina, specialmente se ha potuto assistere, o è successivo, a un rovesciamento tanto epocale come la Rivoluzione Francese. Potrebbe aiutare in questo senso constatare fino a che punto i romanzi americani scritti dopo l'11 settembre 2001 risentono di quell'avvenimento anche se ambientati in periodi precedenti.

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L'appello alla finestra di Don Abbondio, frustrato, terrorizzato, «derubato» della sua tranquillità, è il punto chiave, l'apice ritmico del capitolo:

Aiuto! Aiuto!

[...]

Correte, Ambrogio, aiuto, gente in casa!

[...]

Cos'è? Cos'è? Campana a martello! Fuoco? Ladri? Banditi?

Ma anche lo snodo principale di tutte le connessioni messe in campo. Arpagone, seicentesco, 1668, non era stato da meno:

Al ladro! Al ladro! All'assassino! Al brigante!...



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