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E-Book, Italienisch, 224 Seiten
Newman A cena su Marte
1. Auflage 2025
ISBN: 979-12-5981-349-7
Verlag: Il Saggiatore
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Le tecnologie che nutriranno il pianeta rosso e trasformeranno l'agricoltura sulla Terra
E-Book, Italienisch, 224 Seiten
ISBN: 979-12-5981-349-7
Verlag: Il Saggiatore
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
A cena su Marte nasce da una domanda semplice e concreta: quando gli esseri umani realizzeranno la loro fantasia coloniale sul pianeta rosso, che cosa mangeranno? Quali saranno gli alimenti disponibili in un ambiente desertico, con una gravità un terzo della nostra e con una temperatura media di oltre 60 gradi sotto zero? Evan D.G. Fraser e Lenore Newman ci mostrano come la risposta a questi interrogativi potrebbe aiutarci non solo a mettere qualcosa sulle nostre tavole spaziali, ma anche a risolvere i futuri problemi alimentari sulla Terra. Se allevare una mucca su Olympus Mons, il rilievo alto oltre 25 chilometri che domina Marte, è improbabile, gli astronauti non dovranno rinunciare ad hamburger e cotolette - anche se saranno di carne cellulare, prodotta in laboratorio. Se immaginare campi coltivati su Vastitas Borealis, l'immenso bassopiano dell'emisfero settentrionale del pianeta, è irreale, «allevare» cianobatteri ci permetterà di continuare a consumare frutta e verdura anche in condizioni estreme. E sebbene possa sembrarci disgustoso, il nostro gelato marziano sarà composto da deliziosi lieviti fermentati. Dalle colture idroponiche alle proteine sintetiche, Fraser e Newman ci guidano alla scoperta delle tecnologie alimentari già sperimentate e delle loro applicazioni potenziali, tanto a 228 milioni di chilometri di distanza quanto alle nostre latitudini. Questo libro ci illustra come immaginare una comunità totalmente autosufficiente in luoghi apparentemente inospitali sia anche un modo per mettere in discussione il nostro sistema alimentare, già oggi incapace di garantire un nutrimento sano ed equo per tutti e di fronteggiare le sfide del cambiamento climatico, per proporre nuovi modelli agricoli - che riducano fertilizzanti, inquinamento e sprechi - e salvaguardare il nostro avvenire. Perché le opzioni sul nostro menu di domani non riguarderanno solo ciò che avremo nel piatto, ma il mondo che vorremo costruire.
Autoren/Hrsg.
Weitere Infos & Material
Introduzione
La singolarità marziana
Il «posto della barca»
Gli uomini lo chiamavano il «posto della barca».
Il capitano Francis McClintock raggiunse quel luogo maledetto alle prime ore del mattino del 30 maggio 1859. Si sentiva già a disagio. Il suo sparuto equipaggio era sopravvissuto a due inverni nell’alto Artico a bordo dello yacht a vapore Fox. All’inizio i marinai avevano integrato le proprie scorte di conserve alimentari nutrendosi di carne di renna, narvalo, foca, orso polare e uccelli marini, ma a quelle latitudini la fauna selvatica era scomparsa quasi del tutto e sopravvivevano solo con gallette e carne essiccata, costantemente a rischio di contrarre lo scorbuto. Un paio di giorni addietro avevano mangiato alcuni dei cani da slitta. McClintock era un esploratore polare di grande esperienza, ma tutto ciò che poteva dire riguardo all’isola di Re Guglielmo era che non esisteva al mondo nulla di più tetro e desolato.
McClintock si trovava in quella zona sperduta dell’Artico a caccia di fantasmi. Quattordici anni prima, Sir John Franklin aveva condotto 129 uomini in una missione alla ricerca del passaggio a nordovest. Le sue navi, l’hms Erebus e l’hms Terror, erano bombarde provviste di motori a vapore e di tutti i più recenti ritrovati in materia di equipaggiamento di sopravvivenza in ambienti polari. Il viaggio avrebbe dovuto rappresentare un trionfo della superiorità navale britannica. Invece Franklin, le navi e gli equipaggi si smarrirono nel buio e nel freddo, nel peggiore disastro nella storia delle esplorazioni inglesi.
Negli anni seguenti, oltre quaranta spedizioni partirono alla ricerca degli scomparsi. Alcune furono finanziate da Lady Jane Franklin, l’inconsolabile vedova di Sir John. Fu solo nel 1854 che l’esploratore John Rae, viaggiando via terra e servendosi di tecniche di sopravvivenza apprese dai nativi nordamericani, scoprì la verità: Franklin aveva diretto i suoi uomini verso nord, le navi erano rimaste incagliate nel ghiaccio e tutti quanti erano morti di fame.
McClintock venne incaricato di trovare conferma alla sorte di Franklin,1 e fu quel compito a condurlo al tremendo spettacolo del «posto della barca». Su un ondulato terreno roccioso trovò una baleniera lunga nove metri provvista di slitte per l’esplorazione via terra. A bordo e intorno alla barca, confusi ammassi di oggetti. Indumenti, orologi da polso, pettini per capelli, una borsa di perline. Doppiette cariche, scandagli, argenteria con tanto di emblema e un innario. Fazzoletti di seta, coltelli, lamiere di piombo. E sulla barca, decapitati, due scheletri umani ancora completamente vestiti. Tra gli scheletri c’erano del tè e una considerevole scorta di cioccolato. La slitta puntava a nord, verso l’illusoria speranza delle navi in trappola, verso la morte.
McClintock raccolse dei reperti, tornò al Fox e fece rotta verso casa.
«E questo, Evan, è ciò che succede quando si parte verso l’ignoto senza provviste a sufficienza. Alla fine dei conti, si riduce tutto al cibo.»
Lenore si appoggia allo schienale della sedia. Con un lieve brivido, osserva fuori dalla finestra la pioggia grigia di Vancouver. All’altro capo della call di Zoom c’è Evan dall’Ontario. Anche lui rabbrividisce, anche se il caldo dell’estate 2020 comincia ad avere la meglio su una primavera rigida.
A mezzo continente di distanza, siamo entrambi infreddoliti. E annoiati. Aspettiamo pazientemente che cessi il nostro inverno artico in versione pandemica. L’appartamento di Lenore ricorda un po’ una nave incagliata nel ghiaccio. Evan ha più spazio, ma anche una famiglia più numerosa. Ogni tanto, durante la chiacchierata, Evan prende il portatile e si sposta in un’altra stanza mentre i suoi figli adolescenti scorrazzano per casa.
Oggi proviamo a fare un po’ di brainstorming. Le nostre chiacchierate vanno avanti da un paio di mesi. Siamo amici e colleghi da anni, ma con il lockdown le nostre conversazioni si sono infittite.
Nei primi giorni d’isolamento forzato a causa del Covid-19, ci lamentavamo soprattutto di non poter viaggiare. Entrambi passavamo gran parte della nostra vita pre-pandemia girando il mondo per studiare il sistema alimentare globale. Ma nel marzo 2020, era come se tutti quegli altri paesi fossero su Marte.
E poi, un fatidico giorno, ci siamo accorti che esisteva un luogo dove, servendoci dell’immaginazione, potevamo recarci a studiare un altro sistema alimentare globale: era possibile, cioè, condurre un esperimento mentale su ciò che servirebbe per vivere su Marte. All’inizio ci era sembrata un’idea sciocca, ma mentre procedevamo nelle riflessioni, quell’esperimento mentale si è trasformato in una missione di due anni condotta via Zoom da una stanza claustrofobica all’altra.
È stato in quel momento, nell’aprile 2020, quando il Covid era una novità e la carta igienica non si trovava più da nessuna parte, che abbiamo deciso di andare su Marte, quanto meno con lo spirito. E la prima domanda, naturalmente, è stata: cosa ci sarebbe per cena, una volta arrivati lassù?2 Per quanto possa sembrare un interrogativo bizzarro, è quello che necessita di risposte più urgenti. Quasi due secoli dopo che il povero Franklin diede il bacio d’addio alla moglie, caricò gli ultimi barili di acqua potabile e salpò oltre l’orizzonte, l’umanità sta prendendo in considerazione la possibilità di un viaggio attraverso un luogo ancora più desolato: lo spazio cosmico. Fino ad arrivare, al di là di quella distesa di velluto nero, sul pianeta Marte.
Questo libro tratta di ciò che la prima comunità marziana dovrà fare per nutrirsi in modo da sfuggire alla fatale penuria alimentare affrontata da Franklin, Crozier e innumerevoli altri sfortunati esploratori. A dispetto dello «Spirito del Relitto Passato», però, questo è un racconto ottimistico. Nel corso della nostra immaginaria missione spaziale, ci siamo convinti che una comunità marziana riuscirà a nutrirsi con successo e, così facendo, a sviluppare tecnologie che rivoluzioneranno l’agricoltura sulla Terra.
Sembra assurdo? Secondo noi, no. Nella vita di tutti i giorni siamo accademici: scriviamo libri seri, teniamo lezioni serie, forniamo la nostra consulenza agli alti livelli del governo canadese e all’estero. Nel corso di queste attività abbiamo concentrato le nostre energie professionali sullo sviluppo di strategie per nutrire in modo sostenibile i sempre più numerosi abitanti del pianeta. Studiamo come risolvere problemi legati al cambiamento climatico e all’obesità, i modi per aiutare le popolazioni a liberarsi dall’insicurezza alimentare e per proteggere le attività agricole. Malgrado tutto questo (o forse proprio a causa di tutto questo), cercare di immaginarsi cosa mangeranno i primi esseri umani che vivranno su Marte è una questione in grado di definire il futuro di come ci nutriremo tutti.
Al momento in cui stiamo terminando questo libro, impazzano i progetti per inviare persone su Marte. Miliardari e fissati dello spazio stanno trasportando i viaggi sul pianeta rosso dall’ambito della fantascienza a quello di un futuro praticabile. La nasa, l’Agenzia spaziale europea e la sua omologa canadese si stanno attrezzando per stabilire colonie sulla Luna e su Marte. Alcuni tra gli individui più ricchi del mondo strombazzano la possibilità di lanciare razzi verso nuovi mondi.
Forse è il modo in cui i nostri orizzonti si sono ristretti durante la pandemia a determinare questa smania per lo spazio cosmico. Forse aveva ragione Carl Sagan quando scriveva:
A dispetto di tutti i suoi vantaggi materiali, la vita da sedentari ci lascia nervosi, inappagati. Da quattrocento generazioni abitiamo in villaggi e città, eppure non abbiamo dimenticato. La strada esercita ancora su di noi un richiamo sommesso, come una canzone dell’infanzia quasi dissolta nell’oblio. Sui luoghi remoti proiettiamo una certa aura romantica. Immagino che sia stata la selezione naturale a plasmare accuratamente questo fascino come un elemento essenziale alla nostra sopravvivenza. Lunghe estati, inverni miti, copiosi raccolti, selvaggina abbondante: niente dura per sempre. Predire il futuro va oltre le nostre capacità. Gli eventi catastrofici trovano il modo di sorprenderci alle spalle, di coglierci alla sprovvista. La vostra vita, o quella del vostro gruppo, o addirittura quella della vostra specie, potrebbe essere debitrice all’irrequietezza di pochi individui, attirati verso terre ignote e mondi nuovi da un desiderio che loro stessi non riescono a definire o a comprendere.3
Forse siamo rimasti tutti seduti troppo tempo sul divano a sorbirci una quantità eccessiva di ore di Netflix.
Quale che sia il motivo, a quanto pare ci troviamo alla vigilia di una nuova corsa allo spazio, e la prospettiva di vivere su Marte cattura in un certo senso lo spirito del momento. In qualche punto della nostra mente, però, non dovremmo scordarci mai dei venti gelidi che sferzano le vele a brandelli di un relitto dimenticato nel profondo Artico.
Nel momento in cui verrà lasciata la prima impronta umana su Marte, le sorti della nostra specie cambieranno per sempre, ma arrivare a quell’obiettivo presenterà anche ostacoli tali da farci apparire piccola la sfida di spingere l’Erebus e la Terror attraverso il passaggio a nordovest bloccato dal ghiaccio.
Moriranno delle persone su Marte. Periranno per asfissia o finiranno ibernate a temperature di -150 °C. Inciamperanno e cadranno per la gravità ridotta, verranno...