E-Book, Italienisch, 263 Seiten
Reihe: Narrativa
Nousiainen Alla radice
1. Auflage 2019
ISBN: 978-88-7091-583-9
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 263 Seiten
Reihe: Narrativa
ISBN: 978-88-7091-583-9
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Solo il cognome, Kirnuvaara, sembra accomunare Pekka, vittima di un cronico mal di denti, e il suo nuovo dentista Esko. Pekka è uno spigliato, sensibile e moderno copywriter di mezz'età che non ha mai superato l'abbandono da parte del padre e che ora, con il fallimento del suo matrimonio e una disputa in corso sull'affidamento dei figli, vede infrangersi il suo ideale di famiglia perfetta. Esko, che ha quasi sessant'anni, ha invece preso spunto dai freddi genitori adottivi per elevare l'odontoiatria a filosofia di vita e praticare l'anestesia anche su emozioni e sentimenti. Ma con lo scavo nelle radici dentali di Pekka emergono ben altre, e condivise, radici: dietro lo stesso cognome, si scopre, c'è lo stesso padre. Dopo qualche trapanatura e le prime inevitabili, buffe incomprensioni, la corazza di Esko s'incrina e l'improbabile coppia di fratelli si mette sulle poche tracce che ha di lui, sperando di trovare una buona ragione per una doppia negazione d'amore paterno. Nasce così, in un asettico studio dentistico di Helsinki, una storia on the road calda e coinvolgente, dove ogni tappa verso lo svelamento finale arricchisce la famiglia Kirnuvaara di nuovi, sorprendenti parenti, formando un variopinto amalgama multietnico. Tra incontri e scontri di personalità, siamo scorrazzati dalla Carelia del Nord alle degradate periferie di Södertälje in Svezia, dalla Thailandia, con il suo deteriore turismo, ai grandi spazi dell'outback australiano, sacri agli aborigeni: un viaggio di conoscenza - di sé e del diverso da sé, oltre che del concetto di paternità - che si farebbe quasi iniziatico, se non fosse per le esplosioni di un'insopprimibile verve comica degna della migliore tradizione umoristica finlandese.
Weitere Infos & Material
Pekka
Un’ascia e un bel diretto sono già mezza vittoria. Le uniche parole di mio padre che io ricordi. È vero. Se ci si batte partendo col piede giusto, la vittoria è più vicina.
Difficile che il papà fosse uno stupido. Una volta ho chiesto di lui a mia mamma. Ha risposto che era un miserabile vigliacco, ha troncato la conversazione e non ha più voluto parlarne.
Era la sua opinione e bisognava prenderla per quel che era, soprattutto considerato il contesto. Le donne abbandonate al loro destino con un bambino piccolo e neanche un soldo in tasca spesso si lasciano andare a giudizi severi.
Il papà ha chiamato una volta, a Natale. Avevo solo sette anni, ma che era lui lo avevo capito subito dal tono della mamma: dalla bocca le era uscita una sfilza di insulti, di quelli in uso all’epoca.
In quegli anni Spede Pasanen era un comico apprezzato e chi gli dava del «buffone del cazzo» pensava di usare quasi un vezzeggiativo. Ecco, tanto per chiarire: un’espressione del genere è troppo blanda per descrivere l’opinione che la mamma aveva del papà.
Poi gli ha sbattuto giù il telefono. Il papà ha richiamato e, siccome con le parole evidentemente ci sapeva fare, la mamma si è calmata e mi ha passato la cornetta. La linea era disturbata. Di sicuro era un’interurbana, che a quel tempo dev’essere costata un bel po’. Il papà aveva speso un capitale per parlare con me.
Forse era addirittura una chiamata internazionale. Nessuno sapeva dove fosse finito, e dopotutto i paesi stranieri esistevano già.
La telefonata aveva un contenuto, oltre a una tariffa. Mio papà ha detto: «Pekka, tu sei un bravo ragazzo.» E mi ha tirato di nuovo fuori la faccenda dell’ascia e del bel diretto. «Non scordarlo e farai strada.»
Non ho scordato quel consiglio, anche se non mi sono mai trovato nelle condizioni di dover combattere a colpi d’ascia. Mi occupo di pubblicità, un ambito in cui, nonostante la fretta e la precarietà crescenti, di solito non si fa a botte. D’altra parte mi sa che di strada non ne ho fatta molta. Nel lavoro sono nella media, nella vita un po’ sotto.
Mia madre ha mantenuto la parola: del papà non ha parlato mai più. E io per molti anni nemmeno ci ho pensato, a quell’uomo.
Mi ha abbandonato quando avevo tre anni, dicendo che andava a fare la spesa. Doveva prendere il latte, il pane e le bibite per la sauna.
Quella sera non c’è stata nessuna sauna e l’indomani mattina, a colazione, ci siamo mangiati il nostro puuro1 cotto nell’acqua. Le condizioni psichiche in cui versavamo io e la mamma corrispondevano più o meno al cosiddetto vuoto pneumatico. D’altra parte a quei tempi i padri si occupavano poco dei figli e di sicuro non avevo avuto il tempo di affezionarmi a lui.
Sono nella sala d’attesa di uno studio dentistico privato di Kallio, il quartiere di Helsinki in cui abito. Un tram passa sferragliando, i pedoni si preparano a sostituire la rilassata andatura estiva con un portamento più innaturale, chino, adatto alla difesa dalla pioggia d’autunno.
Il dentista che mi deve visitare ha il mio stesso cognome. «Esko Kirnuvaara, odontoiatra», c’è scritto sulla targa.
Di professionisti in famiglia ce ne sono pochi, ma, titoli di studio a parte, i Kirnuvaara dovrebbero essere tutti parenti tra loro. Il cognome è la versione finlandese del russo Kirilov. I nostri progenitori vivevano oltre l’attuale confine e dopo la guerra si insediarono a Lieksa, nella Carelia del Nord.
Questo dentista dev’essere mio cugino di secondo grado, magari anche di primo. Forse siamo perfino fratelli. Chissà quante volte, nella sua vita, il papà sarà uscito a comprare le bibite per la sauna, visto che la sauna si fa ogni sabato.
Nella vita può capitare di tutto e i motivi per cui scomparire non mancano. Inutile considerarmi unico e pensare che mio padre abbia abbandonato con tanta freddezza soltanto me. Può darsi che abbia abbandonato anche altri, e con più freddezza ancora.
Si apre la porta, il paziente esce. Si preme la borsa del ghiaccio sulla guancia gonfia. La paura per quel che mi aspetta cresce. Sono stato centinaia di ore su una di quelle scomodissime poltrone, rigido, aggrappato ai braccioli e con quegli occhiali gialli sul naso.
I miei denti hanno un pessimo karma. Gli incisivi li ho persi cadendo dalla bicicletta. I denti del giudizio mi hanno fatto più male di quanto si possa sopportare in una vita intera. La mamma non mi ha lavato i denti a sufficienza quando ero piccolo e io ho diligentemente completato la catastrofe con un inarrestabile bisogno di caramelle e litri di Coca-Cola.
Questa volta mi fa male un molare. Con l’esperienza che ho, so già di che si tratta: c’è un’infezione alla radice, bisogna eliminare il pus.
L’assistente mi fa cenno di entrare. Vado verso la porta, faccio per stringere la mano al dentista e lui la ritrae.
«Non posso, c’è in giro l’influenza. Esko Kirnuvaara, il suo dentista.»
«Pekka Kirnuvaara. Siamo parenti?»
«È possibile. In questo piccolo paese lo siamo quasi tutti. Ora apra la bocca.»
Mi accomodo sulla poltrona. L’assistente mi mette il bavaglio sul petto e gli occhiali con le lenti gialle sul naso. Mi vedo riflesso nello specchio alla parete. Bono degli U2 con le lenti gialle ha un carisma che io non ho. Soprattutto in questa posizione sdraiata.
L’assistente mi punta in bocca la luce. Il dentista si infila la mascherina e le chiede di preparare gli strumenti. Mi dà dei colpetti sui denti con qualcosa di metallico.
«Qui le fa male?»
«No.»
«E qui?»
«No.»
Quando passa all’altro dente tremo per il dolore.
«Okay, la situazione mi sembra chiara. Facciamo comunque una lastra.»
E rivolge un cenno all’assistente, che mi appoggia un apparecchio sulla guancia. Prima dello scatto escono entrambi dalla stanza.
Evidentemente non vogliono fare la stessa fine dei coniugi Röntgen. Questi due però non mi sembrano sposati. Hanno un atteggiamento così distaccato, soprattutto lui.
Allo schermo del computer appare l’immagine scattata dalla mia guancia. Il dentista la osserva e si rivolge a me.
«Come pensavo. Bisogna devitalizzare la radice. Magari riusciamo ancora a salvare il dente. Facciamo l’anestesia?»
Annuisco e l’assistente prende una lunga siringa di metallo. Il dentista spinge con decisione l’ago nella gengiva. Fa così male che vorrei essere a mille chilometri da qui. Oppure in anestesia totale.
Poi si abbassa la mascherina sotto il mento e va al computer a osservare la lastra. Lo vedo riflesso nello specchio alla parete. Sarà una mia idea, ma mi sembra che somigli al papà, o almeno al papà ritratto nelle due uniche foto che la mamma si è dimenticata di bruciare.
«Ci vorrà un po’ prima che faccia effetto. Com’è che abbiamo dei denti in questo stato?»
«Tuo padre si chiamava Onni Kirnuvaara?»
«Da quanto tempo le fa male?»
«Un paio di mesi.»
«Non ha pensato di venire prima?»
«Con la sanità pubblica la lista d’attesa era troppo lunga. Evidentemente hanno pensato che il mio caso non fosse abbastanza grave.»
«Mmh… anche le gengive sono messe male. Si lava i denti almeno la mattina e la sera?»
Annuisco, mentendo. Non ce la faccio a lavarmi i denti tutte le sere, e la mattina vado sempre di fretta.
«Deve lavarli meglio. Usa il filo interdentale?»
«Non molto.»
Non l’ho mai usato in vita mia.
«Si vede. Conviene usarlo.»
«Ma stavo dicendo… sei per caso cresciuto…»
«Sente qualcosa?»
Mi ha zittito battendo sul dente. Sento il colpetto, ma nessun dolore.
«No, non fa male.»
«Bene.»
Cerco un’altra volta di chiedergli delle sue origini, ma lui mi tappa la bocca infilandoci dentro due tubicini.
«Fresa diamantata, per favore.»
L’assistente gli passa il trapano e il dentista si mette all’opera. Il suono è stridente.
«Rosa media.»
Gli viene consegnato un altro strumento. Non mi fa male, ma il rumore ostinato è insopportabile. Terminato quel baccano, il dentista osserva il dente nello specchietto. Chiede un altro strumento.
«Ago endodontico da venticinque, per favore.»
L’assistente ubbidisce e lui con quel coso mi tocca la radice del dente. Il dolore è puramente psicosomatico, l’anestesia fa il suo effetto, ma al solo pensiero dell’ago da venticinque rabbrividisco. Stringo i braccioli, le nocche sbiancano. L’assistente si accorge della mia tensione. Dei due è la persona più umana.
«Cerchi di rilassarsi.»
Annuisco e mi calmo un po’. Passo dal grado di rilassamento «punteruolo» al grado «discorsi per l’ottantesimo compleanno della religiosissima nonna».
«Dammi un quaranta per il canale distale.»
Evidentemente il problema è lì. Quando il quaranta apre il canale distale o quel che è, mi si spande in bocca il sapore del pus. È chiaro che la radice è infetta e che si sta cercando di rimuovere l’origine di questo dolore pulsante.
«Adesso la lascio riposare un attimo. Prepara l’ipoclorito tre per cento.»
Resto ad aspettare sulla poltrona. Il dentista se ne va, probabilmente per evitare altre domande personali. L’assistente tenta di sdrammatizzare commentando le parole di una canzone che danno alla radio e il tempo autunnale oltre la finestra....




