O'Connor | Il cielo è dei violenti | E-Book | www.sack.de
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E-Book, Italienisch, 225 Seiten

O'Connor Il cielo è dei violenti


1. Auflage 2020
ISBN: 978-88-3389-208-5
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 225 Seiten

ISBN: 978-88-3389-208-5
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
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Francis Marion Tarwater è stato costretto a crescere fin dall'età di quattro anni con il prozio Mason, un fanatico religioso che vive come un eremita nei boschi, è convinto di essere un profeta e ha sottratto il bambino al nipote Ryber, un maestro elementare che vive seguendo i dettami della ragione e della scienza. Quando Mason muore, Francis, ormai quattordicenne, torna a casa di Ryber, ma con una missione da compiere. Deve battezzare a ogni costo Bishop, il figlio del maestro, che a detta del prozio è nato «deficiente» per grazia divina. Comincia così una guerra senza esclusione di colpi, nella quale Ryber cerca in ogni modo di riportare Francis alla ragione e alla «normalità», mentre nella mente del ragazzo continuano a risuonare gli insegnamenti di Mason, e il richiamo di una fede tanto brutale quanto potente e liberatoria. Riproposto da minimum fax in una nuova traduzione a sessant'anni dalla sua pubblicazione, nel 1960, Il cielo è dei violenti è considerato una pietra miliare della letteratura americana: un esempio della sensibilità gotica e della potenza satirica che convergono nell'opera di Flannery O'Connor.

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2


Se il ragazzo avesse dato retta al suo nuovo amico, Meeks, il rappresentante di canne fumarie in rame, avrebbe accettato di farsi accompagnare davanti alla porta di casa dello zio. Meeks aveva acceso le luci interne della macchina e gli aveva detto di scavalcare e di rovistare un po’ sul sedile posteriore dove avrebbe trovato l’elenco telefonico, e quando Tarwater era tornato al suo posto gli aveva mostrato come rintracciare il nome dello zio sull’elenco. Tarwater scrisse l’indirizzo e il numero di telefono sul retro di uno dei biglietti da visita di Meeks. Il numero di Meeks era sull’altra facciata, e il rappresentante disse a Tarwater di usarlo liberamente se avesse avuto bisogno di un piccolo prestito o di aiuto. Dopo mezz’ora, Meeks aveva capito che il ragazzo era abbastanza svitato e ignorante da potersi rivelare un gran lavoratore, e a lui serviva proprio un ragazzo ignorante e pieno d’energia. Ma Tarwater fu evasivo. «Devo mettermi in contatto con mio zio, è l’unico consanguineo che ho», disse.

Meeks guardò il ragazzo e intuì che era scappato di casa, che aveva lasciato la madre, probabilmente un padre alcolizzato e probabilmente anche quattro o cinque fratelli in una stamberga di due stanze costruita sulla terra nuda, senza vegetazione, in una radura vicina all’autostrada, e che se l’era squagliata per andarsene in giro per il mondo, non prima di essersi fatto coraggio, a giudicare dal tanfo, con un bel po’ di liquore clandestino. Non credette nemmeno per un attimo che avesse uno zio residente in una zona tanto rispettabile. Pensò che il ragazzo avesse appoggiato il dito a caso su un nome, Rayber, e poi avesse detto: «È lui. Il maestro di scuola. È mio zio».

«Ti accompagno a casa sua», aveva detto Meeks astutamente. «Passiamo di lì per attraversare la città. Ci passiamo proprio accanto».

«No», disse Tarwater. Era seduto sul bordo del sedile, proteso in avanti, e dal parabrezza guardava una collina coperta di carcasse di vecchie macchine. Nella confusione del buio, sembrava stessero affondando nelle viscere della terra e che, anzi, in parte fossero già sommerse. La città davanti a loro era sospesa sul fianco della montagna, come se fosse una parte più estesa dello stesso cumulo di ferrivecchi, non era ancora sprofondata. Il fuoco l’aveva abbandonata, e sembrava essersi ricomposta nelle sue particelle indivisibili.

Il ragazzo non aveva intenzione di presentarsi a casa del maestro finché non si fosse fatto giorno, e una volta lì avrebbe chiarito che non era venuto per essere analizzato o studiato per conto di una rivista scolastica. Provò a ricordare il viso del maestro per poterlo guardare in faccia nella sua mente prima di trovarselo di fronte in carne e ossa. Aveva la sensazione che più cose fosse riuscito a ricordare del maestro, minori sarebbero state le probabilità che il nuovo zio approfittasse di lui. La faccia non gli era rimasta impressa, anche se rammentava il mento sfuggente e gli occhiali con la montatura nera. Quello che proprio non riusciva a mettere a fuoco erano gli occhi. Non ne conservava memoria alcuna, e dalle macerie delle descrizioni del prozio emergevano solo contraddizioni. A volte il vecchio aveva detto che gli occhi del nipote erano neri, altre volte marroni. Il ragazzo continuava a cercare occhi che si adattassero alla bocca, un naso che si adattasse al mento, ma ogni volta che credeva di aver composto un viso, questo crollava miseramente e lui doveva ricominciare a metterne insieme uno nuovo. Sembrava che il maestro fosse tale e quale al diavolo: si trasformava secondo convenienza.

Meeks gli stava spiegando il valore del lavoro. Disse che l’esperienza gli aveva insegnato che se volevi farti strada nella vita dovevi lavorare. Disse che quella era una legge di vita e non c’era modo di aggirarla, poiché era scolpita nel cuore dell’uomo come «Ama il prossimo tuo». Disse che queste due leggi, applicate insieme, facevano girare il mondo e che, se volevi avere successo e conquistare la felicità, bastava conoscerle.

Il ragazzo stava cominciando a scorgere gli occhi del maestro e non prestava attenzione al consiglio. Erano grigio scuro, velati di conoscenza, e questa conoscenza ondeggiava come i riflessi di un albero su un lago nel cui fondale, sotto le ombre della superficie, si nascondevano i serpenti. Aveva preso l’abitudine di cogliere in fallo il prozio ogni qualvolta si contraddiceva sull’aspetto del maestro.

«Ho dimenticato qual è il colore dei suoi occhi», diceva il vecchio, irritato. «Che differenza fa il colore? Conosco fin troppo bene lo sguardo. So cosa nasconde».

«E cosa nasconde?»

«Niente. È pieno di niente».

«Invece sa un sacco di cose», ribatteva il ragazzo. «Non mi viene in mente nemmeno una cosa che lui non sappia».

«Il fatto di non sapere niente è esattamente tutto quello che lui non riuscirà mai a sapere», disse il vecchio. «Questo è il suo guaio. Lui crede di potersi far spiegare ogni cosa che ignora da chi è più intelligente di lui, per colmare le sue lacune. E se tu andassi da lui, per prima cosa ti esaminerebbe la testa e ti spiegherebbe a cosa stavi pensando, come mai lo stavi pensando e cosa invece dovresti pensare. E di lì a poco tu non apparterresti più a te stesso, ma diventeresti di sua proprietà».

Il ragazzo non voleva che ciò accadesse. Sapeva abbastanza sul conto del maestro da stare in guardia. Conosceva due storie dall’inizio alla fine: la storia del mondo, che iniziava con Adamo, e la storia del maestro, che iniziava con sua madre, l’unica sorella del vecchio Tarwater, scappata da Powderhead a diciotto anni e diventata – il vecchio diceva che non avrebbe lesinato sulle parole, nemmeno davanti a un bambino – una puttana, finché non aveva trovato un uomo che si chiamava Rayber che non vedeva l’ora di sposarne una. Il vecchio aveva ripetuto questa storia dal principio alla fine almeno una volta a settimana.

Sua sorella e questo Rayber avevano dato alla luce due figli: uno era il maestro e l’altra una bambina che sarebbe diventata la madre di Tarwater e che, diceva il vecchio, aveva seguito i passi della madre, visto che a diciotto anni era già una puttana.

Il vecchio aveva molto da raccontare sul concepimento di Tarwater, poiché il maestro aveva raccontato allo zio di essere stato lui in persona a presentarle il primo (e ultimo) amante, convinto che avrebbe contribuito ad accrescere la sua . Il vecchio lo diceva imitando la voce del maestro e rendendola ancora più ridicola di quanto il ragazzo la immaginasse. Il vecchio veniva travolto da una furibonda esasperazione al pensiero che il mondo non si scagliasse contro questa idiozia con il disprezzo che meritava. Finalmente il maestro aveva potuto smettere di aiutare sua sorella. Dopo l’incidente, l’amante si era sparato, il che per il maestro era stato un sollievo, poiché voleva allevare da sé il bambino.

Il vecchio diceva che, siccome il diavolo aveva avuto un ruolo così pesante fin dall’inizio, non c’era da meravigliarsi che avesse un debole per il bambino e tenesse sotto stretta sorveglianza la sua esistenza terrena, in modo che l’anima che egli stesso aveva contribuito a far nascere potesse servirlo all’inferno per l’eternità. «Sei quel tipo di ragazzo», diceva il vecchio, «che il diavolo si offre sempre d’aiutare, con una sigaretta o un bicchiere oppure con un passaggio, e a cui chiede sempre di raccontare gli affari propri. Fa’ attenzione quando parli con gli sconosciuti. E tieni per te gli affari tuoi». Il Signore avrebbe provveduto alla sua educazione, sventando i piani che il diavolo aveva su di lui.

«In che ambito vuoi inserirti?», chiese Meeks.

Il ragazzo non ascoltava.

Mentre il maestro aveva condotto con successo la sorella tra le braccia del maligno, il vecchio Tarwater aveva tentato in ogni modo di convincere la sua, di sorella, a pentirsi, ma senza esito. In un modo o nell’altro era riuscito a non perderla di vista all’indomani della sua fuga da Powderhead; ma anche dopo il matrimonio lei non aveva voluto sentir parlare della sua salvezza. Era stato buttato fuori di casa in ben due occasioni dal marito – ogni volta con l’aiuto della polizia perché il marito era troppo debole – ma il Signore lo aveva continuamente spinto a tornare, pur correndo il rischio di finire in galera. Se non riusciva a entrare restava fuori e si metteva a urlare; a quel punto lei gli apriva la porta per non richiamare l’attenzione dei vicini. I bambini del quartiere accorrevano per ascoltarlo e lei era costretta ad accoglierlo in casa.

Non c’era da meravigliarsi, diceva il vecchio, che il maestro non fosse una persona migliore, considerando il padre che aveva avuto. L’uomo, un rappresentante di assicurazioni, portava un cappello di paglia inclinato di lato sulla testa e fumava il sigaro, e quando gli dicevi che la sua anima era in pericolo, lui ti proponeva una polizza contro ogni rischio. Sosteneva di essere anche lui un profeta, il profeta delle polizze, poiché era dovere di ogni buon Cristiano proteggere la propria famiglia e provvedere a essa in caso di imprevisti. Non c’era modo di trattare con lui, diceva il vecchio; aveva il cervello liscio come i bulbi oculari e la verità non avrebbe attecchito in lui proprio come la pioggia non poteva penetrare nel metallo. Quantomeno nel sangue del maestro, nelle cui vene scorreva anche quello di Tarwater, i difetti del ramo paterno si diluivano. «Nelle sue vene scorre buon sangue», diceva il vecchio. «E il buon sangue riconosce il Signore e non può far nulla per rinunciarvi. Non se ne libererà mai, in alcun...



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