E-Book, Italienisch, 413 Seiten
Perodi Le novelle della nonna
1. Auflage 2015
ISBN: 978-963-526-987-7
Verlag: Booklassic
Format: EPUB
Kopierschutz: 0 - No protection
E-Book, Italienisch, 413 Seiten
ISBN: 978-963-526-987-7
Verlag: Booklassic
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Le novelle della nonna e l'opera principale di Emma Perodi, pubblicata fra il 1892 e il 1893; si tratta di una raccolta di racconti fantastici ambientati nel Casentino, i quali, pur essendo destinati ai bambini, contengono temi inquietanti, goticheggianti, quasi horror, che sono apprezzabili a pieno da lettori maturi.
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Lo scettro del re Salomone e la corona della regina Saba
Tutte le campane di Poppi e della valle suonavano a festa in quella notte chiamando i fedeli alla messa di Natale, e pareva che a quell’invito rispondessero le campane di Soci, di Bibbiena, di Maggiona e di tutti i paesi e i castelli eretti sui monti brulli, che s’inalzavano fino all’Eremo di Camaldoli e al Picco della Verna, tanto era lo scampanìo che si udiva da ogni lato. In una casa di Farneta, piccolo borgo sulla via di Camaldoli, la famiglia del contadino Marcucci era tutta riunita sotto l’ampia cappa del camino basso, che sporgeva fin quasi a metà della stanza. Il camino, nel quale crepitava un bel ceppo di faggio, era grande davvero, altrimenti non avrebbe potuto contener tanta gente, perché i Marcucci erano un subisso! Il vecchio capoccia era morto, la moglie gli sopravviveva, e intorno a lei erano aggruppati i cinque figliuoli maschi, i quali avevano tutti moglie, meno l’ultimo, Cecco, che era tornato da poco dal reggimento, e aveva sempre addosso la tunica d’artiglieria. I quattro fratelli maggiori si ritrovavano di già la bella caterva di quindici figliuoli, fra grandi e piccini, così che fra la vecchia Regina, le nuore, i figliuoli e quei quindici nipoti, facevano venticinque persone. È vero che il podere era grande, ma se i ragazzi maggiori non si fossero ingegnati ad accompagnare col trapelo le carrozze che andavano a Camaldoli, facendo in su e in giù l’erta via tre o quattro volte il giorno, la famiglia Marcucci non avrebbe attecchito il desinare con la cena. Quella sera la vecchia Regina stava seduta sopra una panca molto vicina al fuoco crepitante, e le sue mani operose, che intrecciavano di consueto i fili di paglia per farne cappelli, restavano inerti in grembo. I più piccoli fra i nipotini le sedevano accanto guardando un grandissimo paiuolo appeso sopra il fuoco, nel quale bollivano le castagne. Lo scampanìo continuava, e tutti quei bambini, che solevano andare a letto come i polli per alzarsi a giorno, non chiedevano di coricarsi, né le mamme davano loro il solito imperioso comando: «A letto!» poiché in quella notte era consuetudine dei Marcucci che i giovani andassero alla messa notturna alla abbazia di San Fedele, sul monte dove s’erge gigante il castello di Poppi, con la sua immensa torre che si vede quasi da ogni punto del Casentino, e i piccini rimanessero a casa a far compagnia alla nonna, la quale li teneva desti narrando loro fiabe meravigliose, che ella aveva udito a sua volta dalla propria nonna e dalle vecchie del vicinato. Il maggiore dei figli della Regina, l’austero Maso, che faceva da capoccia dopo la morte del padre, li comandava tutti a bacchetta; egli si alzò e, aprendo la porta della cucina che guardava sulla aia, disse, rivolto alla moglie e alle altre donne: - La nottata è brutta e la neve è tutta ghiacciata, che vogliamo fare? Mentre Maso teneva ancora l’uscio aperto strologando le nubi, che correvano da tramontana, un soffio di vento gelato penetrò nella cascina e fece rabbrividire grandi e piccini. Ma la Carola era stata pronta a dire: - E da quando in qua il freddo e la neve ci mettono paura? Alla messa di Natale ci siamo sempre andati e ci andremo anche stanotte, se Dio vuole. La Carola, come moglie del capoccia, godeva in famiglia di una certa autorità; così le altre donne annuirono con la testa, e mentre ella si alzava per vedere se le ballotte eran cotte nel paiuolo, le cognate salirono al piano superiore a prendere lo scialle, il rosario e i cappotti di panno pesante foderati di flanella verde dei rispettivi mariti. Quando esse riscesero, la Carola aveva già posato il paiuolo in tavola, dopo averne scolato l’acqua, e con una mestola di legno distribuiva ai bambini le castagne. Anche le cognate se ne empirono le tasche dei grembiulini di rigatino, e quando Maso disse: «Dunque, vogliamo andare?» tutti si strinsero bene sotto il mento il fazzoletto di lana a colori vivaci, e su quello si misero lo scialle di flanellone. - E tu non vieni? - domandò Maso a Cecco vedendo che s’era seduto di nuovo sulla panca nel canto del fuoco. - Sentirò tre messe domani, per ora resto qui; è tanto che non ho più fatto il Natale a casa, e mi struggo di sentir raccontare dalla mamma la novella dello scettro di re Salomone e la corona della regina Saba. Cecco non diceva tutto il suo pensiero. Tornato a casa dopo tre anni passati al reggimento, parte ad Alessandria, parte a Palermo, aveva trovata la sua vecchietta molto deperita, e il timore di perderla da un momento all’altro lo aveva assalito tanto da inchiodarlo a fianco della mamma in tutte le ore che non lavorava. E anche quando era nel campo, pensava sempre: «La troverò viva quando torno a casa?». Quel pensiero angoscioso e continuo gl’impediva d’imbrancarsi con gli amici e di andarsene a veglia nei casolari vicini, dove il bell’artigliere sarebbe stato festosamente accolto dalle ragazze, curiose di sentir parlare della vita di città e delle avventure militari. Maso aprì l’uscio e s’incamminò alla testa della comitiva, composta delle cognate, dei fratelli e dei tre ragazzi maggiori, ormai giovinotti anch’essi. Appena tutta quella gente fu uscita, Cecco andò a sedersi accanto alla Regina, e mettendole una mano sulla spalla, le disse scherzando: - Badate, mamma, la novella la so quasi a mente, e se non la raccontate bene, vi tolgo la parola e la narro io! Vi rammentate quante volte sono stato a occhi spalancati, con le gomita sulle ginocchia, a sentirla? - Quelli erano bei tempi! - sospirò la vecchia. - Allora era vivo il babbo tuo, tutte le figliuole erano in casa e io non ero così grinzosa. - Nonna, la novella! - dissero i piccini, che erano tutti ansiosi di udire per la centesima volta il meraviglioso racconto, che aveva sempre la virtù di commuoverli. La vecchietta finì di sbucciare una castagna, e dopo che l’ebbe data alla minore delle nipotine, prese a dire con la voce dolce e il purissimo accento, proprio degli abitanti delle montagne toscane: - Dovete sapere che al tempo dei tempi arrivò un giorno a Montecornioli un vecchio con la barba bianca, i capelli lunghi che gli scendevano fin quasi alla cintola, vestito di una cappamagna di seta e con un turbante in testa. Questo vecchio cavalcava una mula bianca e dietro a lui veniva un carro tutto coperto trascinato da un paio di bovi, e guidato da un altro vecchio, pure con la barba lunga e i capelli lunghi, ma vestito più miseramente. Attorno al carro cavalcavano cinque uomini armati di lancia, e tenevano a distanza chiunque si volesse accostare. Né l’uomo dalla cappamagna, né il carro, né i soldati erano stati veduti passare per il Casentino. Essi erano arrivati a Montecornioli senza valicare l’Appennino, senza battere le strade maestre. La gente li aveva veduti soltanto sul Pian del Prete, quando salivano la vetta di Montecornioli. Poi erano spariti col carro dentro un vano, che mette a una grande caverna. Soltanto l’uomo dalla cappamagna era rimasto a guardia di quel vano, e la mattina, quando i montecorniolesi si alzarono, rimasero a bocc’aperta nel vedere che, proprio in quel punto, dove prima non crescevano nemmeno le cicerbite e i cardi, era sorta, come per incanto, una casetta con le finestre chiuse e la porta sbarrata. La mia parola sarebbe insufficiente se volessi dirvi la meraviglia che destò in tutti la comparsa in paese di quella comitiva, e poi il veder sorgere quella casetta dalla sera alla mattina. Prima accorsero a Montecornioli, per sincerarsi del fatto, gli abitanti di Poppi e di Bibbiena; poi quelli di Certamondo, di Romena, di Pratovecchio, di Stia; e finalmente vennero anche da lontano. Ma guarda e riguarda, non vedevano nulla, e la casa rimaneva chiusa come se dentro non ci stesse nessuno. Però i più curiosi, mettendo l’orecchio contro il buco della chiave, sentivano un rimuginìo di monete e certe parole che nessuno capiva. Venne l’inverno, e la casa, che era bassa, rimase quasi nascosta nella neve. Quel mistero dei sette uomini seppelliti in quella caverna, metteva in moto tutti i cervelli e faceva dimenare tutte le lingue. Ci fu un montecorniolese più curioso dei suoi paesani, un certo Turno, che, senza dire nulla a nessuno, si mise in testa di scoprir quel mistero, e, aspettata una notte che non ci fosse luna, s’infilò un coltellaccio alla cintura, prese un’asta più lunga di lui, e si avviò alla casetta. Era buio come in gola al lupo e il vento mugolava nelle insenature dei monti e spazzava giù una neve fine fine e gelata, che tagliava la faccia a Turno; ed era giusto che fosse freddo, perché era appunto la notte del Natale. I rami degli alberi, sfrondati, battevano fra loro facendo un rumore di ossa cozzate insieme, e, un po’ il buio, un po’ quel mugolìo del vento, e più di tutto quel rumore, gelarono il sangue a Turno; ma la curiosità fu più forte della paura ed egli si accostò alla casetta misteriosa. Quando fu lì, avvicinò l’occhio al buco della serratura, ma non vide nulla; allora vi pose l’orecchio, e sentì un tintinnìo d’oro e di argento e un parlare strano, che egli non capiva. Stette così un pezzo, incerto se doveva bussare o no, ma finalmente, vedendo il fumaiolo del camino, dal quale non usciva punto fumo, salì sul tetto per tentar di penetrar con l’occhio nella stanza. La neve alta attutiva i suoi passi, e siccome il tetto era basso, con poca fatica vi salì; ma capì subito che non era riuscito a nulla, perché dal fumaiolo si vedeva il focolare spento e basta. Turno però, che aveva le scarpe grosse e il cervello fine, pensò: «È tardi, e prima o poi questi uomini misteriosi andranno a letto. Anche a contare i quattrini finiranno per stancarsi, e allora io, che sono secco come un fuscello, mi calo giù per la cappa del camino e mi levo da dosso questa curiosità, che non mi dà pace». Infatti si...