Schalansky | Il blu non ti dona | E-Book | www.sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 160 Seiten

Reihe: Narrativa

Schalansky Il blu non ti dona

Romanzo marinaresco
1. Auflage 2021
ISBN: 978-88-7452-939-1
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

Romanzo marinaresco

E-Book, Italienisch, 160 Seiten

Reihe: Narrativa

ISBN: 978-88-7452-939-1
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Dall'autrice di Inventario di alcune cose perdute, vincitore del Premio Strega Europeo 2020 'Il blu non ti dona', dice a Jenny la nonna. E anche il nonno trova bizzarro che una ragazzina speri di imbarcarsi un giorno: 'Le donne sulle navi portano sfortuna'. Ma la nipote non si lascia dissuadere, sogna le acque verdazzurre e i cavallucci marini, isole all'orizzonte e una camicia blu da marinaio al posto della sua giacca a vento rossa. Un'infanzia sulla costa baltica della ddr, tra teli a fiori e boe rosse, gemme d'ambra e megafoni che gracchiano dalla torre di salvataggio, si dispiega così in racconti e visioni. Jenny moltiplica e incrocia le linee della Storia e le linee di confine sulle mappe di un atlante: è allo stesso tempo Serio?a, Lucy, Claude, Wolfgang. Il blu non ti dona è 'un'autobiografia inventata' nella quale i ricordi si impregnano di immaginazione e si mescolano con 'le memorie di una gioventù altrui'. Come sempre ama fare nei suoi libri, Judith Schalansky sovrappone alla vita reale una moltitudine di ritagli e sfumature e crea un romanzo nel quale le fatemorgane sono isole ben visibili al di là delle onde.

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Capitolo 1


I suoi nonni vivevano al mare. Non si stancavano mai di sottolineare che loro abitavano dove gli altri andavano in vacanza. La nonna lo disse anche quella mattina, mentre versava ancora un po’ di caffè al nonno nella veranda. Lui la fermò con un gesto della mano. Lì accanto sonnecchiava Jenny, dondolandosi leggermente sulla sedia e osservando la mensola sotto la finestra. C’erano i tesori della nonna allineati con cura: una bambola di legno ungherese, un vaso con penne di pavone dall’occhio blu, una collana di corallo rosso fiammante arrotolata come un serpente dentro un portagioie aperto. Un po’ più in là c’era un riccio di mare. Era vuoto, e solo un reticolo di pori sbalzati che gli girava tutt’attorno rivelava dov’erano una volta gli aghi. Con il passare del tempo erano caduti, un mucchio di inutili spilli neri.

Giorno dopo giorno, nei suoi giri pomeridiani per la casa, la nonna li aveva raccolti dalla mensola insieme ai fiori appassiti e ai ramoscelli secchi. A un certo punto il riccio di mare era rimasto spoglio, un resto fossilizzato. Arrivava dalla Iugoslavia. Là, anni addietro, prima ancora che Jenny venisse al mondo, la nonna aveva assistito i bambini affetti da gravi malattie delle alte vie respiratorie che facevano le cure termali. Era stata l’unica volta che aveva preso un aereo. Come testimonianza custodiva in un cassetto una cartolina in bianco e nero. L’immagine ritraeva un aeroplano davanti a un edificio piatto di nuova costruzione e alcune signore in uniforme con gli occhiali da sole che salutavano dalla scala passeggeri, sembrava una delegazione il giorno di un anniversario importante.

Spesso Jenny aveva cercato di capire se fossero in partenza o di ritorno a casa. La nonna aveva raccontato che, in Iugoslavia, nuotando in mare si potevano vedere i cavallucci marini, piccole schiere di strisce danzanti in un’acqua verdazzurra, trasparenti come gelatina alla frutta. Il cavalluccio marino era l’animale araldico di Zinnowitz – un esemplare grazioso. Sorrideva giallo sullo sfondo blu notte, sui guidoni che svolazzavano nella rotonda del lungomare, sulle magliette esposte nella vetrina di un chiosco, sulla porta del municipio dove i villeggianti dovevano pagare la tassa di soggiorno. Ma in mare Jenny non ne aveva mai visto uno, anche se, da quando la nonna ne aveva parlato, li cercava spesso con lo sguardo.

“Ebbene sì, abitiamo dove gli altri vanno in vacanza,” ripeté il nonno, quindi mise da parte la , il sottile quotidiano locale, e guardò fuori dalla finestra come se da lì si vedesse il mare.

L’appartamento dei nonni era situato al primo piano di una villa slanciata. Jenny allungò il collo per vedere fuori. Dabbasso la vicina aprì il cancello del giardino e uscì sulla strada tutta buche e dossi. Indossava un grembiule punteggiato di fiori viola che le cadeva dalle spalle quasi non toccasse il corpo magro che vi era sotto. Il suo cane le saltò addosso abbaiando. In cielo qualche gabbiano lanciava grida stridule, ma dell’acqua non si vedeva né si udiva la benché minima traccia. La linea di battigia distava appena un chilometro, proprio come il canneto dell’Achterwasser, un’insenatura del Peenestrom, il braccio di mare che divideva l’isola dalla terraferma.

L’Achterwasser iniziava all’improvviso, senza la vicinanza di una duna né di un bosco di pini silvestri. La laguna, ampia e anonima, si trovava alla fine di una strada acciottolata nella parte bassa del paese. Una volta, in primavera, Jenny si era fermata con il nonno sul pontile accanto ai pescatori e aveva fissato le lenze immobili. Per un lungo istante erano rimasti tutti in silenzio. Strano che gli adulti, tra loro, se ne stiano in silenzio, aveva pensato. Guardando l’acqua aveva stentato a credere che sotto quella superficie liscia ci fosse qualche forma di vita. Non si muoveva una foglia. Perfino le canne palustri stavano ritte sulla sponda fangosa come bastoni conficcati lì da qualcuno. Infine il nonno aveva rotto il silenzio facendo qualche osservazione in dialetto basso-tedesco. Sui pesci, il tempo e il vento, anche se non soffiava neppure un filo d’aria. Uno di quegli uomini burberi aveva risposto a monosillabi girando la testa di scatto, con un movimento che ricordava il galleggiante quando abbocca un pesce. Indossava lo stesso berretto di molti altri uomini sull’isola. Il suo era un modello in velluto scuro a coste, come quello che portava anche il nonno sul ciuffo pettinato all’indietro. Con la visiera nera sembrava quasi un berretto da capitano. Così tanti capitani, e neanche l’ombra di una nave. Jenny aveva guardato la piccola armata di barche a remi ormeggiate un po’ più a nord, in un bacino delimitato da picchetti, erano tutte mezze piene d’acqua. Al di là, una lingua di terra si estendeva sulla laguna. Era la penisola di Gnitz, dove avevano trovato il petrolio. Le pompe lavoravano tutto l’anno, annuivano giorno e notte.

Il nonno aveva sfilato la mano destra dalla giacca di pelle e aveva indicato l’acqua salmastra. “Là c’è la terraferma,” le aveva detto. Dal canneto sull’altra sponda si levava il campanile monco di Wolgast, la cui punta era stata distrutta da un incendio molto tempo prima. Non era lontano.

Jenny si annoiava sull’Achterwasser. La laguna non era diversa dai laghi che popolavano l’isola o dal bacino artificiale accanto alla stazione di Wolgast: c’era sempre un’altra sponda e si poteva vederla a occhio nudo. Bastava una lunga passeggiata per girare intorno a tutti i laghi interni dell’isola. Spesso si era arrovellata sul perché quelle masse d’acqua si chiamassero , al maschile. Per lei erano delle fosse piene d’acqua. Il femminile invece indicava solo il mare aperto, dove l’orizzonte giungeva fino al cielo. La parola singolare , priva di forme plurali, non lasciava dubbi sul fatto che fosse una cosa unica, e Jenny si figurava questo grande oceano che collegava le coste di tutte le isole e di tutti i paesi arrivando fino alla Iugoslavia, dove i cavallucci marini che un tempo popolavano le coste baltiche dovevano essere migrati, o meglio giunti a nuoto, secoli prima.

Il nonno diede il segnale e lei scivolò giù dalla sedia.

“Ve la siete messa la crema solare?” domandò la nonna mentre loro due indossavano i sandali in corridoio.

“Sì,” si affrettarono a gridare in coro. Ma non servì a nulla. La nonna stava già cospargendo di crema bianca il viso di Jenny. “Per sicurezza,” disse preoccupata.

Finalmente uscirono. La nonna rimase a casa, era lei a occuparsi delle faccende domestiche.

Per non attraversare il paese gremito di villeggianti presero il sentiero che tagliava attraverso il bosco. Lì venivano loro incontro solo persone che il nonno salutava. Toccava fugacemente con l’indice la fascia del suo berretto da capitano, che non toglieva neanche con quella calura. Nella mano sinistra portava una borsa di rafia con dentro gli asciugamani. Jenny teneva stretto a sé il telo frangivento. Era appena più alta del fascio di tubi di plastica grigi tenuti insieme da un pezzo di stoffa a fiori. I suoi occhi sbucavano come profondi bottoni di cuoio da sotto la linea stondata della frangetta che la mamma accorciava ogni mese. Bambina esigente, stava volentieri al centro dell’attenzione, sempre in testa, una brava camminatrice, come diceva il nonno.

Subito cominciò a fare domande. Su quanto fossero alte quel giorno le onde. Sulla temperatura dell’acqua. Sulla visibilità. Jenny si chiedeva se con il mare agitato le condizioni di visibilità fossero buone o cattive, se quando l’acqua era calda le onde fossero più alte di quando era fredda e se in caso di alte temperature si riuscisse a vedere più lontano. Tra queste possibilità doveva pur esserci un nesso. Di certo una cosa era conseguenza dell’altra, probabile che due risposte fossero collegate tra loro, che l’una rendesse l’altra un pochino più possibile.

“Scommetto che il mare oggi è forza quattro,” disse il nonno guardandola con aria di sfida. “La visibilità è ottima,” proseguì, e Jenny fece un cenno di assenso. “E” – s’interruppe per un momento ma poi, prima ancora che lei fosse giunta a una conclusione, disse, come chi sta puntando tutto su una carta: “E la temperatura dell’acqua è di diciotto gradi centigradi”.

Amava indovinare, fare pronostici, supposizioni. D’inverno giocava al totocalcio e d’estate ai dadi, nelle mezze stagioni giocava a skat con un gruppetto di amici e a filetto con la nonna. Per lui il gioco era un calcolo, un’equazione con le variabili, una stima di probabilità. Insegnava matematica nell’unica scuola del posto. Qualche settimana prima aveva consegnato le pagelle. Jenny si immaginava la scena: tutti gli occhi puntati su di lui in un’aula arroventata, nessuno fiatava, e lui prendeva da una pila un quaderno dopo l’altro leggendo i nomi ad alta voce, i bambini si alzavano a uno a uno – prima i più bravi, poi i peggiori – e, quando i quaderni erano ormai finiti, il nonno annunciava la media della classe e mandava tutti in vacanza con un indovinello da risolvere.

Il telo frangivento affondava sempre di più nella spalla sinistra di Jenny. Ma, come si era prefissata, cambiò spalla...



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