E-Book, Italienisch, 203 Seiten
Reihe: Narrativa
Schalansky Lo splendore casuale delle meduse
1. Auflage 2013
ISBN: 978-88-7452-440-2
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 203 Seiten
Reihe: Narrativa
ISBN: 978-88-7452-440-2
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Nella vita, la concorrenza tra le specie e la capacità di adattamento sono tutto ciò che conta. È questo che insegna ai suoi alunni Inge Lohmark, professoressa di Biologia vecchia maniera, in una sperduta cittadina dell'ex DDR, che con il tasso di natalità a picco non ha piú nessuno che abiti le case né bambini da iscrivere a scuola. Intransigente e rigorosa, dà del lei a ragazzini ancora storditi dalla polluzione notturna, non incoraggia i piú lenti perché sono parassiti nel corpo della classe e non difende i piú deboli perché la selezione è un meccanismo aureo per l'evoluzione delle specie. Ma l'applicazione del darwinismo e delle leggi di natura alla realtà sarà destinata a infrangersi contro il sorgere di un sentimento, un desiderio di vicinanza illogico e ingiustificato nei confronti di un'alunna... Con ironia e scorrettezza, Judith Schalansky racconta la fine del mondo a partire da un punto di vista marginale: quello dell'uomo. 'Judith Schalansky ci offre un romanzo di formazione al contrario, un piccolo manifesto anti-darwinista'. Frankfurter Allgemeine Zeitung Traduzione di Flavia Pantanella
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Ereditarietà genetica
Le gru erano ancora lí, nel campo dietro casa, dove il terreno si apriva in un ampio avvallamento. Si riunivano là da settimane, brucavano nei campi di stoppie e dormivano sulle zampe lunghe come trampoli nell’acqua bassa delle vicine pozze paludose. All’alba un insieme di punti grigi che andavano avanti e indietro, e solo un poco alla volta se ne riuscivano a distinguere le sagome sullo sfondo scuro del paesaggio. Un branco che si muoveva su gambe rigide e diventava ogni giorno piú grande. Tantissimi uccelli che non si conoscevano, una formazione anonima tenuta insieme da un traguardo comune: le coste dell’Andalusia e del Nord Africa. La retroguardia del plotone dell’Europa occidentale diretta verso il Mediterraneo. L’aria era umida e amara. Sul davanzale si era già posata la brina. Non si erano mai fermate cosí a lungo. Già metà novembre. Sembravano ansiose, in attesa di qualcosa. Era l’irrequietezza della migrazione? Sarebbero partite finalmente, aprendo le ali sfrangiate e alzandosi in volo tra grida simili a uno squillare di trombe? Formando nel cielo una falange irregolare, con le zampe tese e i colli allungati.
Una freccia storta verso sud. Come facessero a orientarsi rimaneva un mistero. Con il sole? Le stelle? I campi magnetici? Avevano una bussola interna?
Il fiato di Inge Lohmark si alzava come vapore. Faceva freddo. Sicuramente sotto zero. Cosa aspettavano? Come doveva essere bello seguire un istinto. Senza pensare a niente. Chiuse la finestra.
Come sempre Wolfgang era già andato dai suoi struzzi e aveva lasciato il tavolo della colazione mezzo sparecchiato. Le briciole suggerivano il posto dove aveva consumato il pasto. Sulla sua sedia c’era un groviglio. Una tuta da lavoro verde tutta appallottolata, una canottiera e dei calzettoni di spugna blu. Era il suo modo di chiedere della biancheria pulita. La tuta da lavoro doveva essere verde a tutti i costi, il cervello di quegli uccelli era troppo piccolo per ricordarsi un volto. Vestito di un altro colore non lo avrebbero riconosciuto. Ma guai a dirlo. Non lo avrebbe mai ammesso. Per Wolfgang erano in assoluto gli animali piú intelligenti. Ne era quasi innamorato. Delle loro lunghe ciglia nere che sembravano truccate di natura, del loro passo ondeggiante. E poi perché avevano una fissa per lui. Almeno finché aveva addosso la tuta verde. Un imprinting totalmente errato. Erano arrivati al punto che le femmine di struzzo si lasciavano coprire solo se c’era lui vicino. Al maschio riproduttore la cosa non piaceva affatto. Ogni volta si gonfiava tutto e gli si scagliava contro soffiando. L’atteggiamento minaccioso del fecondatore. Uno struzzo che difende il suo territorio durante il periodo della cova è pericoloso quanto un toro che controlla le sue mucche.
Wolfgang era convinto che senza di lui non avrebbe funzionato. Soltanto perché prima inseminava ogni mucca con le sue stesse mani. Una certa dominanza aumenta la disponibilità al concepimento. E l’accoppiamento per sua natura è una battaglia. Nella maggior parte delle specie vertebrate l’atto sessuale è accompagnato da versi spaventosi. Basti pensare alle terrificanti urla dei gatti.
Un giorno Wolfgang non fu abbastanza rapido e le due dita cartilaginose di un uccello corridore lo colpirono al petto. La notizia finí perfino sul giornale.
Aveva un’altra volta riempito di uova di struzzo grosse come noci di cocco lo scomparto del frigo per le verdure. Chi avrebbe dovuto mangiarle? Erano le cellule animali piú grandi in assoluto. Un’omelette per una classe intera. Non c’era da stupirsi che quegli animali vivessero in luoghi in cui c’erano ancora tribú con centinaia di individui. Ma per loro due? Un uovo bastava e avanzava. E poi un uovo cosí non si manteneva, e sedersi a tavola insieme ormai era diventata cosa rara. A pranzo lei mangiava a scuola dalla zia Anita e lui nella piccola cucina-baracca dove preparava il mangime per gli animali. Spesso arrivavano dei visitatori interessati. E circa ogni due settimane veniva qualcuno della Ostsee-Zeitung, il quotidiano locale, a cui raccontava per ore le sue storie sull’allevamento degli struzzi. Che il collo dei maschi perde il tipico colore rosso dopo la stagione dell’accoppiamento. Che lo struzzo quando si sente trascurato gorgheggia in tono lamentoso. Che gli animali giovani crescono al ritmo di un centimetro al giorno. Di com’era importante, quando sono ancora pulcini, mischiare al foraggio dei sassolini tondi grazie ai quali macinano l’erba nel loro robusto stomaco trituratore. E che un paio di ristoranti di Berlino pagava bene la carne di struzzo. Erano richieste soprattutto le cosce. A quanto pare era la carne piú sana di tutte. Magra e povera di colesterolo. Diceva sempre che aveva lo stesso sapore della carne di manzo, ma un paragone simile reggeva solo perché erano entrambe scure. Lo stimolo visivo batte quello gustativo. Tuttavia non mancavano di scriverlo in ogni articolo. Wolfgang Lohmark era l’eroe dell’inserto regionale. Dopotutto era uno di quelli che ce l’avevano fatta. Da tecnico veterinario nel campo dell’allevamento animale in declino a contadino per hobby, che metteva all’ingrasso animali esotici, magnifici soggetti da fotografare: pulcini di struzzo dal piumaggio rigato sotto la lampada a raggi infrarossi. Struzzi al trotto, struzzi danzanti nella stagione degli amori, struzzi nella neve. E sopra i titoli: Uccelli giganti nella steppa della Pomerania Anteriore. La stagione degli amori nella fattoria degli struzzi. Un uovo per venticinque persone. Struzzo aggressivo attacca allevatore.
Wolfgang aveva ritagliato e incorniciato tutti gli articoli. Erano appesi alle pareti della sua cantina. Il salotto non era posto per loro, dopotutto gli struzzi non facevano parte della famiglia.
Mentre si lavava i denti, tornò a guardare le gru. Anche gli ultimi uccelli avevano abbandonato i loro giacigli umidi e riordinavano le piume scuotendosi, stiravano il collo, saggiavano il vento e la temperatura. Ora si distinguevano perfino le zampe nere che misuravano il campo a passi leggeri e maestosi. Non c’era paragone con il caracollare degli struzzi. Qui erano uccelli trampolieri, nella loro dimora invernale erano uccelli litorali. Una doppia vita. Ancora tre giorni al massimo e sarebbero andate via. Il calcolo era semplice. Ogni comportamento richiede uno specifico dispendio di tempo ed energia. E il dispendio è giustificato solo se il beneficio atteso è maggiore rispetto all’investimento. È sempre una questione di efficacia. In tutte le cose. Sicuramente era bello lí dov’erano dirette. Il Mediterraneo. Ma che ora si era fatta? Doveva andare.
Alla fermata c’era Marie Schlichter. Un debole cenno di saluto. Testa alta. Puzza sotto il naso all’insú. Che piú in alto non si può. Il cervello era un frutto perfettamente confezionato nella scatola cranica. Figlia di un medico, trasferitosi lí per respirare un po’ d’aria buona. Invece Marie Schlichter non annusava l’aria. Ma respirava poi? Sempre scocciata. Tutto era una pretesa inaudita. La giovinezza come periodo d’incubazione della vita. Aspettare l’autobus. Aspettare la patente. Aspettare di potersene andare via. La vana convinzione che il meglio deve ancora arrivare. Se solo non si fosse sbagliata. Quantomeno teneva la bocca chiusa.
L’autobus era puntuale e come sempre semivuoto. Ognuno era seduto al solito posto. Marie Schlichter davanti. Inge Lohmark nella penultima fila. Dove il motore diesel era piú forte e copriva il rumore che nel giro di cinque fermate sarebbe diventato assordante. Scacciando Paul e i suoi amici dall’ultima fila aveva scompaginato la disposizione di tutto l’autobus. L’orda di bulli e ripetenti adesso si stravaccava al centro. Naturalmente era stata bersaglio di sguardi curiosi. Tutti si stupivano che ogni giorno si facesse scarrozzare per la campagna insieme a loro. Ma non prendere la macchina aveva i suoi vantaggi. Già solo per il rischio di incidenti. Con tutti quegli idioti per cui la propria vita non aveva nessun valore. Senza contare gli animali selvatici, i caprioli e i cinghiali che all’alba fissavano con occhi vitrei i fari delle macchine in avvicinamento e non si spostavano. E bisognava fermarsi altrimenti l’assicurazione non pagava. L’intera zona era un’unica grande area di transito della selvaggina. Ovunque pulpiti, baracche di legno arrampicate su alti pali cui si accedeva con ripide scale a pioli. Casette sugli alberi per adulti. In fondo, prima prendeva sempre l’autobus. Sia per andare a scuola che in città. E spesso d’autunno lo aveva preso insieme a Wolfgang per spostarsi verso nord a vedere le gru. Prima l’autobus, poi il treno, poi ancora un altro autobus. Escursioni lunghissime, campagne immerse nei colori autunnali. Con il thermos e il pane imburrato. Finché finalmente non trovavano il luogo dove si riuniva la colonia, si arrampicavano su un pulpito e se ne stavano seduti lí l’uno accanto all’altra, a osservare le gru. Per ore e ore. Questo le piaceva di lui. Il fatto che non dovessero parlare. E anche lui sembrava esserne contento. La sua prima moglie parlava in continuazione, non chiudeva la bocca per tutto il santo giorno. E Klaus, il suo ragazzo precedente, voleva sempre discutere. Di politica. Sul governo e il futuro. Via via si scaldava sempre di piú e lei era sempre piú stanca. Finché non le scoppiava il mal di testa e Klaus diventava paonazzo come quegli uomini con il completo di perlon e il garofano all’occhiello, quando dal palco, sotto gli stendardi del...