E-Book, Italienisch, 160 Seiten
Reihe: Figure
Sontag Davanti al dolore degli altri
1. Auflage 2021
ISBN: 978-88-7452-927-8
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 160 Seiten
Reihe: Figure
ISBN: 978-88-7452-927-8
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
'Semplice, elegante, ferocemente persuasivo' Metro Le sofferenze della guerra e l'orrore della morte si stampano nella mente attraverso immagini che lasciano un'impronta ostinata: dai cadaveri dei soldati della Guerra Civile Americana fotografati da Alexander Gardner alla celeberrima Morte di un miliziano repubblicano di Robert Capa, dalla bandiera usa a Iwo Jima ai bambini vietnamiti bruciati dal napalm, dalle foto dei lager nazisti nel gennaio del '45 a quelle del campo di Omarska in Bosnia, per arrivare fino alle rovine di Ground Zero. Susan Sontag parla, a questo proposito, dello 'shock' della rappresentazione fotografica, che ci mette in modo autoritario e immediato davanti al dolore degli altri. Esaminando la cavalcata di questo shock nel corso del tempo, l'autrice arriva a un nodo cruciale della nostra contemporaneità: malgrado la complessità e l'instabilità dei concetti di realtà/riproduzione, memoria/oblio pubblico, visibilità/invisibilità, il 'valore etico' delle immagini di sofferenza che ci investono - a volte fino all'ipersaturazione - rimane intatto.E rimangono le domande che percorrono stringenti le pagine di questo libro: cosa succede davanti alla rappresentazione del dolore degli altri? È possibile una 'riproduzione' del dolore? Come si può fotografarlo o filmarlo senza sottrargli verità o produrre effetti di voyeurismo? E, piú alla radice, chi è l'altro, quell'emblema perturbante che ci interpella dalla sua riproduzione? Ecco perché questo libro, pubblicato nel 2003, è ancora ricco di spinta e incisività, oltre a restare un irriducibile atto d'accusa contro la violenza: 'nessuno può pensare e al tempo stesso colpire un altro essere vivente'.
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Nel giugno del 1938 Virginia Woolf pubblicò Le tre ghinee, riflessioni coraggiose e poco apprezzate sulle radici della guerra. Scritto nel corso dei due anni precedenti mentre Woolf, insieme a gran parte dei suoi amici e colleghi, era tutta presa dall’avanzare dell’insurrezione fascista in Spagna, il libro si presentava come la tardiva risposta a una lettera di un illustre avvocato londinese che le aveva rivolto la seguente domanda: “Cosa, secondo lei, noi dobbiamo fare per prevenire la guerra?” Woolf comincia con l’osservare causticamente che un sincero dialogo tra loro potrebbe forse non essere possibile. Anche se appartengono alla stessa classe, la “classe colta”, un profondo abisso, infatti, li separa: l’avvocato è un uomo e lei è una donna. Gli uomini fanno la guerra. Gli uomini (quasi tutti) amano la guerra, poiché nel combattimento trovano “un po’ di gloria, una certa necessità, e qualche soddisfazione” che le donne (quasi tutte) non provano né gradiscono. Che cosa può sapere della guerra una donna colta – vale a dire, privilegiata, benestante – come lei? È possibile che la sua repulsione alle lusinghe della guerra sia simile a quella del suo interlocutore?
Mettiamo alla prova questa “difficoltà di comunicazione”, propone Woolf, guardando insieme delle immagini di guerra. Si tratta di alcune delle fotografie che il governo spagnolo assediato inviava all’estero un paio di volte la settimana – “scritto nell’inverno 1936-37”, annota Woolf a piè di pagina. “Vediamo”, scrive, “se, guardando le stesse fotografie, proviamo gli stessi sentimenti”. E prosegue:
Tra quelle arrivate stamani ce n’è una in cui si vede il corpo di un uomo, o forse di una donna; è cosí mutilato che potrebbe benissimo essere il corpo di un maiale. Ma non c’è dubbio che quelli laggiú sono bambini morti, e quella è sicuramente la sezione di una casa. Una bomba ne ha squarciato il fianco; in quello che doveva essere il salotto è ancora appesa la gabbietta per gli uccelli…
Il modo piú rapido e asciutto per trasmettere il turbamento interiore prodotto da tali fotografie sta nel notare come non sempre si riesca a distinguerne il soggetto, tanto assoluta è la rovina di carne e pietra che esse raffigurano. A partire da questa constatazione, Woolf si affretta a trarre una conclusione. “Per diverse che siano la nostra educazione e le tradizioni che abbiamo alle spalle”, dice all’avvocato, le nostre reazioni sono identiche. E adduce una prova: sia “noi” – e qui le donne sono il “noi” – che lei, avvocato, possiamo benissimo reagire con le stesse parole.
Lei, Signore, le descrive come “orrore e disgusto”. Anche noi le chiamiamo orrore e disgusto… La guerra, lei dice, è un abominio; una barbarie; la guerra va impedita a ogni costo. E noi facciamo eco alle sue parole. La guerra è un abominio; una barbarie; la guerra va impedita a ogni costo.
Chi crede oggi che la guerra possa essere abolita? Nessuno, neppure i pacifisti. Speriamo soltanto (e finora invano) di fermare i genocidi, di consegnare alla giustizia chi commette gravi violazioni delle leggi di guerra (perché esistono leggi di guerra, a cui i combattenti dovrebbero attenersi) e di riuscire a fermare certe guerre imponendo alternative negoziali al conflitto armato. Oggi ci è forse difficile prestare fede al disperato proposito indotto dallo shock successivo alla Prima Guerra Mondiale, quando prese finalmente corpo la percezione della rovina che l’Europa aveva provocato a se stessa. Ma condannare la guerra in quanto tale non sembrava cosí futile o irrilevante all’indomani delle fantasie cartacee del Patto Kellogg-Briand del 1928, con il quale quindici importanti nazioni, tra cui Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia e Giappone, rinunciavano solennemente alla guerra come strumento di politica nazionale; nel 1932 persino Freud e Einstein si inserirono nel dibattito con un pubblico scambio epistolare intitolato Perché la guerra?. Le tre ghinee di Woolf, apparso dopo quasi due decenni di accorate condanne della guerra, aveva tuttavia l’originalità (che ne fa il meno apprezzato dei suoi libri) di concentrarsi su una questione ritenuta cosí ovvia o inappropriata da non dover essere menzionata, né tanto meno diventare oggetto di riflessione: la presa d’atto che la guerra è uno sport maschile, che la macchina bellica ha un genere sessuale, ed è maschile. Ciò nonostante, la temerarietà della versione woolfiana del Perché la guerra? non basta a rendere la ripugnanza meno convenzionale nella sua retorica, nelle sue generalizzazioni infarcite di frasi ripetute. E le fotografie delle vittime di guerra sono anch’esse una sorta di retorica. Reiterano. Semplificano. Scuotono. Creano l’illusione del consenso.
Evocando questa ipotetica esperienza di condivisione – “stiamo guardando insieme gli stessi corpi privi di vita, le stesse case in macerie” –, Woolf sostiene di credere che lo shock prodotto da tali immagini non possa non affratellare le persone di buona volontà. Ma è davvero cosí? Certo, Woolf e l’innominato destinatario di questa lettera in forma di libro non sono due persone qualsiasi. Le secolari affinità di condotta e di sentimenti caratteristiche dei loro rispettivi sessi li separano, come la stessa Woolf gli ha ricordato, ma l’avvocato non è affatto il tipico maschio bellicoso. La sua opposizione alla guerra non è meno indubbia di quella di lei. In fin dei conti, non le ha chiesto: “Che ne pensa della possibilità di prevenire la guerra?”, bensí: “Cosa, secondo lei, noi dobbiamo fare per prevenire la guerra?”
Quel “noi” è proprio ciò che Woolf mette in discussione all’inizio del libro: non permette al suo interlocutore di dare un “noi” per scontato. Ma in quel “noi”, dopo alcune pagine dedicate alla questione femminista, finisce poi col ricadere.
Non si dovrebbe mai dare un “noi” per scontato quando si tratta di guardare il dolore degli altri.
Chi sono i “noi” a cui queste immagini scioccanti sono indirizzate? Quel “noi” dovrebbe includere non soltanto i simpatizzanti di una piccola nazione o di un popolo privo di Stato che lotta per la propria vita, ma anche il gruppo ben piú nutrito di chi si preoccupa, non foss’altro che a parole, di una qualche terribile guerra in corso in un altro paese. Le fotografie sono uno strumento per rendere “reali” (o “piú reali”) situazioni che i privilegiati, o quanti semplicemente non corrono alcun pericolo, preferirebbero forse ignorare.
“Qui, sul tavolo dinanzi a noi, ci sono delle fotografie”, scrive Woolf a proposito dell’esperimento mentale proposto tanto al lettore quanto al fantomatico avvocato che, reale o fittizio, è cosí illustre, come lei stessa sottolinea, da aggiungere al proprio nome la sigla onorifica K.C., King’s Counsel. Immaginate allora una serie di fotografie estratte da una busta arrivata con la posta del mattino e sparpagliate casualmente su un tavolo. Mostrano i corpi straziati di adulti e bambini. Mostrano come la guerra svuota, frantuma, spacca, abbatte il mondo costruito. “Una bomba ne ha squarciato il fianco”, scrive Woolf a proposito della casa raffigurata in una delle immagini. Certo, il paesaggio urbano non è fatto di carne. Ma gli edifici tranciati sono eloquenti quasi quanto i cadaveri abbandonati per strada. (Kabul, Sarajevo, Mostar Est, Groznyj, i sedici acri nella parte meridionale di Manhattan dopo l’11 settembre 2001, il campo profughi di Jenin…)Guardate, dicono le fotografie, questo è ciò che succede. Questo fa la guerra. E quello, fa anche quello. La guerra lacera, spacca. La guerra squarcia, sventra. La guerra brucia. La guerra squarta. La guerra rovina.
Non soffrire a causa di queste immagini, non indietreggiare inorriditi dinanzi a esse, non sforzarsi di abolire ciò che provoca una simile devastazione, una simile carneficina – queste sarebbero, in termini morali, le reazioni di un mostro, dice Woolf. E, lascia intendere, non siamo mostri, noi membri della classe colta. A mancarci è l’immaginazione, l’empatia: non siamo riusciti a fare nostra questa realtà.
Ma è poi vero che quelle fotografie, documenti di un massacro di civili piú che di uno scontro tra eserciti, avrebbero potuto promuovere soltanto il rifiuto della guerra? Senza dubbio potevano anche incoraggiare una piú attiva militanza in favore della Repubblica. Non era forse quello il loro scopo? L’accordo tra Woolf e l’avvocato sembra dato del tutto per scontato, e le spaventose fotografie servono solo a confermare un’opinione già condivisa. Se l’avvocato le avesse invece chiesto: “Qual è il modo migliore per contribuire alla difesa della Repubblica spagnola dalle forze del fascismo militarista e clericale?”, le fotografie avrebbero potuto rafforzare la fede di entrambi nella giustezza di quella lotta.
Le immagini evocate da Woolf in realtà non mostrano ciò che la guerra, la guerra in quanto tale, produce. Mostrano un modo particolare di condurre una guerra, un modo all’epoca descritto abitualmente come...




