Vi?niec | Sindrome da panico nella città dei lumi | E-Book | www.sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 336 Seiten

Reihe: Intrecci

Vi?niec Sindrome da panico nella città dei lumi


1. Auflage 2021
ISBN: 978-88-6243-496-6
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 336 Seiten

Reihe: Intrecci

ISBN: 978-88-6243-496-6
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Un misterioso editore parigino senza casa editrice, il signor Cambreleng, tenta di istruire un manipolo di romanzieri e personaggi: Jaroslava, esule ceca; Pantelis Vassilikioti, scrittore fallito di multiple origini; Hung Fao, il Sol?enicyn cinese; la libraia Faviola, sensibile alle grida delle opere morenti; François, cacciato di casa dal proprio gatto; Georges e il suo cane Madox, con una grave dipendenza dai notiziari; Matei, profugo romeno, autore di una poesia capace di sovvertire l'ordine comunista. Quando un giorno Jaroslava mostra al suo mentore una decina di quaderni zeppi di parole raccolte nei luoghi più diversi, dai cartelloni pubblicitari alla segnaletica stradale, dalle etichette dei vestiti ai pacchetti di sigarette, l'editore grida al capolavoro: il libro che racchiude Parigi, un insieme di parole vive in grado di salvare la letteratura... Una folgorante riflessione sulla scrittura, spazio di libertà sempre da conquistare.

Poeta, drammaturgo, romanziere, giornalista, è nato nel 1956 a R?d?u?i, nel nord della Romania. Trasferitosi nel 1987 in Francia per sfuggire alla censura di regime, è diventato negli anni il secondo drammaturgo romeno dopo Ionesco a imporsi nel panorama teatrale europeo. Sindrome da panico nella Città dei Lumi, suo secondo romanzo, è stato tradotto in francese, russo, ungherese e bulgaro.
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6
QUESTO CAPITOLO HA ANCHE UN NOME, SI INTITOLA
LA SINDROME DI GOGU


Gogu Boltanski è stato il mio migliore amico dall’asilo fino all’ultimo anno del liceo. Il mio legame con Gogu Boltanski è stato profondo, formativo. Non solo siamo cresciuti insieme, ma insieme abbiamo anche scoperto la letteratura e la magia della creazione. Sia io, sia lui eravamo bravi in romeno e già in quarta elementare avevamo cominciato a comporre poesie. Dato che eravamo quasi vicini di casa, Gogu abitava a un paio di strade da me, ci vedevamo ogni giorno dopo la scuola e una volta finiti i compiti. Con Gogu parlavo molto, di qualsiasi argomento. Certo, essendo bambini, giocavamo pure noi, ci affrontavamo in duello con le spade di legno, in autunno costruivamo fortini con le foglie secche e correvamo in groppa a cavalli immaginari negli orti (il nostro quartiere era composto da caseggiati dietro ai quali c’erano enormi appezzamenti coltivati a verdura e alberi da frutto). Un’altra gioia che condividevamo era andare insieme al cinema, la domenica, per vedere i cartoni animati, e durante la settimana tutti i film che non erano vietati ai minori di 16 anni.

Con Gogu ho scoperto la gioia di leggere e il piacere di comprare libri. A volte compravamo insieme una rivista, “Luceafarul” o “România literara”, e insieme leggevamo le poesie dei nostri colleghi più adulti. Dico questo perché nella nostra mente noi ci consideravamo già dei grandi poeti. Ci leggevamo a vicenda le nostre poesie e ci facevamo a vicenda delle osservazioni. A poco a poco il nostro legame è diventato anche di rivalità, di competizione letteraria. Uno cercava di stupire l’altro. Io avevo cominciato a scrivere brevi commedie teatrali, Gogu aveva cominciato a scrivere un romanzo. Non portavamo mai a termine nulla, ma ci spronavamo a vicenda in sempre nuovi esperimenti letterari e filosofici. A 13 anni leggevo già Kafka, Oscar Wilde... A 14 Camus, io mi dichiaravo esistenzialista e Gogu si considerava fenomenologo. Durante gli studi liceali entrambi eravamo diventati due celebrità locali, eravamo invitati a leggere poesie nei cenacoli letterari del capoluogo di distretto, venivamo pubblicati in varie riviste scolastiche... Gogu, più atletico di me, aveva un fisico imponente, era alto e biondo, aveva cominciato ad assomigliare vagamente a Paul Newman. Io ero un po’ più complessato dal mio aspetto, soprattutto perché portavo gli occhiali, e avevo sviluppato una miopia galoppante.

A 17 anni, quando camminava per la città, con la sigaretta fra le labbra, e con un libro o un quaderno sotto il braccio, sereno e luminoso, circondato dall’aura di chi aveva trovato ogni risposta ai problemi dell’esistenza, Gogu era bello come un dio greco e attirava gli sguardi di tutte le ragazze. Io stesso avevo iniziato ad ammirarne la disinvoltura, tanto più che la letteratura aveva smesso di essere la cosa più importante per lui. Gogu era anche un grande appassionato di scacchi, e ogni giorno, alle cinque del pomeriggio, si presentava alla Casa della Cultura della città dove si riunivano gli scacchisti dilettanti. Quando faceva brutto tempo, le partite si svolgevano in una stanza dalle finestre grandi, affacciate sulla strada, cosicché i passanti potevano sbirciare all’interno e vedere qualche decina di teste concentrate, chine sopra le scacchiere su cui erano ancora in vita due o tre pezzi, in un’infinita battaglia finale. Quando faceva bel tempo, le partite si tenevano fuori, sotto una tettoia d’edera, in una sorta di gabbia di metallo che voleva sembrare una veranda.

La fine del liceo è stato il momento in cui io e Gogu ci siamo resi conto di avere ambizioni nella vita diametralmente opposte. Io desideravo andare a Bucarest per dare l’esame di ammissione alla facoltà di Filosofia e per pubblicare le mie poesie il più in fretta possibile e in una tiratura il più grande possibile, per diventare uno scrittore famoso se non addirittura il più grande scrittore romeno e se possibile il più grande scrittore di tutti i tempi. Gogu però era felice delle sue letture, delle ore trascorse seduto alla scrivania, dei momenti vissuti alla Casa della Cultura davanti alla scacchiera. Quando è venuto il momento di scegliere se continuare gli studi, Gogu ha optato per la sezione di matematica di un istituto fondato da poco nel capoluogo del distretto, a nemmeno quaranta chilometri di distanza.

In pratica, ci siamo separati, io sono partito per Bucarest, lui è rimasto a vivere in provincia, e dopo un po’ di tempo, ha deciso di frequentare solo i corsi serali perché aveva trovato un lavoro come portinaio che gli permetteva di guadagnare qualcosina e di poter così leggere il giorno intero. Ci vedevamo però puntualmente durante le vacanze, quando ritrovavamo tutta la densità delle nostre discussioni. D’altronde è stato allora che ho avvertito, per la prima volta, gli iniziali sintomi della malattia che più tardi il mondo scientifico avrebbe identificato con il nome da me proposto: “Sindrome Gogu Boltanski.”

Gogu Boltanski è diventato una sorta di specchio al contrario del mio destino. Quanto più io mi affannavo nella vita, tanto più Gogu viveva la sua con comodo. Quanto più io allargavo la mia cerchia di contatti e di interessi, tanto più Gogu semplificava la propria vita conservando solo la scrittura, la lettura e gli scacchi. “Tu sei matto” gli dicevo in estate, quando ritornavo a Radaut?i e lo trovavo sistematicamente tra le cinque e le otto di sera al circolo scacchistico nella Casa della Cultura. “Come può uno come te, pieno di talento, sotterrarsi vivo in questo triste buco di città, in questo no man’s land che può solo farti sprofondare ancor di più, una vera e propria palla da cannone metafisica per lo spirito, uno stagno per la creatività? Vieni a Bucarest, meglio bighellonare là piuttosto che sperperare le tue energie qui. A Bucarest, in tutte le redazioni letterarie si gioca a scacchi sino allo sfinimento, meglio giocare a scacchi nella redazione di ‘Amfiteatru’, ti introduco io, sei un uomo così affascinante, più acculturato di tutti i colleghi della mia generazione al Cenacolo del Lunedì, vieni a mettere alla prova le tue forze nell’arena della capitale, nella grande arena della capitale, là dove vale davvero la pena lottare... Svegliati, Gogu, esci da questa letargia, vieni a confrontarti con la gente, vieni a incontrare gente davvero interessante, donne attraenti, vieni a frequentare il teatro, ad ascoltare i concerti, ad assistere allo spettacolo del mondo...”

Gogu mi ascoltava sempre senza interrompere, in qualche modo affascinato e divertito, curioso ma anche diffidente. “Non essere pigro,” gli dicevo io “cerca di uscire da questo oblomovismo, hai scritto centinaia di pagine in prosa, decine di quaderni zeppi di poesie, cerca di pubblicarle, mandale alle riviste, ai critici letterari...”

Dagli sguardi di Gogu intuivo però che i miei discorsi non producevano nessun effetto su di lui. E in ogni caso, Gogu non era una persona pigra. Al contrario, in un certo qual modo, lavorava molto più di me, nel senso che dedicava molto più tempo alle cose essenziali. Gogu si svegliava prestissimo ogni mattina, d’estate con il levare del sole, intorno alle cinque, d’inverno un po’ più tardi, per le sette. Ogni giorno riservava almeno tre o quattro ore alla lettura, un’ora per lo studio di partite celebri di scacchi, due o tre per scrivere, un’ora per fare sport (usciva in bicicletta, o correva fino alle scuderie all’altro capo della città e poi tornava indietro). Quasi ogni giorno trascorreva un’ora nella libreria della città, sfogliando i volumi, o nella sala lettura della biblioteca, scorrendo riviste e giornali. Il suo interesse per il cinema era scemato nel frattempo, ma perlomeno una volta alla settimana vedeva qualche film realmente interessante in videocassette, a casa di vari amici che le ricevevano dall’estero... Volente o nolente, tutte le volte in cui mi vedevo con Gogu durante le vacanze, quando scoprivo che le sue letture erano più solide delle mie, dovevo ammettere che era molto più aggiornato di me per quanto riguardava le ultime uscite editoriali, che sapeva meglio di me cosa accadeva nel mondo dato che ogni notte ascoltava le stazioni radio estere che trasmettevano programmi in lingua romena, tipo Europa Libera o la Voce dell’America.

Certo, io gli raccontavo ciò che accadeva nel mondo letterario, gli raccontavo dei miei incontri con vari scrittori, con celebrità di Bucarest, con figure pittoresche dell’ambiente del teatro. Gogu mi ascoltava con grande attenzione, gli vedevo uno scintillio negli occhi, gli piacevano tutte quelle storie... Ma da qualche parte, nella sua coscienza, in quella zona profonda che detta la disciplina di vita, riteneva che io conducessi un’esistenza aneddotica, lontana dall’essenza. Ma il colmo era che lui, Gogu, non mi rimproverava mai nulla, i rimproveri seguivano un tragitto a senso unico, da me a lui, come se io fossi in possesso della verità e lui si rifiutasse di accettarla. Questo rito è durato per anni interi... E la sensazione che Gogu Boltanski fosse lo specchio dei miei inutili affanni si è accentuata. Dopo la mia partenza per Parigi, nel 1987, per alcuni anni non ci siamo più sentiti. Nel 1992, tuttavia, di ritorno a Radaut?i, ho ritrovato Gogu nello stesso posto, con un gruppo di scacchisti di ogni età, adolescenti, adulti e vecchi, al circolo scacchistico nella Casa della Cultura. Ho aspettato che Gogu terminasse la partita che stava disputando con un giovane disabile, e poi siamo usciti a passeggiare. Ebbene, Gogu era rimasto lo stesso. Si era sposato nel frattempo, aveva avuto un...



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