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E-Book, Italienisch, 261 Seiten

VV. / Balestrieri / Giustiniano aut aut 405

L'anarchia del moderno. Tra geopolitica e filosofia
1. Auflage 2025
ISBN: 979-12-5981-323-7
Verlag: Il Saggiatore
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

L'anarchia del moderno. Tra geopolitica e filosofia

E-Book, Italienisch, 261 Seiten

ISBN: 979-12-5981-323-7
Verlag: Il Saggiatore
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



'Aut aut' è una rivista bimestrale di filosofia fondata da Enzo Paci nel 1951. Attraverso la pubblicazione di materiali, saggi e interventi fornisce un quadro aggiornato del dibattito filosofico e culturale di oggi. La rivista si rivolge in modo speciale agli studenti e agli studiosi di cose filosofiche, ma anche a coloro che si occupano di problemi connessi con la psicologia, e a tutti gli operatori del mondo culturale, letterario, artistico e politico, che hanno a cuore una riflessione sulle loro pratiche.

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Geopolitica come critica


Carlo Galli

Introduzione

Che cosa c’entriamo noi con la geopolitica? Quale legame stringe i filosofi critici a una disciplina geografica che sembrerebbe, al massimo, un ausilio dello studio delle relazioni internazionali?

Si è trattato, in alcuni casi – celebre quello di Schmitt –, di una ricerca dello spazio come categoria ordinativa, in grado di fornire solidità, certezze, orientamenti, che altri capisaldi della filosofia moderna – Soggetto, Stato, Classe, Storia, Libertà – non riescono più a dare. Mentre questi svaniscono, lo spazio permane; è presenza; anzi, è il rifugio delle loro esistenze fantasmatiche.

Una nozione di spazio che ne fa il sostituto dell’Essere o che a questo lo accosta – mentre lo spazio dell’etologia, inteso come imprescindibile dimensione esistenziale dell’uomo in quanto “animale territoriale”, non rientra direttamente in questa argomentazione, se non come indicatore che anche a livello antropologico l’uomo abita spazialmente il mondo, nonostante le nostre origini migratorie. Ma in verità allo stesso Schmitt, al quale pure ha fruttato l’accesso alla dicotomia terra-mare (in verità avanzata dapprima dalla geopolitica), la categoria “semplice” di spazio non è stata sufficiente a fornire una chiave stabile di soluzione della questione di fondo che c’è dietro la “svolta verso lo spazio”: la determinazione della forma e della sostanza del mondo. Infatti, nemmeno nella sua fase “spaziale” Schmitt può prescindere dal ricorso all’agire politico e all’intrinseca instabilità che a questo pertiene: proprio nella nozione di nomos, infatti, l’elemento fisico della terra e del mare si rivela un fondamento sfondato; tutt’altro che statico e vuoto, lo spazio non è un’immediatezza che possa rimanere tale: è l’elemento primario della politica, ma è la decisione – la presa, la partizione, la produzione – che lo media, lo orienta, pur essendone condizionata.1 Ovvero, secondo altri parametri interpretativi, se non vi sono “luoghi” – spazi antropizzati e mediati dal potere –, lo “spazio” è il nulla.

Ormai assimilate le intuizioni di Schmitt – restando però estranei ai suoi grandi errori e alle sue amare delusioni –, dobbiamo fronteggiare anche noi il problema della misura della politica, della sua afferrabilità, per quanto esso si presenti oggi in forme molto mutate. Anche noi dobbiamo tentare di individuare centri, se ve ne sono, in cui la politica, con la sua energia, si condensa e si fa comprensibile, almeno sotto un profilo. Dobbiamo chiederci insomma se è possibile che la politica sia lo spazio dell’azione – nel senso moderno di una prassi che ha in sé (o quantomeno non soltanto fuori di sé) finalità, consapevolezza, condivisione; ed eventualmente, dell’azione di chi. La questione dello spazio politico si pone non solo come questione dei fondamenti, ma anche come questione dell’agire e dei suoi soggetti.

Le categorie della modernità politica

Nonostante la modernità si sia concepita prevalentemente lungo la coordinata del tempo – della storia progressiva –, la dimensione dello spazio era presente in forma implicita nelle sue strutture concettuali. Accanto all’asse cronologico “passato-futuro”, a quello antropologico “uomo-natura”, a quello epistemologico “vero-falso” e a quello pratico “utile soggettivo-bene comune” (ovvero “privato-pubblico”), il Moderno è infatti innervato dalle relazioni spaziali centrate sullo Stato: “interno-esterno” (a cui pertiene anche l’opposizione di inclusione ed esclusione, di legge interna e di guerra esterna, come rapporto fra Europa e colonie), “alto-basso” (la relazione fra le élite politiche e il popolo, mediata dalle istituzioni politiche e dai corpi intermedi socio-politici), “movimento-stabilità” (il dinamismo dell’economia e della soggettività, e l’ordine dello Stato).2 La “linea del colore” e la “linea del genere”, dal forte significato politico, non sono propriamente spaziali, ma ubique, come anche la linea “capitale-lavoro”, e non ricadono nella geopolitica ma nella biopolitica (in senso allargato) e nella geo-economia, oltre che nell’economia politica.

Se questi sono gli assi spaziali in cui si esercita il potere moderno – o meglio, le dimensioni del campo di battaglia del potere – è abbastanza chiaro che sono intervenute alcune modificazioni. Infatti, dei processi di globalizzazione si è detto che abbiano annullato la differenza fra interno ed esterno, indebolendo l’operatore politico che ne era responsabile, cioè la sovranità dello Stato; mentre la diffusione dell’elettronica ha pesantemente complicato, con la dimensione “virtuale” che le è propria, la distinzione tra vero e falso; per non parlare dell’asse passato-futuro, travolto dalla “fine della storia” e fissato in un eterno presente, e del rapporto fra pubblico e privato, ridisegnato a tutto vantaggio del primo.

Ma, d’altra parte, è anche vero che al mondo senza spazio dell’infinito commercio, dell’illimitata produzione, delle dilaganti moltitudini, della confusione perenne tra guerra e pace, della mobilità, della simultaneità, è stata contrapposta l’evidenza della spazialità come fattore decisivo per l’interpretazione del mondo; gli studi atlantici e gli studi post-coloniali hanno mostrato il ruolo costitutivo – nel passato e anche, in forme diverse, nel presente – della differenza spaziale nella formazione dell’unità politica del Moderno, che è in realtà un campo di tensioni e di interazioni biunivoche tra spazi diversi;3 i border studies hanno compreso il significato politico dei confini che, lungi dall’essere scomparsi o al contrario di fissare intatte identità etnico-territoriali, sono oggi linee di tensione e di conflitto tra interessi diversi e contrapposti, tra i migranti e i detentori delle chiavi dell’accesso al mercato della forza-lavoro, ma anche tra le logiche del controllo politico del territorio e le esigenze logistiche delle “catene del valore”.4

E lo spazio inoltre è tornato centrale – e con esso la sovranità che lo apre, lo chiude e lo regola – durante la pandemia, quando prima della vaccinazione (prestazione, invece, biopolitica per eccellenza, mediata dai poteri reali dei soggetti politici collettivi nel contrattare il prezioso farmaco tra di loro, e con Big Pharma) l’unica risorsa disponibile per combattere il morbo, o per attenuarlo, è stata appunto lo spazio: qui infatti hanno preso corpo i distanziamenti, le reclusioni, i confinamenti, gli isolamenti, che la politica ha deciso. Se il virus è sovrano, nel senso improprio di ubiquo e invincibile, gli è stata opposta la gestione dello spazio a opera delle sovranità territoriali, in senso proprio e determinato.

Così, da una parte è vero che i soggetti si sono progressivamente trasformati in fantasmi mascherati e senza corpo, e hanno perduto la capacità di relazionarsi, approssimarsi e incontrarsi (il divieto di assembramento) se non come immagini elettroniche sulle piattaforme del web – la cui disintermediazione è in realtà una nuova mediazione che espone gli utenti al controllo degli algoritmi dei big data,5 a divenire appendici del web, e implica di fatto che la società venga sostituita dai social media, mentre la scomparsa dei corpi sociali intermedi pone a contatto diretto i singoli e il potere politico-burocratico –, ma d’altra parte è vero anche che i soggetti hanno ripreso l’antica lotta per l’habeas corpus, per resistere (giusto o sbagliato che sia) alla biopolitica del vaccino e per contendere spazi di libertà al sovrano. Se la libertà della vita resta quindi la posta in gioco, lo spazio è pur sempre il campo di battaglia in cui si affrontano sovranità e libertà, corpi e rappresentazioni, ovvero esigenza di sicurezza (non solo imposta dall’alto ma anche richiesta dal basso) e ricerca vie di fuga dai dispositivi (pubblici e privati) che ingabbiano i cittadini negli arresti domiciliari e nella sorveglianza incessante. E “sovranità”, qui, significa l’intreccio, in uno spazio specifico, dei poteri del sistema economico, politico, mediatico-comunicativo (quello che ho definito il “triedro del potere”)6 e il loro darsi incontrovertibile, come pura presenza autogiustificantesi – l’immediatezza della mediazione totale (il “sistema” nelle sue interne contraddizioni) è la forma contemporanea della teologia politica.

Quindi si può certamente affermare che la sostanza e la forma della modernità – rispettivamente il soggetto e lo Stato, e la nozione di progresso umano – si sono schiantate “al muro del tempo”, nel loro intrinseco nichilismo; ma si deve anche dire che le dinamiche dentro le quali viviamo hanno un doppio segno: da una parte, l’elettronica distrugge lo spazio (ma, oltre al corpo, anche il tempo, rendendo possibili le innumerevoli transazioni istantanee su cui si fonda la finanza internazionale), disinnesca il rapporto sociale, la sfera pubblica (generando una società senza individui e individui senza società), abolisce nella dimensione virtuale la distinzione tra vero e falso (le fake news non sono semplici menzogne ma costituiscono in realtà un mondo parallelo, anzi infiniti mondi); dall’altra, lo spazio resta ancora un fattore della politica e allude a una concretezza complessa e contraddittoria ma...



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