E-Book, Italienisch, 176 Seiten
Reihe: Intrecci
Wondratschek Autoritratto con pianoforte russo
1. Auflage 2021
ISBN: 978-88-6243-508-6
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 176 Seiten
Reihe: Intrecci
ISBN: 978-88-6243-508-6
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Scrittore, poeta, sceneggiatore, nato a Rudolstadt nel 1943, cavalca dagli anni '60 la scena letteraria internazionale, in cui è noto come esponente della Beat Generation tedesca. Dal primo romanzo del 1969 si è affermato come figura innovativa per la sua tecnica letteraria ispirata al cinema in cui combina prosa corrosiva e laconica ironia. Vicino ai movimenti di protesta degli anni '70, famoso per le raccolte di poesie dove i toni della musica rock si legano ai temi della cultura pop, la sua produzione cinquantennale - che comprende anche racconti, reportage e radiodrammi - alterna critica sociale, intimismo e ritratti di artisti. Attualmente vive a Vienna.
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vii
una città sull’acqua?
Stavo andando dal mio vinaio quando vidi Suvorin uscire da un supermercato e dirigersi verso di me. Era di ottimo umore. Le devo ancora il resto della mia storia. Ha tempo?
Da quando mi sono stabilito a Vienna non ricordo nemmeno un giorno in cui abbia avuto fretta. E incontrare Suvorin per strada, l’uomo che si teneva nascosto, mi parve una coincidenza fortunata.
Era diretto, manco a dirlo, alla vicina Gondola dove, dopo esserci seduti, ordinò del latte, un bicchiere grande di latte caldo, “ma senza schiuma”, come gridò dietro al cameriere.
Per me ordinai, era ancora molto presto, un espresso, mi accesi una sigaretta e mi misi comodo. Dal nostro ultimo incontro si era ripreso, era evidente. O forse erano le forze recuperate con il sonno a fargli bene, lo avrebbero tenuto in piedi fino al primo pomeriggio.
Si era comprato, così disse, un costume da bagno. E in più, in offerta speciale, una dozzina di tavolette di cioccolato. Lei lo sapeva che oggigiorno si può comprare un costume da bagno al supermercato?
Di recente ho comprato un’aspirapolvere da Tchibo, che è un negozio di caffè!
Rovistò in uno dei due sacchetti di plastica e lo tirò fuori. A me sembra davvero bello! Ha i colori della bandiera italiana. Ecco, guardi!
Senza schiuma, disse il cameriere porgendo a Suvorin il suo bicchiere di latte. E un espresso per il signore!
I colori della bandiera italiana? E perché proprio quelli? Glielo chiesi.
C’è una città in Italia per cui mia moglie andava pazza, non l’aveva mai vista ma voleva a tutti i costi visitarla.
Napoli, azzardai.
Vicino a un vulcano che sputa fuoco? Fuori discussione! No!
Venezia?
Una città sull’acqua? Avrebbe temuto il mal di mare.
Ma non sorge sull’acqua anche Leningrado?
È una città fatta di isole, giusto, ce ne sono più di cento.
Non lo sapevo. Più di cento?
Non importa se non lo sa. E un’altra cosa che non sa. O magari la sa, è lo stesso. A contarli, Leningrado ha più ponti di Venezia.
Mi diedi per vinto. Quindi non avrebbe potuto vivere nemmeno a Leningrado.
No. Impossibile. Vede, mio caro, non tutto ciò che si ama è tollerabile. Suvorin sembrò divertito dal suo stesso senso dell’umorismo. Forza, disse, avanti, che rimane?
Avrei potuto dire ancora Roma, ma mi sembrava banale e mi arresi.
Sanremo! S’illuminò in volto. Sanremo, con la fioritura. Ne aveva letto da qualche parte e si era innamorata dell’idea di andarci. Da Vienna sarebbe stato anche possibile. Mi guardò. Lei naturalmente la conosce, immagino, no? Viaggiare, per voi occidentali, non è mai stato un problema.
Quella confessione mi mise in imbarazzo, così come la domanda. Be’, dissi, non proprio. Una volta ci sono stato, ma non l’ho trovata interessante abbastanza da volermi fermare per la notte.
Ripiegò il costume come si ripiegherebbe una cartina geografica e lo infilò di nuovo nel sacchetto di plastica. Magari, pensai, lo avrebbe aiutato a decidersi, prima o poi, ad andare in piscina come gli aveva consigliato il medico.
Tra l’altro, s’informò Suvorin, di cos’era che parlavamo l’ultima volta qui?
Ricordavo ognuna delle sue frasi.
Di quanto fosse scortese, da parte del pubblico, torturarla con gli applausi. E di quanto lei invidiasse chi scrive libri.
Giusto, disse Suvorin. Ne avevo davvero abbastanza. Non sapevo più cosa fare, come decidere cosa ne sarebbe stato di me. È stata dura. Dopo ogni concerto, per calmarmi, dovevo camminare un paio d’ore.
Quell’esigenza non mi era estranea. Se potessi addormentarmi camminando, ho spesso pensato, sarei salvo!
E poi avevo sete e bisogno di compagnia. Sa com’è, Bacco e tabacco!
Cosa c’è di meglio che scuotersi di dosso le preoccupazioni. E niente donne al tavolo, nessuno intorno che potesse parlare di alcolismo e muoverci rimproveri, dirci che ci stavamo avvelenando. Suvorin sospirò. Anche fosse.
Restava tutto un mistero per me, lui, i suoi sospiri e le sue risate. Cos’era sofferenza, e cosa scherzo? Oppure aveva imparato l’arte, forse di importanza vitale per un uomo come lui, di nascondere agli altri proprio ciò che avrebbe potuto farlo cadere in trappola?
Naturalmente c’era chi stava in ansia per me, iniziavano a preoccuparsi – o a scherzarci sopra. Avrei dovuto, propose uno, far distribuire dei biglietti tra il pubblico con scritto sopra: Divieto assoluto di applaudire! Ogni manifestazione da parte del pubblico è indesiderata! O diffondere direttamente l’annuncio in sala, come faceva implacabilmente Schönberg a Vienna, prima della guerra. Non era una brutta idea, ma perché riscaldare la minestra? Poi era arrivata la Schwarzberg, tra l’altro nel frattempo è atterrata anche lei a Vienna, una violinista che, sugli applausi, non aveva mai avuto assolutamente nulla da obiettare, al contrario, se li godeva, andava incontro al frangente dell’onda, gli applausi, così diceva, rilassano la muscolatura. Lei li aveva superati tutti. “Con il tuo talento, Jurka, propongo di far prendere un bello spavento a lorsignori. In fin dei conti, si sa, sei un burlone nato. Fai il tuo concerto e poi, prima ancora di riuscire a ringraziare per l’applauso, ti afferri il cuore e dallo sgabello ti lasci cadere a terra – ma non farti male. Qualcuno ha sentito uno sparo? Un infarto? Quanto pensi ci voglia prima che cali il silenzio in sala? L’unico rischio è che inizino a girare voci su di te, che tu finisca sui giornali, o peggio ancora, se sei sfortunato, che diventi celebre! E da noi le celebrità, come ben sai, le accompagnano all’ultima dimora tra gli applausi.”
Quell’idea piaceva a Suvorin. Lo portano dietro le quinte. Si interpella un medico. Si teme il peggio. Qualcuno lo aveva mai fatto?
C’era però un inconveniente. Non era il caso di scherzare con la morte. La coscienza glielo impediva. Ancor più glielo impediva il ricordo della madre. Come avrebbe potuto presentarsi davanti alla sua tomba dopo aver ridicolizzato la morte? Quanti sacrifici aveva affrontato affinché lui potesse vivere nel suo sogno, suonare il pianoforte e studiare da un maestro a Mosca per poter suonare sempre meglio, per riuscire a fare, un giorno, il salto sul palcoscenico. Assumeva sempre un’espressione molto seria quando si immaginava la vita del figlio, la sua vita una volta che lei fosse morta, e ne parlava con lui. A conti fatti, però, non era venuto fuori altro che un consiglio: pregare, non decidere. Si credeva nel giusto. Un consiglio che non dava solo a lui, suo unico figlio, che era diventato musicista per la sorpresa di tutti, famiglia e parenti; lo dava a chiunque avesse bisogno di protezione e comprensione nel mondo. Negli ultimi anni, sempre più in preda alla confusione, lo ripeteva ancora, ma veniva liquidato come il vaneggiare di una donna confusa.
Era morta con facilità. L’ultima candela ardente al suo capezzale l’aveva accesa lei stessa.
Dei colleghi mi consigliarono di consultare un neurologo. Per loro, chiunque avesse comprato il biglietto di un concerto aveva anche acquisito, pagato, per così dire, il diritto di potersi esprimere. Non capivano perché facessi tutte quelle storie. Si era intromessa perfino la mia bimbetta, che conosceva un ipnotizzatore. È una di quelle che ci crede, ancora oggi. Spiritismo! Icone miracolose! Questa, sa, è una vecchia malattia russa, santi, monaci itineranti, abracadabra. E la vodka, naturalmente. Grazie al cielo avevo una moglie buona, ragionevole. Sempre di buonumore. A chiunque le dicesse che doveva farmi ragionare, che doveva esercitare la sua influenza su di me, altrimenti avrei messo a rischio la mia carriera, rispondeva, ridendo: “Non cambierà mai e poi mai. È quello che è, un enfant terrible!” In russo: on svoloc’! Che si può tradurre anche, mi scusi l’espressione, con “è una testa di cazzo!”
Suvorin scoppiò a ridere come doveva ridere sua moglie.
Vivevamo così. Eravamo felici. Che Dio la benedica!
Tacque, come faceva ogni volta che gli tornava in mente la perdita subita con la morte della moglie. Bevve un sorso di latte, si pulì la bocca, si grattò ancora un po’ i peli della barba. Com’era impavida, intelligente, la battuta sempre pronta. Accettò che mi fossi esposto, con quel mio atteggiamento nei confronti dell’ambiente musicale ufficiale sovietico. Cosicché, proprio come me, non fu affatto sorpresa di ritrovarsi un giorno un funzionario del Comitato centrale per il controllo dei repertori alla porta, munito dell’ordine di fare appello – con parole cordialissime, s’intende – alla mia coscienza per il mio comportamento. Rifiutare la gioia degli applausi della gente significava rifiutare la gente. L’arte, compagno Suvorin, appartiene al popolo. Non amava forse il suo popolo? Non gli era forse chiaro che, nel suo ruolo di musicista in attività, doveva essere al servizio del popolo, doveva essere con tutto il cuore al servizio dell’amore per il suo popolo? Qual era il compito massimo di ogni artista, se non ciò che era vicino al popolo, che andava dritto al cuore della gente semplice, in solidarietà con le masse di lavoratori? Non intendeva infondere ottimismo nella gente, sincerità, verità, armonia – per usare una metafora musicale? Non voleva proteggerli con tutte le sue forze da idee sbagliate, deleterie, insidiose per lo spirito della comunità nazionale, e quindi antisovietiche, revisioniste, controrivoluzionarie?
No, non gli era andato di traverso qualcosa,...